VALVOLA DI INSICUREZZA

VALVOLA DI INSICUREZZA Il CONSENSO SULL'ESPULSIONE DEll'IMAM VALVOLA DI INSICUREZZA Angelo Benessia L' ESPULSIONE di Abdel Mamour, che ha acceso i riflettori sulla quieta Carmagnola, è stata accolta da generale consenso. Sembra davvero lontano il tempo della politica «mediterranea». Si trattava, è vero, di un filo-arabismo con l'occhio attento soprattutto agli interessi economici. Da Gronchi e La Pira fino ad Andreotti, passando per Mattei, la linea della politica filo-araba è stata costante. A Roma nel 1995 si inaugurava la più grande moschea d'Europa, su terreno gratuitamente messo a disposizione dal Comune. Ma a quella posizione non corrispondeva un effettivo sentimento popolare, gli italiani poco sapevano dell'Islam. Comunque del loro avviso non si curava più di tanto il potere politico, forte di un sistema blindato sul quale l'opinione pubblica aveva ben poca influenza. Al punto che - si ricorderà la crisi di Sigonella nell'ottobre dei 1985 aveva potuto tranquillamente involarsi dall'Italia il terrorista Abu Abbas. Quel medesimo che tre anni dopo venne definitivamente condannato all'ergastolo per concorso nell'assassinio dell'ebreo statunitense Leon Klinghoffer, commesso dai sequestratori palestinesi della Achille Lauro. La vera sterzata, rispetto a quella lunga stagione, è stata effettuata dall'attuale governo con la decisione di sostenere la guerra in Irak, inviando poi carabinieri ed esercito al fianco di americani e inglesi, per una «missione di pace» che si va facendo sempre più ardua. E questa volta si tiene conto eccome dell'opinione pubblica, che è stata sollecitata con ogni strumento di pressione mediatica. Non a caso, di fronte all'espulsione dell'improbabile Imam approvata dai più, gli intransigenti difensori della libertà di pensiero, che in altri tempi si sarebbero fatti sentire, non sono intervenuti, salvo i radicali. Cauto silenzio, con qualche mormorio. Se ne sarebbe potuto discutere: questo Mamour era soltanto un insopportabile provocatore o era davvero un fiancheggiatore del terrorismo? Nel primo caso si sarebbe trattato di definire i limiti invalicabili della libertà di opinione; nel secondo, non sarebbe forse stato meglio impedire a un soggetto pericoloso di nuocere, anziché lasciarlo libero di svolgere scouting terroristico a nostro danno, da comode basi africane? Samuel Huntington, il teorico dello «scontro delle civiltà», diceva in un'intervista nel 2002 che «Le tensioni sono destinate a peggiorare se i Paesi europei non riescono ad aumentare l'integrazione degli stranieri e a rassicurare i propri cittadini». Non illudiamoci allora che i problemi della convivenza multietnica possano affrontarsi usando lo strumento della espulsione per decreto come una valvola di sicurezza, il cui funzionamento richiede oltretutto la collaborazione del Paese cui appartiene l'espulso. Siamo in guerra, si dice: ma chi è il nemico? Il terrorismo. Già, ma il terrorismo è un metodo, non un soggetto. Occorre dunque, mantenendo la giusta fermezza e cercando di recuperare la capacità di civile confronto, ridare spazio all'iniziativa politica, più che alle armi. L'alternativa è quella, voluta dal terrorismo, di convivere con il rischio di una strisciante guerra civile planetaria.

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