Burzio, un europeo a Torino
Burzio, un europeo a Torino Burzio, un europeo a Torino Fare di ogni uomo un re, un demiurgo. Era il disegno (l'utopia?) di Filippo Burzio, intellettuale fra le due culture, primo direttore di «La Stampa» dopo la Liberazione. La Fondazione a lui intitolata, venerdì 21, Palazzo dell'Arsenale, rifletterà su «Unità europea e autonomie locali». Introdurrà il convegno il neo presidente, Valerio Zanone (è succeduto all'avvocato Chiusano). Naturalmente in sintor a con l'universo ideale del professore (docente di meccanica applicata all'Accademia Militare, nonché umanista finissimo), nato a Torino nel 1891, scomparso iraprowisaraente a Ivrea nel 1948. Fu Zanone, nel 1981, a introdurre, di Filippo Burzio, gobettiano anomalo, eterodosso, «Essenza e attualità del liberalismo», un liberalismo aggiornato, il cui «fondamento più consistente va individuato nella sociologia delle élites». Vaticinava la terza unità europea, Filippo Burzio. Dopo l'unità medievale cristiana, dopo la civiltà umanistica, laica, scientifico-tecnica, capitalistica in economia e, in politica, liberal-democratica (fra Illuminismo e Grande Guerra), un'Europa che «incateni» e «diriga» i «materialismi». Un europeo di Torino e del Piemonte, Filippo Burzio. Del mondo subalpino fu «l'angelo custode» (così lo innalzerà Giovanni Arpino). Ne conosceva (ne frequentava) ogni angolo ed anima, sfuggendo le trappole oleografiche, retoriche, intimistiche. Una passione all'impiedi, che lo preservava dall'alfieriana ansia di «spiemontizzarsi». Il suo eroe, lo «zenit» dei suoi «maggiori», era Cavour, «con quel Parlamento subalpino del Decennio dopo Novara». Non dimenticando il Bel Guido, Gozzano (anche Burzio riconobbe il giovenile errore): «Sei l'evocatore incomparabile di tutto quel che nella mia vita rimase giovanile e incompiuto, arse senza ridursi in cenere...». di BRUNO QUARANTA
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