I boss sono nullatenenti, paga lo Stato

I boss sono nullatenenti, paga lo Stato UN MILIONE E 650 MILA EURO Al FAMILIARI DI FALCONE E MORVILLO I boss sono nullatenenti, paga lo Stato Per il fisco Brusca è un poveretto Litio Abbate corrispondente da PALERMO Il giudice civile del tribunale di Caltanissetta, Antonino PorraccioIo, ha ordinato di liquidare un milione e 650 mila euro alle sorelle del giudice Giovanni Falcone e ai famiUari di Francesca Morvillo, morti nella strage di Capaci. Sono stati condannati a risarcire la somma i pentiti Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi, due dei boss che hanno avuto inflitta la condanna definitiva per l'attentato del 23 maggio 1992. Da questo provvedimento emerge che Brusca e Cancemi non hanno propri patrimoni e così sarà lo Stato a risarcire le sorelle di Falcone, Maria e Anna, la madre di Francesca Morvillo e il fratello Alfredo, procuratore aggiunto a Palermo. La somma sarà prelevata dal fondo statale di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. «Abbiamo instaurato la causa nei confronti di due dei killer di Capaci - dice Maria Falcone - poi diventati collaboratori di giustizia solo per rendere più semphce il processo. Non c'era alcun intento particolare in questa scelta». Capimafia del calibro di Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi sarebbero dunque, per il fisco, dei poveracci. Ai due boss non sarebbero intestati beni che potrebbero essere aggrediti, in sede civile, dai creditori che hanno preteso il risarcimento. I beni che i magistrati hanno scoperto intestati a prestanomi sono stati sequestrati su ordine dei giudici della sezione misure di prevenzione. In questo modo, con il fondo di solidarietà per le vittime, il risarcimento viene effettuato dallo Stato. I boss utilizzano le istituzioni anche per altri scopi personah; da alami anni sostengono di essere indigenti per avere riconosciuto il gratuito patrocinio, che evita ai capimafia di pagare di tasca propria le spese legali. Il carico delle parcelle, anche in questo caso, passa allo Stato. I «comandamenti» di Cosa nostra imponevano ai mafiosi ài non avere rapporti con lo Stato: non potevano sposarsi nemmeno con la lontana parente di un vigile urbano e in carcere avevano lohbligo di rifiutare persino il vitto. Insomma, nulla dallo Stato e dai suoi dipendenti. I tempi cambiano cosi come le regole interne a Cosa nostra. Oggi decine di boss chiedono allo Stalo il gratuito patrocinio nei processi in cui sono imputati. Giuseppe Lucchese, superkÙler e pluriergastolano. Salvatore Biondino, autista di Totò Riina; Domenico Ganci, Nino Mangano, Marcello Tutine, Nino Madonia, Giuseppe Agrigento e tanti altri hanno formalizzato richiesta di assistenza, che è stata respinta. Per accedere al gratuito patrocinio l'imputato deve percepire un reddito inferiore ai cinquemila euro all'anno. La difesa può essere affidata anche ad un legale di fiducia che presenta la parcella al ministero della Giustizia. Anche il boss latitante da oltre 40 anni, Bernardo Provenzano, il capo di Cosa nostra, accede da diversi anni a questo istituto. Lo Stato ha pagato per la sua difesa nel processo per l'omicidio del giornalista Mario Francese, per il quale il boss è stato condannato all'ergastolo, diciassettemila euro lordi. E' la cifra della parcella del suo difensore d'ufficio. Ariconoscerlo per la prima volta alla ((primula rossa» sono stati i giudici della Corte d'assise di Palermo che gli hanno riconosciuto l'accesso al gratuito patrocinio lo scorso mese di maggio. Queste incongruenze su capimafia ((falsi-poveri» sono emersi anche in altri casi. Salvino Madonia, 44 anni, rampollo di una delle più potenti famiglie mafiose del palermitano, ha ottenuto da anni il gratuito patrocinio, sostenendo di essere nullatenente nonostante indossasse mutande Ferrè, calzava scarpe Tod's, mangiava in cella solo spigole e pesce spada, e ogni mese la famiglia gli inviava 400 euro, il massimo consentito dal regolamento, danaro die gli serviva per "ie pìooole spese m caroere. Sulla base di questa radràgraiia della vita del boss m càia compiuta dalia sezione misure di prevenzione della questura di Palermo la procura ha poi chiesto ed ottenuto la revoca del beneficio. Condannato a più ergastoli per numerosi omicidi, considerato uno dei kUlerniù pericolosi dei corleonesi, accusato di avere assassinato l'imprenditore Libero Grassi, Salvino Madonia è figlio di don Ciccio, potente alleato di Totò Riina, membro della cupola mafiosa e condannato all'ergastolo nei processi delle stragi. E lo stesso giorno dell'eccidio di Capaci una voce anonima telefonò in questura sostenendo che la strage era stata «un regalo di nozze per Salvino», che si era sposato proprio quel giorno allUcciardone. La strage di Capaci

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Falcone, Palermo