Berlusconi: a forza di errori si finisce diritti alle elezioni di Augusto Minzolini

Berlusconi: a forza di errori si finisce diritti alle elezioni IL PREMIER FURENTE DOPÒ L'ENNESIMO INCIDENTE DELLA MAGGIORANZA Berlusconi: a forza di errori si finisce diritti alle elezioni «Se l'opposizione fa un autogol, ne facciamo subito un altro» Hministro Giovanardi: qualcuno ha voluto vendicarsi sulla leva retroscena Augusto Minzolini ROMA I fatti strani di questa maggioranza. Alle ore 18 un Silvio Berlusconi sorridente si godeva il successo della visita a Roma di Vladimir Putin, il sorpasso sul governo Prodi nella speciale classifica della longevità e, sia pure senza dirlo, quel mezzo processo a cui si era sottoposto nell'aula di Montecitorio l'uomo che ha sempre considerato il referente politico del partito dei giudici e che nel suo immaginario somiglia ad un novello Robespierre, Luciano Violante. Alle solite beghe nella maggioranza, alle liti tra Bossi e Fini, il premier ormai si è abituato e almeno ieri gli dava poco conto. «Vedete - confidava - io penso in positivo. Per questo non ho voluto commentare l'assoluzione di Andreotti nel processo Pecorelli, non ho detto una parola su Violante e neppure mi sono occupato delle solite polemiche che ci sono nella maggioranza. Anche la voce che Fini vuole fare il ministro degli Esteri non è vc-a: lui ha preso in disparte me e Frattini per dirci che non aspira a quel posto, che il ministro degli Esteri può andare avanti tranquillamente. Per cui, non voglio state appresso alle solite voci. Credo che si debba andare avanti con il mio programma e avere ben chiara la gerarchia dell'importanza delle cose. Per ora è importante la politica estera. Andiamo avanti e la coalizione seguirà. Sulla cose importanti è sempre stata unita». Le ultime parole famose. Neppure un quarto d'ora dopo i soliti 36 franchi tiratori, quei solisti che ogni tanto si materializzano nelle file della maggioranza, hanno affossato il provvedimento sul tribunale per i minori preparato con cura dal ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli. Un atto che ha scatenato la solita bagarre nella maggioranza. Bossi ha riunito i suoi, e Fini ne ha approfittato per dare allo stesso premier una risposta più o meno piccata: «Il presidente Berlusconi ha perfettamente ragione: non ho mai posto il problema della Farnesina. Sostengo, invece, la necessità di una verifica e di ima ridefinizione del programma e della squadra di governo per la seconda parte dellai legislatura». v Solito menu serale: verifica, rimpasto, duello rusticano tra Bossi e Fini. E ieri sera un Berlupf oni non più sorridente, ma scoraggiato, non ne poteva proprio più. «Io non li capisco ha osservato con qualche consigliere che lo ha sentito per pochi minuti -, io passo una giornata ad enfatizzare la visita di Putin e quelli mi combinano questo. Non c'è ratio. Siamo al punto che se l'opposizione fa un autogol, noi ne facciamo subito un altro per aiutarla. Siamo al masochismo. Eppure, anche quei deputati della maggioranza che hanno votato contro il governo dovrebbero avere un istinto di sopravvivenza. Cosa vogliono? Con questo andazzo, sbaglia oggi, sbaglia domani, si finisce dritti, alle elezioni...». Ovviamente, questa prospettiva non è nella testa del premier, ma è anche vero che nessuna maggioranza può andare avanti a lungo con questa fibrillazione continua, con questo paradosso per cui nessuno vuole la crisi ma il governo continua ad andar sotto. Tanto~iù che il rapporto tra le anime del centrodestra - a parte For¬ za Italia - ha assunto i meccanismi della faida. Racconta il ministro Giovanardi, che ogni giorno si trova ad affrontare un calvario: «Che sarobbe nato un altro casino era chiaro. Al mattino, la Lega ha scardinato la riforma della leva votando un emendamento con la sinistra. Ho chiesto a Bossi il perché e lui mi ha risposto: "Non possiamo permettere che dei cittadini che vivono all'estero da anni, come i figli degli emigranti, facciano i carabinieri". Io l'ho invitato in tutti i modi a desistere. Ho chiesto a Tremoliti di intervenire, spiegandogli che nel pomeriggio c'era il provvedimento di un ministro leghista, di Castelli. Ma l'intervento è arrivato troppo tardi. E nel pomeriggio, gli altri hanno fatto la rappresaglia. Qui abbiamo a che fare con i matti». Appunto, matti. Ormai il premier e i suoi ministri più fidati ricorrono alla pazzia per spiegare quello che per molti è inspiegabile. «Eppure non è così - spiega adirato l'ex-dc Bruno Tabacci -. Diciamoci la verità, imo non può sopportare all'infinito i diktat di Bossi, le sue sparate, le sue minacce. Come si dice, quando ti comporti così te le cerchi». Nessuno, però, ha le idee chiare in testa su come uscire da questa strana situazione. Fini ormai è affetto da un attivismo sfrenato in politica estera. Unione Europea, viag¬ gio in Israele e chi più ne ha più ne metta. «Di questo passo ironizza il forzista Paolo Ricciotti - si farà circoncidere». In più è affascinato dai riconoscimenti dell'opposizione che lo usa in chiave anti-Berlusconi: atteggiamento a dir poco singolare, per chi aspira a diventare il leader del centrodestra e non dell'Ulivo. Vuole la verifica e magari il rimpasto a gennaio. Vuole la testa di Tremonti, ma sa che non l'avrà e dovrà accontentarsi di piccoli aggiustamenti. Pollini, invece, che ha maggiore esperienza, preferirebbe rinviare tutto a dopo le elezioni europee: «Un rimpasto in questo momento significa strappare poco o niente». E' il motivo che invece spinge Bossi a teorizzare la verifica presto: «Se vogliono un ministero - ripete il Senatùr - diamoglielo pure». Insomma, tanti discorsi, tanti congetture, ma nessuno conosce davvero la strada per uscire da questa strana situazione. E questo atteggiamento confuso e irrazionale indispettisce non poco il Cavaliere, che proprio non ne può più. «Non posso perdere il mio tempo - continua a ripetere da settimane - a ricucire la famiglia, a sedare le liti. C'è chi provoca, chi risponde, chi insulta, chi "espira. Non se ne può più e io non voglio entrarci. Sono troppi, purtroppo, quelli che si comportano da agazzini». L'Udc Bruno Tabacci: «Non si potevano sopportare all'infinito i diktat e le minacce di Bossi. Quando ci si comporta così, te le cerchi» E Pollini: «Un rimpasto adesso significa strappare poco o niente» Qui accanto il leader dell'Udc Marco Pollini Nella foto grande il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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