Manifesto, sfiduciato Barenghi «f ilodiessino» di Riccardo Barenghi

Manifesto, sfiduciato Barenghi «f ilodiessino» ROSSANDA NON C'ERA, PARLATO HA VOTATO PER IL DIRETTORE Manifesto, sfiduciato Barenghi «f ilodiessino» ROMA Una discussione durata un mese e mezzo, e alla fine il manifesto sfiducia il suo direttore, Riccardo Barenghi, alla guida del quotidiano di via Tomacelli da quasi sei anni, indicato da più voci come «la Jena», ovvero l'autore della omonima rubrica di prima pagina, che si esaurisce in un'unica fulminante battuta. Sfiduciato con 50 no contro 47 sì, ma con 11 astenuti che suonano come voti contro; e sfiducito dopo che lui stesso aveva posto la fiducia, Barenghi resta al suo Dosto. Finché il oda da un ato, e i redattori dall'altro, non avranno deciso chi sarà il sostituto. Il che potrebbe non essere a breve. «Jena» invece, par di capire, continuerà. Destituite di fondamento, a parlare con i redattori, le voci secondo le quali Barenghi sarebbe stato punito per una linea politica troppo filodiessina. Una semplificazione che, tra l'altro, per un giornale come il manifesto non sta nemmeno nell'ordine delle cose. Ma che potrebbe essere fiorita, invece, da un'intervento del capofila degli anti-Barenghi, Gabriele Polo (tra gli altri, ci sono anche Loris Campetti, Roberta Casalini, Ida Dominjanni), il quale nel clou dell'assemblea dell'altroieri ha lanciato il suo progetto di giornale: «Dobbia- mo rappresentare quelli che dicono no, e il no non è solo l'antiberlusconismo, visto che Berlusconi è l'autobiografia della nazione». Dal brillante aggiornamento della citazione gobettiana. Polo ha chiosato: «Noi non abbiamo compagni di òtrada». Il che è assai diverso dall'accusare Barenghi di essere filo-diesse. Infatti, raccontano i giornalisti a mezza bocca, quel che è successo è che in mesi e mesi di riunioni nelle quali si doveva "ripensare" il giornale, alla fine da una parte c'era chi «voleva fare più approfondimento», e dall'altra chi «voleva un giornale più leggero». Ovvero, dice uno dei capi desk, «Riccardo s'è trovato di fronte quelli che non volevano un giornale meno politiciz¬ zato, meno vicii-o al Palazzo, e più capace di recepire le istanze della società, o se si vuole come la politica incide sul corpo generale della società italiana». S'è trovato insomma di fronte la vecchia guardia: ma non Rossana Rossanda, che all'assemblea finale mn era presente «e nelle altre ci ha spiegato come va oggi il mondo», dice un giovane redattore, né tantomeno Valentino Parlato. Che ha pubblicamente svelato in quale direzione andava il suo voto, che al manifesto, sul direttore, è segreto (votano anche i fattorini, e la scelta va infilata in un'urna): «Io ho votato per Riccardo», ha subito detto. Alla fine, a respirare l'aria di via Tomacelli, tanta amarezza per tutti. Perché, spiega un altro redattore, «la verità è che, come in tutti i giornali, s'era addensato da tempo un malumore forte, eterogeneo, anche tra quelli che, nel corso di questi anni, non avevano accusato Riccardo di volta in volta di fare un giornale troppo filocofferatiano, o troppo no-global, o troppo antidalemiano. Insomma, c'era disagio su come si lavora, sulla disorganizzazione, c'erano le ovvie insoddisfazioni personali». Barenghi, che respinge ogni dietrologia politica sulla vicenda, sembrerebbe essere dello stesso avviso: «Sono qui da quasi sei anni...». [r. r.] Riccardo Barenghi

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