Il Patriot Act messo alla gogna da chi l'ha scritto di Maurizio Molinari

Il Patriot Act messo alla gogna da chi l'ha scritto Il Patriot Act messo alla gogna da chi l'ha scritto Lex consulente del ministro Ashcroft: alcune norme vanno contro i diritti umani Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK Alla schiera dei critici del «Patriot Act» si è aggiunto anche chi ha contribuito a redigerlo. Viet Dinh, direttore fino allo scorso maggio dell'ufficio legale del ministero della Giustizia, ha pubblicaiuente preso posizione contro la legge anti-terrorismo varata dopo l'il settembre 2001 in base alla quale ai «nemici combattenti» può essere negato, su ordine del presidente degli Stati Uniti, il diritto alla difesa. Dopo aver osservato alcuni mesi di impenetrabile silenzio Dinh è intervenuto nelle ultime settimane a due conferenze sui diritti umani - all'Aja e a Filadefia - ed ha rilasciato un'ampia intervista al «Los Angeles Times» per chiarire i motivi della sua opposizione al testo che contribuì a redigere su disposizione del ministro della Giustizia, John Ashcroft. Dinh dice di condividere la necessità del «Patriot Act» per difendere il Paese dall'infiltrazione di terroristi ma alla base della sue denuncia c'è un evento specifico: il caso di José Padilla, il newyorkese convertito all'Islam arrestato all'aeroporto di Chicago l'S maggio del 2002 e da allora detenuto senza diritti in un carcere della Carolina del Sud con l'accusa di aver partecipato ad un complotto terroristico per far esplodere sul suolo degli Stati Uniti una «bomba sporca», ovvero un ordigno radioattivo. «La detenzione di Padilla non è fondata e difficilmente sopravviverebbe all'esame di un tribunale, si tratta di un caso insostenibile», ha dichiarato Dinh, che è oggi docente di legge alla Georgetown University. A sostenere la stessa tesi è un altro ex collaboratore di Ashcroft, Michael Chertoff, già capo della divisione criminale del ministero, secondo il quale «il governo dovrebbe riconsiderare il caso». Le dichiarazioni di Dinh e Chertoff hanno fatto notizia in coincidenza con le indiscrezioni che vorrebbero la Corte Suprema in procinto di affrontare alcuni dei casi più spinosi della legislazione antiterrorismo. La vicenda di Padilla è esemplare perché si tratta di un cittadino americano privato di ogni diritto garantito dalla Costituzione poiché ritenuto «nemico combattente catturato sul territorio nazionale» sulla base di prove che, fino a questo momento, sono rimaste segrete. L'altro fronte aperto per l'amministrazione Bush sul terreno dei diritti civili è costituito dai detenuti nel carcere militare di Guantanamo, anche loro considerati «nemici combattenti» perché catturati durante la guerra in Afghanistan e la caccia ad Al Qaeda ed ai taleban. Al momento sono 660 i prigionieri della base, situata sull'isola di Cuba, ma secondo quanto riportato dal magazine «Time» almeno cen- to sarebbero destinati ad essere rimessi in libertà entro il mese di gennaio (rispetto agli 88 rilasciati dal 2002 fino a questo momento). Fra questi vi sarebbero anche i sei detenuti di nazionalità britannica dei quali il premier Tony Blair ha personalmente richiesto la consegna al presidente George Bush durante l'incontro avuto di recente a Londra. Uno di loro sarebbe stato obbligato a confessare con la forza di aver voluto uccidere con il carbonchio Blair durante un suo discorso a Westminster. In cambio del rilascio la Gran Bretagna si impegnerebbe ad assicurare che verranno processati. Fra i detenuti vi sono anche altri cittadini europei: sei francesi, uno spagnolo, un olandese ed uno svedese. Fino a questo momento i portavoce del Pentagono hanno sempre sostenuto di essere pronti a consegnare i detenuti ai loro Paesi di origine in cambio dell' assicurazione che vengano detenuti ma raramente si è poi arrivati ad accordi in materia. Proprio ieri un ufficiale dell' intelligence dell'esercito, il capitano Jack Fair, è stato accusato di far parte della rete di spie che ha illegalmente operato dentro il carcere di Guantanamo, consentendo ai detenuti di far arrivare messaggi all' estemo. Fino ad ora erano stati arrestati due traduttori di arabo (uno dei quali sospettato di essere un agente siriano) ed il cappellano musulmano della base, il sino-americano Yusef Lee già cadetto di West Point. L'accusa nei confronti di Fair, un riservista che è stato a Guantanamo solo per sei mesi, è di aver «traportato fuori dalla base materiale segreto senza aver la necessaria autorizzazione». Dietro la denuncia c'è il caso di José Padilla in carcere come «nemico combattente» in base alla legge anti-terrorismo «Una detenzione senza alcun fondaminto» Presto in libertà cento prigionieri di Guantanamo Una torre di controllo nel campo di prigionia di Guantanamo

Luoghi citati: Afghanistan, Chicago, Cuba, Gran Bretagna, Guantanamo, Londra, New York, Stati Uniti