Al maschio fa paura a donna passionale di Augusto Romano

Al maschio fa paura a donna passionale Al maschio fa paura a donna passionale Augusto Romano QUALE uomo non ha mai detto alla compagna: «Non fare l'isterica!»? Frase occasionale ma radicata in un terreno molto fertile. L'isteria come malattia femminile, espressione riassuntiva di un giudizio che attribuisce alle donne irragionevolezza e incapacità di autocontrollo. Le dorme sono incomprensibili, misteriose, pericolose, e perciò anche attraenti: l'immaginario maschile si è in ogni tempo nutrito di immagini femminili di fascino ambiguo. Romanzi, film, fumetti hanno celebrato la femme fatale, spesso vittima ella stessa del proprio destino. Donne da vagheggiare, donne che fanno sognare, che mettono i brividi. Ma poi si sposa la collega d'ufficio, che è una brava ragazza e terrà in ordine la casa, partorirà e accudirà i figli. Se ogni tanto protesta, ecco allora la frase fatidica: «Non fare l'isterica!». Salvo, di quando in quando, andare al cinema il sabato sera a vedere un bel film passionale. Dunque, la passione ha i suoi recinti, le sue riserve indiane: serve a far piangere con poca spesa. Ancor più nella società post-moderna, ispirata al gusto del bricolage, anche affettivo. Anche se in certi momenti di malumore un acre gusto di libertà prende alla gola, sprigionandosi dai ricordi di una adolescenza opportunamente cancellata insieme ai suoi ingenui eccessi emotivi. La passione non ha spazio legittimo, a meno di essere incidentale, nel mondo adulto, cioè nel mondo delle regole e delle istituzioni. La cultura maschile, che crede di essere razionalista, l'ha bandita sin dall'antichità come luogo del disordine, privilegiando prima lo spirito e poi l'intelletto. Sarà per questo che, come accade sempre quando si ha a che fare con ciò .che è stato negato e rimosso, una profonda irrazionalità abita il sottosuolo della vita pubblica e privata, e di là sabota i nostri propositi e le nostre azioni: come manifestamente appare nell'attuale disordine del mondo. In ogni caso, le emozioni non sono state espunte, nemmeno come progetto cosciente, dalla vita di relazione; né sarebbe stato possibile, dato che l'uomo non è onnipotente. La cultura maschile si è però dedicata con impegno a una complessa operazione di idraulica sociale, volta, se così si può dire, ad «angelicare» la donna. Elena Pulcini, non dimenticata autrice di Amourpassion e amore coniugale (Marsilio), ha raccolto in questo bel libro. Il potere di unire, un gruppo di saggi intesi a illustra¬ re le strategie impiegate per reprimere, canalizzare, edulcorare i moti passionali, costruendo un'immagine del femminile funzionale agli scopi della società maschile. Lasciando da parte l'antichità classica, cui l'autrice dedica pagine penetranti, basterà accennare a come la modernità abbia strutturato la posizione delle donne nella società e nella famiglia. Secondo una ideale divisione dei compiti, agli uomini è stata riconosciuta come legittima la ricerca del potere e l'autoaffermazione neU'rmbito della vita politica e sociale. Alle donne, escluse dalla vita pubblica, è stato riservato lo spazio protetto della famiglia e la funzione di amministratrici degh affetti. Il rapporto uomo-donna si è dunque definito secondo un modello dicotomico: maschile/femminile, logos/eros, libertà/necessità, universale/particolare, pubblico/privato, ragione/passione... Ma, a guardar bene, anche l'uomo ha diritto a nutrire delle passioni: le passioni «superiori» (passione acquisitiva, desiderio di riconoscimento e di prestigio); queUe «inferiori», proprie delle donne, sono piuttosto passioni «tenere», sentimenti (amore coniugale e matemo, affettività donativa e altruistica). Merito della Pulcini è di aver dipanato il filo di queste opposizioni, traendolo dalle riflessioni dei fondatori della cultura liberale e borghese. Rousseau è stato forse il più abile organizzatore del consenso intorno a una immagine di donna mite, modesta, pudica, altruista, dedita alla cura del