Venticinque afghane in Italia per studiare da imprenditrici di Francesca Paci

Venticinque afghane in Italia per studiare da imprenditrici Venticinque afghane in Italia per studiare da imprenditrici Francesca Paci TORINO Il burqa informe con in braccio un neonato risalta tra le foto sparpagliate sul tavolo dei grafici. Venticinque donne di Kabul dai 30 ai 50 anni scuotono all'unisono la testa, commentano in dialetto dari lo stereotipo che le marchia, riassestano sui capelli il foulard che scivola via. La composta delegazione visita la redazione de «La Stampa» durante ima pausa del corso di formazione in microcredito e imprenditoria femminile promosso dall'Ilo' (International Labour Organization), il Ministero degli Esteri, la Fondazione Bellisario. Le agenzie battono la notizia dell'ultima imboscata di miliziani fondamentalisti contro un convoglio dell'Onu a Kandahar, dove ha perso la vita un impiegato afghano. Loro - madri, mogli, sorelle, protagoniste del Paese faticosamente in transito dal Medioevo del mullah Omar al presente - interrogano i giornalisti italiani sull'immagine che hanno di quella realtà. Wahida Samad non assomiglia alle descrizioni che su fronti opposti ne fanno i sostenitori di ima miracolosa rinascita post-talebana e gli sfascisti certi di un caos celato dalla propaganda Usa. E' una trentenne di Kabul con i capelli castani striati di mèches rosse e un vestito a disegni geometrici come un tappeto kilim sopra i pantaloni di maglia neri. Tradizione e femminilità cosmopohta. «Perché ci dipingete sempre come passive?» chiede in ottimo inglese, traducendo la domanda corale delle compagne. Sui media internazionali la questione femminile afghana data 12 settembre 2001, il giorno dopo l'attentato alle Torri Gemelle, e accompagna le tappe della guer¬ ra al terrorismo: da allora le donne in burqa hanno percorso secoli. Sentite lei: «Lavoro con le Nazioni Unite, sono diventata ricca! Molte di noi sono tornate ai posti abbandonati sotto i taleban, insegnanti, medici, impiegate». Il Ministero delle Donne ne occupa 1350 intutto il Paese, 550 nella capitale. Il seminario torinese incoraggia l'imprenditoria privata: cooperative di vicine di casa che commercializzano prodotti tipici come avviene già con successo nel Sudest asiatico e nell'Africa subsahariana. «La vera battaglia in corso non è contro i miliziani fondamentalisti ma nel cuore e nella mente di ogni afghano», spiega Mahbooha Waizi, che da un anno e mezzo guida l'Afghan Women Business Council ma, attraverso l'Onu, non ha smesso di lavorare per le connazionali neppure durante la lunga parentesi degli studenti barbuti. Ecco perché: «Tutti aspirano alla modernità, ma l'analfabetismo è alto e la gente teme il salto nel buio: finora la tradizione ha coinciso con là vita». Parola chiavo: formazione. Le venticinque studentesse chiedono ai giornalisti italiani di raccontare come faranno fruttare i 900.000 euro con cui il nostro governo.ha finanziato il loro apprendistato. Karima Salik dirige il settore economico del Ministero delle Donne, ha 42 anni, quattro figli, è rimasta in casa fino alla caduta dei taleban e ora gira il mondo illustrando il potenziale femminile. Il suo ufficio organizza corsi gratuiti di computer. «Perché pensate sempre al burqa?». Lei, che indossa un velo turchese sul volto dai lineamenti asiatici, ha una risposta: «Se ci guardate con le vostre lenti non capirete mai. Voghamo i nostri diritti, compreso quello di difendere la tradizione islamica».

Persone citate: Karima Salik, Mahbooha Waizi, Parola, Samad

Luoghi citati: Africa, Italia, Kabul, Kandahar, Torino