D'Annunzio, monumento a se stesso

D'Annunzio, monumento a se stesso SCRITTI GIORNALISTICI FRA L'ANNO DEL «PIACERE» E LA MORTE D'Annunzio, monumento a se stesso Guido Davico Bonino A circa sette anni dall' uscita del primo volume degli Scritti giornalistici di Gabriele D'Annunzio, esce nei Meridiani Mondadori il secondo, che comprende articoli editi tra il 1889-1938. Si tratta, ancora una volta, di un corposo volume di oltre 1900 pagine, 400 delle quali sono riservate ad un ricchissimo e foltissimo commento, veramente esemplare. Lo ha curato Annamaria Andreoli, una delle più autorevoli studiose del grande scrittore, mentre i testi sono stati raccolti da Giorgio Zanetti: non si stenta a credere a quel che si legge in una nota d'apertura, cioè che l'approntamento di tanta silloge ha richiesto «ricerche annose..., benché si resti ben lontani dalla completezza». Sono 220, all'incirca, gli interventi dannunziani su una quarantina di testate diverse: si va dal grande quotidiano nazionale, come il Corriere della Sera, o internazionale, come il Figaro, alla rivista di cultura, come II Convito, sino alla testata aziendale, come Rivista Fiat, nata nel 1926, cioè l'anno stesso del quotidiano che ospita questa nota. Gh anni che aprono e chiudono l'imponente raccolta sono, rispettivamente, quello dell'edizione del Piacere, pubblicato nel maggio da Treves (Gabriele ha, com'è noto, da poco compiuto ventisei anni), a quello della morte, il 10 maggio, colpito al Vittoriale (dove s'è ritirato, nel lussuoso isolamento :di un -«re etrusco sepolto dai suoi tesori») da un'improvvisa emorragia cerebrale, a poco meno di settantacinque anni. Se dunque il primo volume è quello che raccoglieva, in gran parte, gli articoli del D'Annunzio giornalista mondano, qui siamo dinnanzi alla più imponente opera di comunicazione e di autopromozione, che uno scrittore (e d'altissimo livello, si badi, in Europa, non solo in Italia) abbia consapevolmente realizzato intorno a se stesso. Fu Ezio Raimondi il primo a parlare dello scrittore dell'industria culturale della letteratura itahana del Novecento, come colui che si propone a modello indiscusso di comportamento, prima che di creatività letteraria: ma in D'Annunzio, osservò lo studioso, l'uno e l'altra andarono sempre, sin dagh adolescenziali, precoci esordi, di pari passo. Questo libro, cosi massiccio, è una sorta di schiacciante prova, un documento pesantemente inoppugnabile di questa tesi. E' come il copione, non senza farraggini, non senza fastidiose ridondanze, della recita perenne dell' Artifex dinnanzi ad un pubblico, che egli vagheggiava mutevole come il suo proteiforme ingegno: ma, ad un'analisi attenta di un moderno sociologo, si rivelerebbe assai più compatto ed uniforme ed emotivamente monocorde di quanto egli sì, davvero camaleontico nel suo incontenibile narcisismo avrebbe preteso. E' il pubblico della piccola e moderna borghesia leggente dell'Italia d'allora, cui gli estri continui, gh inattesi "capricci", le stupefacenti bizzarrie del Nostro fornivano frequenti occasioni di sorpresa: e, dunque, per dirla sino in fondo, facili e distraenti vie d'uscita alla sconfortante monotonia, all'opprimente grigiore della propria vita quotidiana. Ma costringere la grandezza di D'Annunzio entro così angusti parametri, resuscitando viete formule da "società dello spettacolo", è criticamente insostenibile, oltreché profondamente ingiusto. D'Annunzio non è Marinetti, perché, per servirci d'una vecchia formula oggi rigorosamente vietata, anche quando scrive in prosa, anche quando scrive su committenza (e commissionati sono sempre gh articoli, anche quando sgorgano spontanei dalla penna dello scrivente), egli è sempre poeta. Come tutti sanno, D'Annunzio partecipò con ardore indomito alla Grande Guerra, non esitando a mettere la propria vita repentagho. Perse un occhio, il destro, mentre ammarava con un idrovolante? siamo nel