Non puoi curarlo se non capisci che ia un'altra cultura di Gianfranco Marrone

Non puoi curarlo se non capisci che ia un'altra cultura Non puoi curarlo se non capisci che ia un'altra cultura Gianfranco Marrone UNA ragazza di tredici anni, originaria deU'ex Zaire e residente in Francia da due anni, viene accusata di mangiare carne umana. Interrogata in proposito, lei stessa conferma: «La mangio cotta, grigliata, come nel barbecue». Raccapricciante caso di cannibalismo? No, se ci si mette dal punto di vista dell'oggettivismo occidentale: è solo immaginazione. Sì, se assumiamo la prospettiva africana: tanto che i parenti soffrono di disturbi fisici connessi a quest orribile pratica tradizionale. Non si capisce, o comunque non è così semplice, se ci collochiamo a metà strada, in un confine che è quello della traduzione fra due culture, fra due lingue, fra due sistemi di valori, fra due diverse concezioni del mondo. Questo confine di perenne, dolorosa, parziale ma necessaria traduzione è quello dell'etnopsichiatria praticata da più di vent' anni da Tobie Nathan, professore nella prestigiosa Università di Paris VIE, impegnato in una quotidiana pratica di terapia psichiatrica dei migranti, per lo più provenienti dall'Africa, che si installano in modo pressoché stabile in Francia. Questa terapia è molto diversa da quella della psichiatria e della psicologia in uso con i pazienti occidentali. Deve sforzarsi di comprendere usi e costumi, credenze, religioni e lingue di persone che, a dispetto d'ogni possibile globalizzazione, sono profondamente diversi da noi. E deve in seguito ricostruire in che modo la migrazione provochi a questa gente disagi psicologici e fisici molto precisi, che non sono tipici né del luogo d'origine né di quello d'arrivo ma, per così dire, del loro interstizio interculturale. Così, nel caso deUa ragazza sospetta di cannibalismo, occorre innanzitutto accorgersi che in lingala il termine baleyi significa "mangiare", ma vuol dire al tempo stesso "praticare un sortilegio" di tipo molto particolare, che ha conseguenze a lungo termine sui parenti stretti, si svolge solo durante la notte, comporta un riawicinamento segreto con certi antenati. Le numerose connotazioni della parola possono essere chiarite soltanto se si colloca l'intero discorso svolto sia dalla ragazza sia dai suoi familiari nell'adeguato contesto culturale, dove quella che noi chiamiamo stregoneria è una forma di comportamento sociale accettato e ricco di senso. Per trovare forme efficaci di cura della ragazza, e dell'intera famiglia, è necessario allora ricostruire ciò che essi pensano dei loro stessi disturbi psichici e fisiologici, sapere in che modo si curerebbero se fossero ancora nel loro paese d'origine, e soprattutto riconoscere il fatto drammatico che non possono più curarsi in quel modo lì, perché nel paese dove adesso si trovano le terapie africane vengono considerate ùrazionali, fantastiche, false. Cos'è allora l'etnopsichiatria? Come è evidente leggendo i saggi di Nathan raccolti in iVon siamo soli al mondo, è la forma più avanzata di filosofia dei nostri tempi: oltre ad avere una particolare visione della psichiatria e dell'etnologia, ha anche precise idee sulla politica, sulla religione, sulla morale, sul linguaggio, sui simboli, sugh oggetti. Accade per esempio che la cura di quei bambini africani emigrati in Europa che la psichiatria occidentale definirebbe come "autistici", il cui disturbo di base è la difficol- tà di parola, porti a mettere in discussione le più diffuse idee sul linguaggio. Un bambino non parla. Sì, ma quale lingua non parla? Nella famiglia di quel bambino, ci si esprime in tre lingue: la madre parla il cabilo; il padre il cabilo, male il francese e un po' di arabo; i fratelli solo il francese. Qual è dunque la lingua che il cosiddetto autistico ha difficoltà a imparare? Quella dei genitori, quella degh antenati, quella della terra dove è nato? Senza una risposta a questi interrogativi, nessuna cura sarà possibile. A dispetto di quello che pensano numerosi psicologi e linguisti, non si parla mai un linguaggio, si parla sempre quella precisa lingua. In tal modo, il messaggio "quasi banale" lanciato in sordina daU'etnopsichiatria finisce per essere esplosivo: «si tratta di un incoraggiamento a percepire il mondo come moltephce, a non lasciarsi prendere dai miraggi di un'astratta universalità, a non cedere alle pressioni dei potenti del momento che voghono una verità per mille armi». Da cui il titolo del libro, meno rassicurante di quanto non sembri. L'etnopsichiatria è la filosofia dei nostri tempi: si sforza di comprendere usi e costumi, religioni e lingue di persone che, a dispetto di ogni possibile globalizzazione, sono profondamente diverse da noi Tobie Nathan, etnopsichiatra Tobie Nathan Non siamo soli al mondo Bollati Boringhieri pp. 258. e 28 S A G G

Persone citate: Tobie Nathan

Luoghi citati: Africa, Europa, Francia, Zaire