marito e dei figli. Accoghere, accudire, sedare, educare i futuri cittadini, assicurare la felicità del coniuge: questa la sua funzione sociale, fondata sul suo talento relazionale, in nome della quale ella viene valorizzata e ambiguamente idealizzata. Cosa resta in questa figura Biedermeier della fiamna di Eros, di quella passione che ci obbliga a riconoscere la nostra originaria mancanza e a sporgerci fuori di noi e della nostra presunta autosufficienza? Evidentemente niente, e bisogna essere Karenina, o Bovary, per esporsi in un modo così naturalmente impavido al rito sacrificale. Con notevole sapienza compositiva e in imo stile chiaro e scorrevole, l'autrice raccoglie intorno al tema della condizione della donna i materiah per una storia della modernità e delle sue inquietanti derive, nonché ima serie di scenari relativi alla mitologia del femminile. Innestandosi in modo originale nel solco della riflessione femminista ed utilizzando in modo non estrinseco i concetti e gli strumenti della psicoanalisi, specie di quella di matrice junghiana, Pu cini affianca al discorso descrittivo le linee di un progetto (una speranza? una fantasia generosamente ottimistica?) che riguarda le auspicabili trasformazioni dell'identità femminile. Partendo daha fondamentale constatazione che la duahtà è inerente alla stessa biologia della donna, alla sua possibilità di diventare madre, ella riafferma la centralità, nella esperienza della donna, della funzione connettiva, e quindirùnportanza del legame, ma al tempo stesso riformula il concetto di cura. Questa non dovrebbe essere considerata come una forma di oblatività «naturale», quanto piuttosto come l'esposizione all'altro nella coscienza di una comune insufficienza e bisognosità. L'orizzonte è perciò quello della reciprocità: l'altro è il testimone della nostra carenza, della nostra stessa alterità intema, ma noi gh offriamo un analogo specchio. Non più solo consolatrice e nutrice, la donna può trarre proprio dal rapporto con la matrice corporea, con il deposito delle potenzialità emotive ed espressive racchiuse nell'inconscio, la legittimazione a reintegrare nell'amore per l'altro il pathos, cioè l'eccesso, il disordine, il conflitto, la possibilità del distacco. Eros deve tornare a implicare Tanathos. E' pur vero che Pulcini, con una mossa che scherzosamente potremmo definire riformista (illuminista?), mette in guardia le donne dagli eccessi della passione e del desiderio, nei confronti dei quah suggerisce un atteggiamento di distanza riflessiva. Ma alla fine, giacché sa bene che non si dà trasformazione senza esperienza del caos, riapre i giochi recuperando il «coraggio del negativo» e, sulle orme di Bataille, l'idea di passione «quale dimensione trasgressiva e caotica che introduce una "ferita" permanente in ogni presunta compattezza del soggetto». Lévi-Strauss ha scritto una volta che Freud, anziché interpretare il mito di Edipo ne ha scritto un altro capitolo. Lo stesso può dirsi per gli innumerevoli commenti ai miti del femminile, da Platone a Bachofen a Jung. Avvicinarsi a quell'area significa esseme calamitati, giacché le figure mitiche sono inesauribili e sempre fecondano l'immaginazione e i pensieri di chi si espone al loro influsso. La Grande Madre della vita e della morte, Afrodite, Artemide, Atena, Maria... L'autrice di questo libro ha di nuovo coraggiosamente evocato per noi (penso soprattutto a noi uomini, immersi in una distrazione epocale) le figure del mito e la loro insondabile potenza. La cultura maschile nega e rimuove le emozioni del cuore, le considera inferiori, quindi femminili, ai sentimenti oppone l'intelletto, teme il «caos irrazionale», vuole per sé il mite «angelo del focolare» pudico e sottomesso: così uccide Eros Elena Pulcini Il potere di unire Bollati Boringhieri pp. 194. e 18 S A G G «Giove e lo»: un dipinto del Correggio per il Duca di Mantova

Persone citate: Bataille, Elena Pulcini, Freud, Jung, Platone, Pulcini, Rousseau, Strauss

Luoghi citati: Correggio, Mantova