Jessica: non eroina ma sopravvissuta

Jessica: non eroina ma sopravvissuta LA SOLDATESSA LYNCH E STATA OSPITE DEL «DAVE LETTERMAN SHOW» TRASMESSO IERI SERA DA RAISAT EXTRA Jessica: non eroina ma sopravvissuta «Un giorno vorrò conoscere l'uomo che ha rischiato la sua vita per salvare la mia» intervista A Nassiriya, il 23 marzo scorso, venne gravemente ferita e catturata in un agguato la soldatessa Jessica Lynch, poi liberata da un commando delle forze spelali Usa in un ospedale iracheno. In questi giorni la sua biografìa - «I Am a Soldier, Too» - sta inondando le librerie americane. Ieri sera Jessica è stata ospite a New York del «Dave Letterman Show», trasmesso da RaiSat Extra. Ecco alcuni stralci dell'intervista. Jessica, benvenuta. Innanzitutto, come ti senti? «Grazie, mi sento bene». Che genere di danni fisici hai riportato? «Ho delle lesioni alla colonna, ho un chiodo nel femore, un chiodo nella tibia, e ho perso la sensibilità nel piede sinistro, non sento nulla. Poi ho dei chiodi e delle viti più piccole nel piede destro». Stai facendo riabilitazione? «Sì» E la diagnosi è favorevole? «Col tempo, sì, ci vorrà tempo». Quanti anni ci vorranno? «Nessuno si pronuncia, dicono solo che ci vorrà tempo». Nell'ospedale iracheno ti hanno salvato la vita? «Non so se mi hanno salvato la vita, ma hanno senz'altro contribuito a salvarmela, sì». Mentre eri in ospedale avrai avuto paura. «Sì, perché non sapevo cosa avrebbero fatto né cosa sarebbe successo». Che cosa ti hanno riferito riguardo alla reazione della tua famiglia e della tua cittadina alla tua liberazione? «Sono stati tutti molto affettuosi, ha significato molto per me perché non immaginavo che mezzo Paese sapesse chi fossi e venisse a offrirmi solidarietà e tanti gesti carini». Cos'hanno fatto i tuoi genitori quando hanno saputo del tuo ritrovamento? «Mia madre avrà pianto sicuramente, erano entrambi felici». Parlaci della tua migliore amica, Lori. «Era una persona eccezionale». L'avevi conosciuta sotto, le armi? «Sì, ho passato un armo con lei prima che accadesse tutto questo, eravamo totalmente diverse, poi a mano a mano è diventata come una sorella». Dici che eravate completamente diverse, venivate da due realtà diverse? «Lei era indiana, della tribù Hopi dell'Arizona. Aveva due figli». Parlaci della tua liberazione. La prima cosa che abbiamo saputo è che era avvenuta grazie a ima persona che ha informato le truppe americane su dove ti trovassi. È vero che ora lui vive qui? «Sì, non so che ruolo abbia effettivamente svolto ma a dire il vero ne sono felice, gli sono molto grata per quanto ha fatto, ha rischiato la sua vita per salvare la mia». Pensi che un giorno gli vorrai parlare? «Sì». E' stato lui a riferire alle truppe dov'eri ed è stato lui a disegnare la piantina che lì ha guidati alla tua stanza? «Sì». Ti trovavi in quell'ospedale da dieci giorni quando sono arrivati a liberarti? «Sì, da circa nove giorni». Nove giorni in cui avevi dei forti dolori, vero? «Sì». Non hanno fatto nulla per alleviarti il dolore? «Erano dolori causati dalle fratture, dovevo essere operata. C'era una donna che veniva da me, mi cantava delle canzoni e mi massaggiava la schiena col talco per alleviarmi le sofferenze, ma a parte questo, non hanno potuto fare altro». Qual era il tuo stato d'animo quel nono giorno? Avevo ancora paura perché non sapevo che cosa sarebbe successo o chi fosse arrivato nell'ospedale. Sentivo gli ehcotteri e gli spari fuori dalla mia stanza». Ti era già capitato di sentire degli spari prima? «Sì, continuamente. Poi sono arrivati dei soldati e ho sentito che chiedevano dove fossi ma la cosa mi spaventò». Perché anche se parlavano inglese pensavi che fossero gli altri, venuti a completare l'opera. «Esatto, non sapevo che cosa sarebbe successo». Ricordi ìn quanti hanno fatto irruzione? «No, ma erano in tanti». Immagino abbiano dichiarato di essere dei soldati americani. «Hanno detto di essere dei soldati americani e che erano lì per portarmi a casa. A quel punto ho detto: "Anch'io sono un soldato americano". Ero pronta a tomare a casa». Uno di loro si è staccato la bandierina dalla divisa? «L'ha strappata dalla propria mimetica e me lba data e io Iho tenuta stretta per tutto il viaggio». Anche il viaggio è stato pesante. Dove ti hanno portata, in Germania? «No, in Kuwait e poi in Germa¬ nia». E sei stata assistita in entrambi i posti o solo in Germania? «Solo in Germania, ci siamo fermati in Kuwait solo per controllare la pressione e le condizioni di salute generah». Ora sei tornata a casa, da quanto tempo sei tornata? «Da tanto. Seguo una terapia due ore al giorno, 5 giorni alla settimana». Sei soddisfatta di come ti hanno accolta e del libro che hai scritto? «Sì, mi ha dato la possibihtà di raccontare la mia versione dei fatti e di far conoscere quei soldati che non sono tornati dalle loro famiglie. Posso raccontare la loro storia o almenola mia versione». Hai dedicato questo libero ai 10 soldati della tua unità che sono rimasti uccisi. Pensi di esserti salvata per imo scopo più alto? «Sì, credo ci sia un motivo se mi sono salvata, per chi non ce Iha fatta è una tragedia, ma deve esserci un motivo se di quelle cinque persone sull'automezzo io sono l'unica sopravvissuta». Inizialmente in America si diceva che avessi sparato fino a "scioghere la bocca della tua arma" e che avessi fatto fuori gli iracheni a destra e a manca. Il che sarebbe grandioso, ma non è andata proprio così, vero? «No». Ti ha turbato tutto ciò o trovi solo sciocco che siano stati travisati i fatti? «Sì, ecco, è per questo che sono qui, voglio che tutti sappiano che le cose non sono andate così e rendere nota la mia versione. Non vogho assumermi il merito per qualcosa che non ho fatto». Fin dall'inizio ti hanno considerata tutti un'eroina, quando la gente ti dice che sei un'eroina, tu cosa dici? «No, sono una sopravvissuta». Éi^i II giorno ^W: della liberazione ho sentito elicotteri e spari fuori dalla mia stanza e ho avuto paura che i nemici fossero venuti a prendermi perucddermi.Poiho visto i soldati americani e uno di loro si è staccato la bandierina dalla mimetica e me l'ha data L'ho tenuta stretta A A per tutto il viaggio Z7^ In una libreria di Charleston Jessica Lynch firma le copie della sua biografia. Accanto a lei c'è l'autore del libro, Rick Bragg, ex giornalista del New York Times

Persone citate: Dave Letterman, Jessica Lynch, Rick Bragg