«Traditori nella guerra contro la mafia» di Lirio Abbate

«Traditori nella guerra contro la mafia» LE TALPE AL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PALERMO «Traditori nella guerra contro la mafia» I procuratore Grasso: hanno messo a rischio la vita dei magistrati Lirio Abbate corrispondente da PALERMO «In guerra i traditori venivano fucilati, ma siamo in un Paese democratico e gli indagati hanno bisogno di tutte le garanzie giudiziarie». Il procuratore Piero Grasso rompe così il silenzio dopo l'arresto dei due marescialli della Dia e del Kos, Giuseppe Giuro e Giorgio Piolo, accusati di essere le talpe che avrebbero informato l'imprenditore Michele Aiello, il patron della Sanità privata in Sicilia, finito in carcere per associazione mafiosa. Il capo dei pm palermitani riprende le parole che il gip Giacomo Montalbano ha utilizzato per definire i due sottufficiah come «traditori». Ripercorrendo l'inchiesta che ha svelato «gli infedeli». Grasso dice: «La rivelazione di informazioni riservate ad indagati di mafia ha messo in pericolo l'incolumità dei magistrati della Dda. Onesta vicenda ci addolora e le indagini, portate avanti con grande riservatezza, ciba fatto scoprire un retroscena pericoloso. Adesso si spera che le indagini successive che riguardano altri processi, e in particolare le indagini sulla cattura di grandi latitanti, possano essere svolti senza incidenti di percorso». «Considero - dice il capo della Dda di Palermo - un grosso successo essere riusciti a scoprire persone dentro un ufficio giudiziario che trasmettevano all'esterno informazioni segrete». Grasso vuole però spiegare che non tutti gli investigatori sono delle talpe. «Ogni giomo afferma - accanto a noi ci sono componenti delle forze dell'ordine che con sacrificio fanno il proprio dovere. Onesto caso isolato non può far generalizzare tutto ciò. Ci sono infatti investigatori, e mi riferisco agli uomini del maggiore Giammarco Sottili del nucleo operativo dei carabinieri, che hanno svolto questa indagine, che sono un esempio di massima riservatezza e sacrificio». L'inchiesta ruota attorno al patron della sanità privata in Sicilia, a Michele Aiello, che è riuscito ha creato una rete di informatori attraverso i quali era in grado di conoscere tutte le mosse degli inquirenti e dei magistrati che indagavano su di lui. «Aiello - aggiunge il procuratore - non è accusato di avere favorito Provenzano, né sappiamo se quest'ultimo è stato curato nel centro clinico di Bagheria. Ci saranno andati altri mafiosi, e questo lo abbiamo accertato, come pure ci sono andati magistrati, politici e uomini delle istituzioni». E ieri pomeriggio l'attività istruttoria è entrata nel vivo con l'interrogatorio del maresciallo del Kos Giorgio RioIo, il quale ha confermato che nel centro di analisi di Aiello lavorava da armi la moglie e che i contatti telefonici con limprenditore li avrebbe avuti solo per accattivarsi l'amicizia per poi far assumere altri familiari nella clinica oncologia che il patron della sanità sta per aprire a Bagheria. Il sottufficiale è stato interrogato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e all'interrogatorio hanno assistito anche i sostituti Maurizio De Lucia, Michele Prestipino e Nino Di Matteo. Riolo ha anche sostenuto che le sue affermazioni, fatte al telefono e registrate dagli investigatori, erano «solo millanterie». I pm gh hanno però contestato che le segnalazioni fatte ad Aiello sono state riscontrate e sono risultate vere. L'interrogatorio è durato più di tre ore e Riolo ha voluto sottolineare che ritiene di avere sbagliato, ma non ha «mai tradito l'Arma». Riolo è il tecnico dei carabinieri del Ros che ha installato tre anni fa le microspie nell'abitazione del capomafia Giuseppe Guttadauro, nell'ambito dell'in- chiesta su mafia e politica, che ha portato a giugno all'arresto dell'ex assessore comunale alla Sanità Domenico Miceli e all' emissione di un avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa nei confronti del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro. Gh indagati sarebbero stati a conoscenza di informazioni riservate, tanto che i carabinieri del Ros furono costretti a sospendere le intercettazioni dopo che una talpa aveva rivelato la presenza delle microspie in casa di Guttadauro. A mettere sull'avviso il boss fu il medico Salvatore Aragona, anche lui arrestato per associazione mafiosa: il professionista informò Guttadauro che la procura stava indagando su di lui il 12 giugno 2001. Una notizia riservata appresa in diretta dagli investigatori, mentre ascoltavano la conversazione. Sulla gestione dell'inchiesta il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna approva la scelta di Piero Grasso, in particolare sulla conduzione e «nella riservatezza» tenuta dinante l'indagine. Vigna cerca di spegnere così le polemiche che erano nate in procura subito dopo gli arresti sulla «mancata circolazione delle notizie tra i magistrati». «Avrei agito allo stesso modo - ha detto Vigna -. Una cosa è il collaboratore di giustizia che indica per grandi linee la strategia di Cosa nostra, e in questo caso è opportuno dare un'informativa generale, diverso invece è il caso di indagini che riguardano singole persone che operano nell'ufficio in cui si indaga». Il maresciallo dei Ros si difende: «Tenevo contatti con l'imprenditore Aiello soltanto per far assumere i miei parenti nella sua clinica. Le mie erano solo millanterie» La sede della procura della Repubblica a Palermo Giuseppe duro

Luoghi citati: Bagheria, Palermo, Santa Maria Capua Vetere, Sicilia