«Il terrorismo si batte solo con lo sviluppo»

«Il terrorismo si batte solo con lo sviluppo» IL NOBEL: BISOGNA AIUTARE I PAESI DEBOLI A FARE DI PIÙ' «Il terrorismo si batte solo con lo sviluppo» L'economista Amartya Sen contesta l'amministrazione di Bush «Come altri nel mondo, faccio fatica a seguire la loro strategia Non credo che serva fare delle cose brutali per averne di buone» intervista Jacopo lacoboni IL presidente George W. Bush ha appena trascorso la festa di Thanksgiving a Baghdad. Professor Amartya Sen, ha ragione l'amministrazione Usa, è possibile esportare la democrazia? «Guardi, le pohtiche dell'attuale amministrazione sono difficili da comprendere. Perciò preferirei non cercare di indovinare che cosa esattamente sta accadendo a Washington. Certi giorni sembra che siano impegnati a promuovere la democrazia nel mondo, certi altri sembra che il punto cruciale sia combattere il terrorismo... Ho molta difficoltà a seguirli, come credo tante altre persone nel mondo, n terrorismo si combatte con la democrazia, che è sviluppo». C'è una frase che i neocons ripetono spesso, «(bisogna pur rompere qualche uova per fare ima buona omelette». «No, io non credo sia necessario fare cose brutali per ottenerne buone. Non ho mai usato, anche se qualche volta mi è stata attribuita, quell'espressione sulle uova. La conosco e la detesto. Io penso il contrario, lo sviluppo non deve essere un processo sanguinoso ma qualcosa dal volto umano». Certo la tesi che lo sviluppo globale debba essere qualcosa di doloroso sembra aver perso smalto. L'idea di sviluppo s'è addolcita? «Da quale punto vi vista?» Per esempio c'è un'attenzione incomparabilmente più sensibile alle questioni sociali. New York Times dice che l'opinione pubblica è diventata l'altra grande superpotenza mondiale... «Oh sì, se lei ha in mente le questioni delle privazioni delle donne, della sanità pubblica, dell'educazione scolastica, anch'io ritengo che la consapevolezza oggi sia molto più oiffusa e avanzata che in passato. Questo naturalmente non elimina i problemi e le disparità». Eppure l'ha scritto lei: un clima "participatory" in economia, imo sviluppo più partecipato, sta funzionando. Per esempio nell'Asia orientale, no? «Nel mio libro Sviluppo come libertà arguisco che non esiste un paese ideale. Ogni regione del pianeta ha esperienze dalle quali possiamo imparare. L'Asia dell'est è un buon esempio di economia partecipativa, di sviluppo attraverso l'attenzione all'educazione di base e alla sanità pubblica, ma non è un esempio abbastanza buono di partecipazione politica e diritti democratici: la Cina di queste ore è proprio in questa situazione. Ammiro quello che hanno fatto, ma sullo sfondo di quello che ancora non hanno raggiunto. L'India si trova nella situazione opposta: va meglio la democrazia, va meno bene 3 Welf are. Quello est-asiatico non potrebbe essere un riferimento per lo sviluppo del tumultuoso Medio Oriente? «Onestamente credo che non sia facile. Faccio un esempio: la grande sensibihtà per l'educazione pubblica di base, in estremo oriente, non è stata inventata dalla Cina ma dal Giappone, e almeno dagli anni Sessanta. Dal 1930 i giapponesi hanno pubblicato più libri degli inglesi. Questa lezione è stata esportata in Corea, Taiwan, Hong Kong, Cina. E dopo anche in Thailandia. Da questo punto di vista, India, Pakistan e Bangladesh hanno mol¬ to da imparare. E ancora di più Iran, Iraq, Giordania, Marocco. Ma sono processi richiedono anni. L'esempio è di nuovo la Cina, dove ultimamente queste opzioni democratiche sembrano così impraticabili». Esempio perché? «Nel 1979, quando la Cina ha introdotto le riforme economiche, il paese era parecchio avanti all'India; aveva delle aspettative media di vita di 68 anni, l'India dai 53 ai 54: l'India aveva un gap di quattordici anni. Oggi il gap è di soli sei anni, la Cina è passata da 68 a 70, l'India da 54 a 