L'ultimo saluto dell'Italia ai suoi eroi

L'ultimo saluto dell'Italia ai suoi eroi Due ali di folla hanno salutato con un applauso ininterrotto dal Vittoriano alla chiesa fuori le mura Giovani avvolti dalla bandiera, militari in divisa, autorità dello Stato che fanno posto ai parenti FUNERALI L'ultimo saluto dell'Italia ai suoi eroi Un lungo abbraccio, tanti tricolori poi il silenzio in San Paolo reportage Maria Cerbi ROMA LA basilica di San Paolo è troppo piccola per contenere tutte le persone, decine e decine di migliaia, arrivate a dare l'ultimo saluto ai diciannove caduti a Nassiriya, gli eroi che hanno risvegliato l'Italia patriottica e il mito del coraggio. Sono loro gli eroi moderni, vittime in terra straniera di terroristi suicidi, per garantire la pace in mezzo della guerra. E quando sfilano per le strade della città su carri scoperti, affiancati da granatieri a cavallo, il silenzio rotto dagli applausi li accompagna, lacrime di sconosciuti li piangono. Due ali di folla non li abbandonano per tutto il tragitto dal Vittoriano a piazza Venezia fino alla basilica di San Paolo, passando per i Fori Imperiali e il Colosseo, per l'ultimo saluto in diretta tv. Sono tante le bandiere tricolori appese alle finestre, un grande murales rosso, bianco e verde che colora questa grigia giornata di dolore. Dall'alba migliaia di persone hanno atteso davanti alla basilica di San Paolo, ci sono reduci, ex militari, ma anche tante persone che con divisa e gradi non hanno mai avuto a che fare, moltissimi i ragazzi ■come Luigi, ISsanni romano, arrivato insieme agli amici, il tricolore come mantello: «Questi militari sono caduti per portare pace alla gente. Volevano solo fare del bene e sono stati ammazzati». Emanuela di Pomezia, 14 anni, è partita alle sette del mattino in treno: «E' giusto partecipare alle missioni umanitarie purché non siano camuffate da guerre...». Sul viale che porta alla chiesa sono schierati i carabinieri a cavallo, prima dell'ingresso fanno ala i Granatieri di Sardegna, ci sono anche ex combattenti e partigiani con i labari delle loro associazioni. Quando i parenti delle vittime dalle 10,30 iniziano ad entrare nella chiesa le voci si abbassano in un silenzio rispettoso, molte mani sgranano il rosario, altre ancora si giungono in preghiera. Dentro, nella basilica, alle 11, non c'è più nemmeno un posto. L'altare è ricoperto di rose rosse, bianche, mischiate a foglie verdi. In fondo, nella cripta, sotto il mosaico d'oro, ci sono i gonfaloni dei Comuni d'Italia e delle varie armi militari. Per le autorità è stata preparata la parte sinistra delle navata centrale, per i familiari quella destra. Ma si capisce subito che i posti per tutti non ci sono. Così quando già uno dei vescovi sta recitan- do le Ave Maria si crea un penoso ingorgo di vedove, figli, madri e padri rimasti in piedi, relegati in posti di seconda e terza fila. Il cerimoniale Vaticano e la sicurezza sono in grande imbarazzo fino a quando la decisione non la prendono i carabinieri che accompagnano le famiglie requisendo le poltroncine rosse destinate al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, al capo del governo Silvio Berlusconi, ai presidenti di Camera e Senato. A quel punto nessuno ha il coraggio di farli alzare e si aggiungono due file di sedie davanti ai tronetti rossi. Ma i parenti delle vittime sono tanti e continuano ad arrivare. Una mamma grida: «Me lo avete ammazzato e adesso non me lo fate vedere», una moglie si dispera: «Sono i nostri morti, andate via... non voglio nessuno». Si aggiungono altre sedie, anche ai lati dell'altare. La confusione è tanta, un uomo riesce a sedersi sulla sedia di broccato d'oro destinata al cardinale Camillo Ruini. Alle 11,30 entrano le bare avvolte nel tricolore, sfilano una a una seguite dall'applauso della gente, accolte dalle note di «Avanti forza paris» cantato dal picchetto della Brigata Sassari e dal «De profundis» di Johann Sebastian Bach. Ad aprire la lenta processione la bara dal tenente Massimiliano Ficuciello, il più alto in grado, a seguire tutti gli altri. Le salme dei due civili uccisi nell'attacco terro¬ ristico trasportate a braccia dai militari della Marina e dell'Aeronautica. Silvio Berlusconi è in terza fila, il presidente Ciampi entra per ultimo e prima di sedersi si avvicina alle bare e si inchina. Con il sindaco di Roma Walter Veltroni sono arrivati anche Jean Kennedy Smith - sorella di John e Robert - e il figlio William jr. Una tromba intona il silenzio e inizia la cerimonia. Quello che colpisce è il dolore composto dei parenti delle vittime, rassegnati a viverlo davanti alle telecamere. C'è il piccolo Fabio, dodici anni, il figlio del maresciallo Filippo Merlino, seduto sulla sedia a rotelle e vestito con la divisa dell'Arma. La vedova di Giuseppe Coletta, stringe il basco nero del marito per tutto il funerale, guarda lontano, sola nel suo strazio nonostante sia circondata da una folla. Vicino a loro i militari feriti, sono in divisa con i segni dell'attentato sui volti, sulle mani. Aureliano Amedei, l'aiuto regista di Stefano Rolla entra in barella. Marilena lacobini, in tuta blu delle forze internazionali di pace, è seduta accanto all'altare maggiore pronta ad alzarsi per recitare la preghiera del carabiniere. Zoppica, ha un braccio fasciato, il cuore straziato, ma dal suo viso di bambina traspaiono solo forza e digni¬ tà. . . La cerimonia funebre solenne va avanti, il cardinale Camillo Ruini legge la sua omelia, la gente fuori segue muta sui maxischermi, quando poi uno degli officianti chiama per nome uno a uno le vittime nessuno riesce a trattenere la commozione. «Alessandro, Alfio, Alfonso, Andrea, Daniele, Domenico, Emanuele, Enzo, Filippo, Giovanni, Giuseppe, Horatio, Ivan, Massimiliano, Marco, Massimiliano, Pietro, Silvio e Stefano», una lista di dolore questa volta per ordine alfabetico e non per gradi. L'incenso riempie la basilica, la benedizione viene portata ai caduti e alle loro famiglie. Poi i feretri lasciano lentamente la Basilica, portati a spalla da carabinieri e militari dell'Esercito. Suonano le note del Piave, il coro intona «In Paradisum» e il corteo avanza preceduto da una grande croce e dai 22 tra cardinali e vescovi concelebranti, con le candele accese. Il presidente Ciampi, il premier Berlusconi, il ministro Martino accompagnano le salme fin fuori la Basilica. I parenti si confortano abbandonati sulle sedie nella navata centrale, il sipario si chiude. «Purtroppo non ancora», dice Ruggero Olla, padre di Silvio. Da qui, i 19 caduti in Iraq si dividono, ognuno verso casa. Una preghiera davanti alla bara Una carezza per il feretro del marito, nel giorno del dolore alla basilica di San Paolo