E i «ragazzi di Salò» tornano nell'abisso

E i «ragazzi di Salò» tornano nell'abisso NEL '96 VIOLANTE DISSE: «BISOGNA SFORZARSI PI CAPIRE LE RAGIONI PI CHI Si SCHIERO' PA QUELLA PARTE». E APESSO... E i «ragazzi di Salò» tornano nell'abisso Ciampi ammise che cerje scélte nascevano da amor di pàtria" De Gregori, cantautoréìi sinistraj parlò di «individuaìe onestà» Filippo Ceccarelli CI saranno rimasti male, i «ragazzi di Salò», a ritrovarsi di nuovo inchiodati nella «pagina vergognosa» della Repubblica sociale. Prima sollevati da quel disonore, presi a modello di compiuta pacificazione civile, perfino celebrati in libreria, in mvisica, in tv. E ora... Ora basta. I ragazzi di Salò comparvero in un passaggio del discorso con cui, nel 1996, un sicuro antifascista come Luciano Violante si insediò alla guida dell'assemblea di Montecitorio: «Bisogna sforzarsi di capire - disse appunto Violante i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perdut o si schierarono dalla parte di Salò». Qualche anno dopo, ma in modo evidente nel 2001, questa riflessione venne accolta dal presidente della Repubblica. Carlo Azeglio Ciampi non disse mai che Salò equivaleva alla Resistenza. Si trattava pur sempre di una scelta sbaghata, ma alcuni fra quanti l'avevano compiuta erano mossi dall'ideale di patria. E adesso? Beh, la pohtica ha i suoi tempi e le sue esigenze. E Fini ha pronunciato parole fin troppo chiare, nella loro sommarietà. Posto di fronte al dilemma, ha dovuto scavalcare Ciampi e Violante, conquistando il titolo. Salò: vergogna. E si può addirittura essere d'accordo, è stato così per decenni. Ma al dunque continua a sembrare ima terribile lotteria, la vita pubblica itahana, che condanna e riabihta, rilegge e certifica, esalta e riabbatte con la stessa inesorabile disinvoltura. Quante parole al vento. O forse no, vai a sapere. Fatto sta che sull'esperienza storica del fascismo repubblicano e sulla vicenda personale di quanti si trovarono da quella parte qualche passettino in avanti sembrava fatto. La fine della demonizzazione e della vergogna. O per lo meno: di questo c'era più di un segno, e tanto più prezioso in quanto venuto dagli ex nemici di ieri e di oggi. Ad esempio: «Qui si fa l'Italia e si muore/ dalla parte sbaghata/ in una grande giornata si muore/ in una bella giornata di sole/ dalla parte sbaghata si muore»: così Francesco De Gregori, nella sua canzone «IZ cuoco di Sa/o;;. Era il 2001 quando questo cantautore, dichiaratamente di sinistra, riconobbe: «Ora possiamo vedere le cose con più distacco e quindi conoscere le ragioni forti, individualmente oneste, di molti che erano a Salò». A questi «molti» è ispirato «T figli dell'Aquila» (Sperling 8- Kupfer), romanzo di Giampaolo Pansa, best-seller del 2002. In quello stesso anno i giovani combattenti della Rsi hanno in qualche modo ottenuto il massimo riconoscimento che l'attuale regime (di rappresentazioni) può tributare a qualcuno o a qualcosa: la^ìrtion televisiva su Raiuno. Ne «La guerra è finita», storia di giovani che si combattono senza smettere di restare amici, il milite repubblichino è interpretato da Alessandro Gas- sman. C'era insomma da registrare una nuova sensibilità a proposito di Salò. Di questa atmosfera, fino a dieci anni fa del tutto imprevedibile, danno conto con grande scrupolo Luciano Lanna e Filippo Rossi nel loro esaustivo «Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra», appena uscito da VallTchi. Qualcosa che andava oltre una mera impostazione strumentale, sia pure ammantata di «revisionismi falsificanti)) per dirla con Violante; ma soprattutto qualcosa di più, in verità, di una semplice moda passeggera. Alla musica, alla letteratura e allo spettacolo facevano in effetti riscontro studi storie anche seri, come l'edizione critica dell'Archivio di Stato su «I verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica sociale itahana», con l'introduzione dello storico Aldo G. Ricci che ricordava la necessità di «una storia da scrive¬ re». E non più solo da riscrivere. La memorialistica, d'altra parte, aveva già fatto un bel salto con il racconto quasi liberatorio di uno studioso di formazione socialista, Roberto Vivarelh, che nel 2000 aveva pubblicato, con la casa editrice Il Mulino, «La fine di una stagione. Memorie 1943-1945». La storia appunto di un ragazzo, anzi per la verità di un ragazzino, arruolatosi nelle brigate nere a 14 anni, e ora pacatamente disposto a riven¬ dicare quel suo pezzo di vita: «Non c'è niente di cui pentirsi nell'essere stato a Salò». Nel frattempo Carlo Mazzantini, autore di «A cercar la bella morte» e «I balilla andarono a Salò» (Marsilio) saliva insieme con l'eroe della Resistenza Edgardo Sogno i gradini del Vittoriano e dialogava con Sasà Bentivegna, il gappista di via Rasella. Era in fondo la fine di un tabù. O almeno lo sembrava. Il cantante Francesco De Gregori Un'Immagine della Rsi: Alessandro Pavolini, segretario del Partito fascista repubblicano, passa in rassegna i giovanissimi «ragazzi di Salò»

Luoghi citati: Italia, Salò