Da città fabbrica a porta dell'Europa

Da città fabbrica a porta dell'Europa Viaggio in due puntate in una realtà che sta cambiando velocemente, tra speranze e contraddizioni Un enorme cantiere che provoca inevitabili disagi ma restituisce anche l'immagine fisica della nuova epoca Da città fabbrica a porta dell'Europa Con le Olimpiadi del 2006 la spinta per un'altra metamorfosi inchiesta Luigi La Spina TORINO OGNI tanto, Torino diventa un caso. Questo curioso destino si è rivelato subito, quando la città ha conquistato una nazione, l'Italia, e ne ha perso subito la capitale. Sintomo profetico di quel marketing masochistico, si direbbe col linguaggio d'oggi, che l'ha accompagnata in tutti i suoi 150 anni di storia unitaria. Se questo non è davvero un caso da manuale, ditemi voi quale può esserlo. Per altri decenni, poi, Torino ha spento la luce e si è addormentata tra l'indifferenza degli italiani. Finché, l'ha di nuovo accesa, verso la fine di quel secolo diciannovesimo, per svelare la sua "nuova frontiera": non più all'assalto di austriaci e borboni, ma della rivoluzione industriale in nome dell'automobile. Passano altri decenni di duro e silenzioso lavoro e passano anche due tragiche guerre mondiali ed ecco che Torino diventa ancora un caso, mettendo sottosopra l'Italia per un frenetico choc sociale che trasforma la sua identità, diventando la prima città meridionale del Nord. Si parla tanto di Torino in quegli anni. Polemiche, inchieste, libri e persino film si abbattono sulla città tornata d'incanto alla ribalta della scena nazionale, malgrado la sua proverbiale ritrosia a mostrarsi in pubblico, a sciorinare i suoi problemi davanti a tutti. Piano piano il nuovo "caso Torino" si spegne, così come i suoi insopportabili attributi sociologici, primo fra tutti quella parola ormai proibita /'laboratorio", abusato luogo comune utile per coccolare chi si senta ingiustamente trascurato. Anni di faticosa ma riuscita ricomposizione dell'anima di Torino, mentre il volto della città sembra rimanere immobile, come di chi nasconda nella fissità dell'espressione il bisogno di metabolizzare un lungo travaglio. All'inizio di questo nuovo secolo scoppia, abbastanza improvvisamente, un altro caso Torino. Ma i tempi cambiano e anche questa città impara come si fa. Pensa, infatti, non solo di andare in tv per annunciare la sua nuova rivoluzione, ma di farlo addirittura in mondovisione. Con l'entusiasmo del neofita che si balocca con un insperato pacco-dono, si mette in testa di volere le Olimpiadi per il più grande palcoscenico su cui mostrare il suo nuovo vestito a tutto il pianeta. Per quel fatidico febbraio 2006 tutto dev'essere pronto ed è davvero tanto: una diversa configurazione industriale che affianchi alla tradizionale vocazione manifatturiera incentrata sull'auto anche una gamma di risorse più ampia, dal settore informatico e della comunicazione a quello dei servizi, da quello della ricerca al turismo culturale e sportivo. Una imponente trasformazione del suo territorio, una rivoluzione urbanistica che in questo momento non ha uguali, per numero di metri quadrati e per importanza delle opere, non solo in tutt'Italia, ma in Europa. Con l'interramento della ferrovia che ha sempre diviso in due la città, la costruzione della metropolitana, un progetto di cui i torinesi sentivano parlare da decenni e la riconversione di vaste aree ex industriali in edilizia abitativa, commerciale e di servizi. Compreso l'ultimo ambizioso annuncio, quello di una "cittadella della salute" dove, oltre allo spostamento dell'ospedale più grande della Regione, le Molinette, dovrebbe sorgere un grande centro di ricerca medica e tecnologica. Tutto, appunto, da presentare al mondo nel 2006, in coincidenza, o quasi, con l'apertura della città al cuore della pianura padana, Milano, attraverso la linea ferroviaria di alta capacità. Prodromo, speriamo, dì quel "corridoio 5" attraverso l'Europa meridionale a cui è appeso, in verità, il destino non solo di Torino, ma di tutto il Nord Ovest. Una città sotto stress, indubbiamente. Come chi debba presentarsi a una prima di gala e si accorga di avere un vestito stretto, invecchiato. Un cumulo di idee magari un po' scomposte, di opere che stanno terremotando la vita dei torinesi, di progetti e magari anche di qualche illusione. Ma che fra qualche hanno dovrebbero restituire non solo agli abitanti, ma a tutto il resto dell'Italia e, possibilmente, dell'Europa il centro metropolitano di un Nord Ovest rinnovato. Certo, una scommessa con un filo di azzardo, come le scommesse vere. Ma che, tutto sommato, non solo vale la pena di lanciare, ma appare l'unica possibile, anche perché è già incominciata. Ecco perché "La Stampa" ha deciso di intraprendere un breve viaggio, che sarà raccontato in due puntate, oggi e domani, tra alcuni dei protagonisti e dei testimoni di questa trasformazione della città. La voce di una parte della sua classe dirigente, dopo aver ascoltato i bisogni e le speranze di un ampio campione dei suoi cittadini. Nella prima puntata, si parlerà soprattutto dell'allargamento della vocazione