Pintor, il borghese resistente di Angelo D'orsiGiaime Pintor

Pintor, il borghese resistente SESSANT'ANNI FA MORIVA GIAIME, UN'ICONA DELL'ANTIFASCISMO Pintor, il borghese resistente Angelo D'Orsi 1— U il 10 dicembre del '43, sesr- sant'anni fa, che Giaime PinI tor, 24 anni, nel tentativo di passare le linee, proveniente dal Sud e diretto a Nord per guidare una fonnazione partigiana, morì su una mina. Il suo commiato fu espresso in una lettera al fratello Luigi, in cui gb comunicava la sua decisione, considerandola «il punto d'arrivo di un'esperienza che coinvolge tutta la nostra giovinezza», Per cui scriveva: «Senza la guerra io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari». Ammetteva, Giaime, che molti amici avevano compiuto la scelta antifascista assai prima; solo la guerra, confessava, aveva aperto gli occhi a lui, giovane e brillantissimo intellettuale pieno d'ammirazione per la Germania. In Germania, a Weimar, si era recato, solo l'anno prima, con un certo entusiasmo, ma forse già alimentando dentro sé il dubbio, per prendere parte al Congresso intemazionale degli scrittori: ne ha raccontato la vicenda Mirella Serri in un libro provocatoriamente intitolato II breve viaggio, a dire che a differenza di altri il cui percorso dal fascismo all'antifascismo fu accidentato e lungo, la metamorfosi di Pintor fu rapida e tardiva. Più greve, e aspramente polemica, la posizione che nel 1979, in occasione dell'uscita di Doppio diario (scritti e lettere di Giaime, sempre a cura della Serri)), ebbe una delle penne di punta dell'intellighenzia itahana, Franco Fortini. Egli sui mitici Quaderni piacentini sferrò un attacco durissimo alla figura di Pintor, inserendolo - lui ebreo, di famiglia modesta - nella «razza dei miei nemici»: i borghesi, per i quah tutto era facile, comprese le conversioni dal fascismo all'antifascismo. L'articolo di Fortini, scritto per ilMani/e- sto e rifiutato, suscitò una reazione altrettanto pesante di Luigi Pintor, fratello di Giaime. Fu quella forse la spaccatura più drammatica in seno alla sinistra intellettuale itahana del dopoguerra, rispetto alla quale - nell'esasperazione del contrasto che fece volare parole pesantissime - non avrebbe senso oggi schierarsi. Ha senso piuttosto provare a interrogarsi sul perché della stroncatura di Fortini, che era una resa dei conti con un personaggio fino ad allora assunto come uno dei simboli più nitidi della Resistenza. Fin dal primo momento dopo la sua morte, Giaime divenne un idealtipo delTeroe-martire, anche per la morte crudele e improvvisa e per la giovanissima età: perdipiù Giaime era beUo, intelligente, capace; fu facile l'edificazione del mito. Egh divenne una bandiera dell'eroismo partigiano. Il sangue d'Europa, raccolta di scritti edita nel 1950, divenne un testo canonico deUa mitologia resistenziale. In una mutata stagione, quando ormai dei miti si tendeva a disfarsi anche troppo sbrigativamente, Fortini diede il là a una decostruzione violenta di quell'icona. Ma trascorso un altro quarto di secolo, è finalmente giunta l'ora di dare a Giaime Pintor quello che gh spetta, nel' bene e nel male: è quello che ha tentato di fare, almeno in parte, un recente convegno a Perugia. Certo le origini borghesi sono innegabili - anche se, preciserà Luigi nella rephea a Fortini, più per educazione e letture che per soldi, perché «non ce n'erano» -, come è innegabile l'organicità di Giaime al fascismo e all'esercito e l'ammirazione per forme pohtiche autoritarie, la sua scarsa fede nella democrazia. Fu un esponente di quella che definì la «generazione perduta»: un giovane dall'enorme talento nel mondo letterario (la sua versione di Rilke rimane tutto¬ ra un caposaldo) e in quello editoriale, figura chiave della casa editrice di Giulio Einaudi. Però la sua breve vita, a differenza di altri, non fu tutta dedita alla protesta contro il fascismo, ma si collocò pienamente in quella temperie storica. Per i nati all'inizio del secolo (Gobetti) il primo quarto del Novecento offrì una gamma di possibilità, di opzioni ideali, di scelte pohtiche assai variegata. Il fascismo venne alla fine, e Gobetti, come altri della sua generazione e di quella precedente, si schierò risolutamente contro: fu una scelta. Come furono scelte queUe di tanti suoi sodah, compagni e maestri, di adattarsi al mussolinismo, e di goderne i vantaggi conseguenti. Per la generazione di Pintor (che nasce nel 1919), il fascismo fu il panorama unico, naturale, in cui mossero i primi passi di giovani ambiziosi, di quahtà inteUettuah elevate: per loro la scelta, una scelta diversa, fu cosa più difficile, sovente traumatica. Non dimenticando dunque il contesto in cui essi operarono, rimane tuttavia il dato che, come ebbe a osservare uno di loro. Cesare Pavese, in modo implicitamente autocritico, per la gran parte di questi intellettuali formatisi negli anni del regime, la libertà fu innanzi tutto e spesso soltanto, aridamente, la libertà del proprio lavoro, incuranti della tragedia che essi come tutti stavano attraversando, e perlopiù convinti intimamente che essa non h riguardasse. Giaime Pintor fu uno di loro: almeno fino al tornante del '40-43, quando avviò il suo «viaggio» verso l'antifascismo, coronato da una scelta estrema che si rivelò immediatamente tragica. Troppo poco, forse, per fare di lui una icona della Resistenza, ma abbastanza per non obliterarlo come uno dei tanti chierici traditori o opportunisti. Fece parte di quegli intellettuali formatisi sotto il regime per i quali, come ricordò Pavese con implicita autocritica, la libertà fu innanzitutto libertà del proprio lavoro, incuranti della tragedia che li circondava: però alla fine fece Una SCelta estrema Giaime Pintor in divisa da ufficiale

Luoghi citati: Europa, Germania, Perugia, Rilke, Weimar