gennaio 1916. Recuperata la vista dell'occhio sinistro, riprende a combattere: nel febbraio 1918 entra a bordo di piccoli siluranti nel golfo del Carnaro, nottetempo, e lascia sull'acqua bottiglie con messaggi ingiuriosi per il nemico. E' la cosiddetta Beffa di Buccari. Sul Corriere della sera escono due articoli, che sono nel volume di cui discorro: due capolavori su un'occasione altrimenti impervia: «...e m'è parso di bevere il cielo, tanta era la mia avidità nel possederlo. Purità di diamante; stelle ingrandite come in un firmamento orientale; non la più lieve bava di vento; una certezza immobile». Muore Giosuè Carducci nel febbraio 1907: nel marzo D'Annunzio lo commemora Milano e il discorso diviene un articolo; al centro c'è un'immagine michelangiolesca del vecchio Enotrie: «(il vecchio era) seduto e raccolto, col capo chino, con le palme riposate su le ginocchia disgiunte... Unico segno di terribilità rimaneva, sotto la criniera canuta, l'aspra ruga verticale, la cicatrice che lascia nelle fronti gloriose il morso del pensiero...». L'attrice Vera Vergani riprende nell'aprile 1922 all'Argentina di Roma La figlia di Iorio, che lui aveva scritto in un mese a Nettuno fra il luglio e agosto 1903: «Domani notte, nella notte tra il sabato di Resurrezione e la domenica di Pasqua maggiore, mi piacerebbe di ritrovarmi su la spiaggia di Nettuno; mi piacerebbe di camminare solo in sogno dietro il gregge nero e bianco, e di ripassare a guado il Loricino, e di riguardare i monti di Cori spetrati dall'albore della luna scema.e di riascoltare in me la fedele tristezza della mia stiix.o». Un'altra ripresa spetta nel 1934 addirittura a Pirandello, sempre a Roma, nello stesso teatro (in platea ci saranno Gordon Craig e Jacques Copeau): D'Annunzio ringrazia per la «prova fraterna» offertagli «in tanta lontananza», quella di riproporre trentun'anni dopo ad un pubblico intemazionale quella «che non è se non ima grande canzone popolare per dialoghi. E non serbi tuttora nell'Orecchie gli accenti e le cadenze delle stupende canzoni di Sicilia?». Null'altro che un giudizio e un ringraziamento: ma chi scrive oggi così in Italia? Circa 220 interventi su una quarantina di testate diverse: la più imponente opera di comunicazione e di autopromozione, che uno scrittore (e d'altissimo livello, in Europa, non solo in Italia) abbia consapevolmente realizzato intorno alla sua persona La recita perenne dell'Artifex dinnanzi ad un pubblico (piccola e moderna borghesia) che egli vagheggiava mutevole come il suo proteiforme ingegno MORTE Sergio Pent e o be ninte egli tico narcisiil pubblina borghea d'allora, gh inattesi nti bizzaro frequena: e, dunondo, facili alla sconopprimenvita quotiandezza di sì angusti o viete forpettacolo", ibile, oltre ingiusto. inetti, perna vecchia ente vietae in prosa, u commit sono semhe quando alla penna è sempre D'Annunzio indomito on esitando ta repenta, il destro, n un idrovonaio 1916. dell'occhio ombattere: a a bordo di lfo del Carscia sull'acsaggi ingiua cosiddetul Corriere articoli, che ui discorro: n'occasione Caino, a Marsun po' un po' D" IMggcherche del code Izzo. Profmare, sugli ecgh incitamengomito alzatouna nuvola dda che è già PProssimi, comle resa dei conte. Ma Izzo eClemente Taparrebbe un gè l'ennesimofosche nell'afcasa nostra: uGenova - a suMarsiglia - chsorpresa, giosu un persoentrambi istelia, dalle sue pdal presentetutti gh effettglia, come cie, nelle sue fpesanti dal sa condensarcomuni dell'hlasciare quellfrancese. Caino Lanprorompentele da definiremblematicoventare un gminatore nelcittà per spamercato di dma soprattuCaino gioca Vitelli, a cui poter immetenorme partnuovo tipo Caino agisce cante hippy sto conto di affetti non amondo di pCaino loecontin frebutte sorellista codario potta una roulesprecano scorismi coUettresa dei con Gabriele D'Annunzio Scritti giornalistici 1889-1938 voi. 2 Mondadori pp. CVi-1922. «49 CLASS C I