«Non avrebbe mai fatto la guerra di Bush» di Paolo Mastrolilli

«Non avrebbe mai fatto la guerra di Bush» ARTHUR SCHLESINGER, FIDATO CONSIGLIERE E BIOGRAFO DEI «MILLE GIORNI« RISPONDE AGLI INTERROGATIVI SULL'ATTENTATO «Non avrebbe mai fatto la guerra di Bush» Perché non credeva che gli Usa fossero onniscienti e onnipotenti intervista Paolo Mastrolilli NEW YORK ARTHUR Schlesinger, la coscienza storica della presidenza Kennedy, dice di essere «agnostico» quando gli chiedi se Lee Harvey Oswald agì da solo a Dallas. Ma poi aggiunge: «Non credo che il rapporto della Commissione Warren abbia riportato l'intera verità, e tutti i fatti a conoscenza della Cia e dell'Fbi. Forse alcuni elementi sono rimasti nascosti per incompetenza, più che per un complotto da film di Oliver Stone, ma comunque manca una ricostruzione completa delle indagini». Lo storico Robert Dallek, nel suo libro «An unfmished life», avanza il sospetto che l'amministrazione Johnson abbia fatto pressioni su Warren, affinché evitasse conclusioni che potevano provocare ima crisi intemazionale con l'Urss o Cuba. Lei ha lo stesso dubbio? «Dallek ha ragione: ci fu un tentativo di evitare che le indagini generassero complicazioni intemazionali. Ma gli anticastristi, più che i filocastristi, sono i miei sospettati». Quindi lei non crede che Oswald abbia agito da solo? «Su questo punto sono agnostico. Ma il comportamento di Jack Ruby, che lo uccise, non avvalora la tesi del killer solitario». Dov'era lei quel 22 novembre di quarantanni fa, e cosa provò quando seppe della morte di Kennedy? «Ero a New York, a pranzo dall'editrice di Newsweek Katharine Graham con Kenneth Galbraith. Una persona entrò nella sala e disse: «Credo lei debba sapere che hanno ucciso il presidente». La prima reazione fu pensare ad uno stupido scherzo. Quando divenne chiaro che non lo era, provai dolore, incredulità e rabbia. Dolore per il legame umano, incredulità che una cosa simile potesse accadere negli Usa, e rabbia per le speranze che svanivano con lui». In quei momenti temevate ima crisi nazionale o anche un attacco straniero? «Ci furono ore di grande preoccupazione, ma il passaggio dei poteri avvenne senza complicazioni. Johnson, sul piano interno, continuò l'agenda di Kennedy, in particolare nel campo dei diritti civili e delle iniziative sociah. Sul piano della politica estera, invece, ci trascinò in una guerra che il presidente non avrebbe mai autorizzato». E' vero che Kennedy voleva riaprire il dialogo con Castro? «Aveva già cominciato a sviluppare contatti segreti. William Attwood, l'ex direttore della rivista Look nominato ambasciatore in Guinea, aveva ricevuto l'incarico di attivare un canale di comunicazione. Lo aveva fatto all'Onu, dove era stato assegnato nel 1963 come consigliere dell'ambasciatore Stevenson. Noi sapevamo che la crisi dei missili aveva urtato Castro, I provocando in lui un forte risen| timento verso i sovietici, che lo avevano sfruttato e poi ritirato i vettori senza avvertirlo. Sapevamo che ciò aveva aperto una possibilità di dialogo e la stavamo sfruttando: anche il giornalista francese Jean Daniel aveva fatto da tramite, portando messaggi ai due leader. Poi, con Johnson, questi spiragli si chiusero e cominciò l'escalation». Per questo lei sospetta degli anticastristi? «Avevano un motivo forte per eliminare il presidente». Ci sono prove che Kennedy pensasse al ritiro dei sedicimila consiglieri americani dal Vietnam? «Aveva detto in varie occasioni che intendeva farlo, e poco prima di morire aveva avviato una revisione della nostra politica in Indocina. Tanto il ministro della Difesa McNamara, quanto il consigliere per la sicurezza nazionale Bundy, hanno sempre detto che l'escalation fu possibile con Johnson, ma Kennedy non l'avrebbe mai autorizzata. Lui si era opposto all'escalation dopo la Baia dei Porci, a Berlino, durante la crisi dei missili a Cuba, e ci sono gli elementi per pensare che l'avrebbe evitata anche in Vietnam». I critici sostengono che Kennedy non aveva realizzato molto del suo programma, specie sul piano interno. «E' vero, e lui stesso era deluso. Diceva che nei primi tre anni c'erano state troppe crisi intemazionah a distrarlo. Sulla questione dei diritti civili, poi, i Kennedy all'inizio non avevano afferrato la dimensione morale del problema. Poi però il presidente aveva deciso di agire, e puntava sul secondo mandato per completare l'agenda, anche perché nel primo non aveva una maggioranza parlamentare solida. Se avesse affrontato Goldwater, avrebbe ottenuto un successo ancora più netto di Johnson, che infatti riuscì a far approvare molte leggi pensate con Kennedy». Perché quarantanni dopo Kennedy affascina ancora? «Era il presidente più giovane mai eletto, il primo nato nel Novecento, il primo cattolico: aveva alimentato possibilità e speranze rimaste incompiute». Cosa resta della sua eredità politica? «Oggi poco: lui non avrebbe mai accettato la dottrina della guerra preventiva, perché non credeva che gli Usa fossero onniscenti e onnipotenti. Dopo l'I 1 settembre c'era stata un'ondata di simpatia per noi, che Bush ha sperperato con la sua arroganza. Ora nel mondo sono tutti risentiti verso Washington, ma proprio per ciò credo che finiremo per tornare all'America di Wilson, Roosevelt e Kennedy». j&^fe Appresi ^" la notizia mentre mi trovavo a pranzo a New York da Katharine Graham con Kenneth Galbraith La mia prima reazione fu di pensare a uno stupido scherzo Dopo subentrarono dolore rabbia faìtk e incredulità ^^ 66 lo avevano distratto Il presidente ammetteva che le crisi internazionali dal suo programma Ma era convinto di poterlo completare nel secondo mandato per il quale sperava in una più solida maggioranza congressuale 99 «lo non credo che il Rapporto Warren abbia riportato tutti i fatti a conoscenza di Cia e Fbi» «Sono agnostico ma i miei sospetti vanno sugli anticastristi piuttosto che sui filocastristi» John con il fratello Robert, ministro della Giustizia John Kennedy con il suo vice Lyndon Johnson alla Casa Bianca r FSAJspmscidsnsaqmdpKr Robert e Jackie, con i figli del Presidente, ai funerali di Stato