64. Vede, la democrazia è fondamentale, ma non come bene in sé: citando Machiavelli, come strumento per ottenere altre cose». Diritti, immagino. «Diritti, meno disuguagUanze, Welfare». Lei però dice che tolleranza e diritti umani hanno radici sia nei "valori asiatici" che in quelli occidentali Dunque, la teoria dello scontro di civiltà è totalmente infondata? (do penso sia totalmente mal fondata, ma mi lasci chiarire una cosa: io non parlo di "valori asiatici", i valori in ogni regione sono sempre misti: in taluni casi estremamente autoritari, in altri democratici. Guardi il Sudafrica, è diventato indipendente e Mandela ha guidato una transizione finora abbastanza fehce alla democrazia, ma tante altre parti di quel continente restano profondamente autoritarie e intolleranti. In secondo luogo, il clash ofcivilizations è concettualmente sbagliato per due distinte ragioni. La prima è che assume che le civiltà siano monolitiche, mentre non lo sono affatto; e poi assume che gli scontri siano tra le civiltà tra loro, ma non al loro interno. Huntington sbagha anche quando dice che le persone possano essere classificate in base alla civilizzazione, che è principalmente di tipo religioso, islamica, indù, buddista... Ma le persone sono anche altro! Prenda il Bangladesh, ad esempio, o il Pakistan: ci convivono differenti civilizations, diverse lingue, diverse pohtiche». Professore, la questione della globalizzazione iniqua si lega al terrorismo? Dopo l'Il set- tembre ha detto che il mondo globale maturava un senso di insicurezza fisica. Però sostiene che dovremmo concentrarci sull'insicurezza "umana", che affligge paesi con poche opportunità sociali, senza Welfare, senza sanità Non potremmo, per un tempo limitato, concentrarci solo sul terrorismo? «Io credo che le due cose si tengano: molte delle ragioni dell'insicurezza fisica, e persino della proliferazione del reclutamento dei terroristi, stanno nell'insicurezza umana, assenza di opportunità, di scuole, di ospedali, di Welfare, privazioni femminili. Il secondo punto è che non c'è alcuna ragione per cui ci si debba preoccupare più per chi muore per un'esplosione che per chi muore ogni giorno di malattie, o di fame. Persino nel giorno del- 1' 1 1 settembre sono morte più persone per l'Aids che per omicidio». E spiacevole distinguere, ma ammetterà che i morti dell' 11 settembre hanno un impatto simbohco superiore anche perché minano molte delle nostre sicurezze collettive, muore il vicino di casa, quello che fa la nostra stessa vita. «Certo, l'I 1 settembre contiene un e 1 e mento di aggressività che è assente in tante altre morti, per esempio quelle per Aids. C'è una grande differenza tra persone che muoiono e persone che vengono ammazzate. E sia chiaro, occorre assolutamente imparare dalla tragedia di New York e Washington, non si dovrà cancellarne mai l'ineguagliabile orrore. Tuttavia questo non ci deve far restare ciechi davanti ad altre morti violente, per esempio i genocidi come quello avvenuto in Kosovo, oppure morti dovute a malattie, non solo l'Aids ma la Tb, o la malaria. Non riusciremo mai a prevenire le prime morti se non saremo capaci di prevenire le seconde». Per questo compito di redistribuzione globale dei benefit della globalizzazione lei ha fiducia nel ruolo delle istituzioni intemazionali, per esempio l'Onu? «Cosa intende esattamente per "avere fiducia"?» È ottimista sulla possibilità che l'Onu abbia ancora un ruolo? (do penso che possano aiutare. E penso che sia una grande fortuna che a sedere al Palazzo di vetro ci sia Kofi Annan. Però farei una distinzione tra differenti istituzio¬ ni. Dopo un lungo periodo nel quale la Banca mondiale non è stata affatto utile allo sviluppo dei paesi poveri, durante la gestione di Wolfensohn è diventata più attenta alle questioni della povertà. Ma altre istituzioni, per esempio il Wto? È un'istituzione democratica? Il voto all'unanimità non blocca ogni pohtica economica reale? In definitiva, oltre a rifonnare alcune istituzioni globali, la responsabilità dello sviluppo deve essere presa dai governi nazionah. E ogni paese può fare molto di più: la Cina in fatto di democrazia, l'India in fatto di scuola e sanità, il Medio Oriente per entrambe e così via». Un aiuto che Unione europea e Stati Uniti potrebbero dare? «Beh, per esempio favorire le importazioni dai paesi poveri. Cosa che oggi, con la pohtica dei dazi, ostacolano» Jonathan Power ha scritto sul New York Times che spiegare il terrorismo solo in termini di povertà non è abbastanza: ci sono iidlioni di poveri che ampliano le file di Al Qaeda. Come risponde? «Non ho letto questo articolo e non vorrei commentare quello che non ho letto. Si riconosca almeno questo: la fame acuisce una tendenza alla ribellione contro l'ingiustizia che è propria deh'essere umano. Il terrorismo, naturalmente, ci specula sopra. Quando nel 1840 scoppiò la carestia in Irlanda, mal fronteggiata dal governo inglese, gli irlandesi non si ribellarono subito. Non ci fu alcuna violenza. Ma 150 anni dopo, e anche 165 anni dopo, è ancora la memoria allucinante di quella fame ad accendere l'immaginario di molte persone, spingendole a una scelta violenta antiinglese, e antiprotestante. Voglio dire che la violenza è alimentata dalla disuguaghanza, ma anche dalla memoria di disuguaghanze subite anni e anni prima. Chissà che cosa stiamo seminando per il prossimo secolo». Lei ha citato Macliiavelli come un grande pensatore politico per l'attenzione alle classi svantaggiate. Eppure è solitamente letto come un padre della Realpolitik. Cosa c'entra Amartya Sen il buono con Machiavelli il cattivo? Risata. «Ogni pensatore politico originale, Hobbes, Burke, Machiavelli, ha tante facce. In Machiavelli c'è il teorico della Golpe astuta, ma anche il - grande difensore della democrazia, che è quello che io cito. Guardi i Discorsi, "le città non hanno mai aumentato il loro potere senza prima aver stabilito e consolidato la propria libertà". E poi in Machiavelli, come secoli dopo in Antonio Gramsci, c'è un'analisi tra le più penetranti delle radici della disuguaghanza umana. C'è anche un poeta e una poesia che amo tantissimo citare, riassume la globalizzazione equa e complessa che ho in mente, unica risposta al terrore». E sarebbe? «W.H. Auden, e la poesia è Le sperarne delpoeta. Dice "la speranza di un poeta, essere dolce come i formaggi delle valli, radicato nella sua comunità, apprezzato nel mondo intero"». Gli Stati Uniti e l'Europa possono fare molto per aiutare i sistemi meno avanzati cominciando dal favorire le importazioni, dunque cambiando la politica dei dazi che sinora ha ostacolato le esportazioni La fame acuisce la tendenza alla ribellione contro le ingiustizie, mentre le diseguaglianze alimentano il ricorso alla violenza. Chissà cosa stiamo seminando adesso per il prossimo secolo Amartya Sen in un disegno di Ettore Viola DI PIÙ' atte one di Bush o strategia ne di buone» per aiutacomincile impola politicha ostaLa famealla ribementrealimentChissà cseminaper il p re etto monglobale rava un o di insicu fisica. Pestiene che domo conceni sull'insicurezmana", che affligesi con poche opporà sociali, senza Welfanza sanità Non potremper un tempo limitato, entrarci solo sul terrorio che le due cose si tengate delle ragioni dell'insicuica e persino della prolife1' 1 1 settembre sono morte più persoe 1 e mento di aggressività che è assente in tante altre morti per esempio quelle per Aidscome quello avvenuto in Kosovo, oppure mortdovute a malattienon solo l'Aids ma la Tb, o la malaria. Non riusciremo mai a prevenire le prime morti se non saremo capaci di prevenire le seconde». Per questo compito di redistribuzione globale dei benefit della globalizzazione lei ha fiducia nel ruolo delle istituzioni intemazionali, per esempio l'Onu?