industriale di Torino e dei problemi sociali e culturali che tali cambiamenti stanno provocando. Nella seconda, il resoconto si incentrerà specialmente sul nuovo volto urbanistico della città e sulle conseguenze "di lungo periodo" che le Olimpiadi produrranno sul suo futuro. «La grande mutazione della città - osserva il sindaco, Zorgio Chiamparino - è già avvenuta: 'nel 1972 gli abitanti erano un milione e duecentomila, oggi sono circa novecentoraila. Nel Torinese c'erano 120 mila addetti Fiat e ora, a Mirafiori, sono 15 mila compresi i terzisti, cioè meno dei dipendenti comunali». In tutta la provincia, gli occupati dell'industria, compresi quelli delle costruzioni sono il 380Zo, mentre il 600Zo lavora nel terziario. «Il futuro - continua Chiamparino - non è scontato, ma è anche l'unico possibile, quello di una città industriale che si modernizza, cioè che immette più ricerca e più innovazione nel processo produtti- vo». La nuova vocazione di Torino, almeno nelle speranze della sua classe dirigente, è largamente condivisa. Tutti ammettono che l'industria dell'auto resterà fondamentale per il suo tessuto economico e sociale, anche che non avrà più l'esclusività, o quasi, del suo sviluppo. Lo stretto legame fra la Fiat e la città, confermato dalla straordinaria partecipazione di commosso affetto ai funerali di Giovanni Agnelli, si è rinsaldato quando la famiglia ha rinnovato l'impegno, anche1 finanziario, per il superamento della crisi, suggellato dalla presidenza assunta dal fratello dell' Avvocato, Umberto. Dal quel momento, il rinnovo dirigenziale e l'uscita dei primi nuovi modelli sembrano aver dato il segnale della svolta, anche psicologica, nel segno di una diffusa fiducia nel futuro. L'attuale "missione" della Fiat viene così sintetizzata dal suo presidente, Umberto Agnelli: «Il compito che ci siamo assunti, con un vertice stabile e con la collaborazione di tutti, è rafforzare la struttura industriale dell'azienda. Il Gruppo produce automobili. veicoli industriali, trattori agricoli e macchine per movimento terra. Questa è stata la nostra storia. Questo sarà il nostro futuro, sul quale stiamo concentrando tutti i nostri sforzi. Stiamo lavorando affinché si possa tornare ad essere orgogliosi della Fiat come patrimonio di uomini, di tecnologia, di presenza dell'Italia in Europa e nel mondo. La sfida più vera, quella per cui siamo impegnati sul prodotto e sui servizi al cliente, è il miglioramento della redditività. Per mantenere all'Italia il ruolo di Paese importante come produttore di auto». Anche l'amministratore delegato, Giuseppe Morchio, sottolinea le tappe di otto mesi dedicate «al risanamento e al rilancio», con l'avviamento del piano industriale, con una maggiore disponibilità finanziaria e con il lancio di nuovi modelli. «Ora - prosegue Morchio - lavoriamo con la stessa determinazione al rafforzamento della struttura manageriale per essere sempre più competitivi. Il fatto che manager internazionali di alto profilo professionale come Alapont e Demel abbiano accettato di venire a lavorare con noi a Torino conferma la credibilità del nostro piano e dei nostri obiettivi. Abbiamo bisogno di rendere la nostra squadra ancor più competitiva per tomare rapidamente a produrre ricchezza». I vantaggi per Torino di questo rafforzamento industriale e tecnologico sono evidenti: «In città - conferma l'amministratore delegato - rimarrà il nostro centro decisionale, l'intelligenza del Gruppo, la ricerca e quindi la nostra capacità di innovazione. In questa città la Fiat è sempre stata un polo di diffusione di know-how nel settore automobilistico e non solo». «Sono anche convinto - conclude Morchio - che il nostro rafforzamento porterà benefici a tutto il distretto industriale perché si rifletterà inevitabilmente sui nostri fornitori, sui nostri partner e, a cascata, su tutta la filiera». La visione, come si è detto sostanzialmente condivisa del destino di Torino, incomincia a coniugarsi, però, in maniera diversa a seconda degli interlocutori, in un mix di variegate sensibilità e di particolari preferenze. C'è chi, come il retto¬ re dell'Università, Rinaldo Bertolino, ammonisce a non ripetere «l'errore del passato, cioè una eccessiva confluenza di energie verso un'unica scelta. Ora ci si illude troppo sull'uscita dalla crisi attraverso l'applicazione tecnologica del mondo dell'informatica e della comunicazione». Bertolino, auspicando una «risposta polifonica» di Torino è soprattutto preoccupato «dalla frantumazione delle identità forti che erano presenti nella città. Forse ne rendevano difficile l'ingresso, ma ne facevano forti le appartenenze». «Ora - aggiunge - bisogna respingere quel pensiero debole che illusoriamente si pensava fosse l'unico mezzo per accogliere tutti e ricostruire, invece, una religione civile di impegno comune, politico e professionale». Altri invitano a mettere ordine nell'affastellamento dei progetti su Torino: «Sono stati aperti molti cantieri - osserva, ad esempio, il direttore della Fondazione Agnelli, Marco Demarie - ma non si può operare su tutti, contemporaneamente. Ci vuole una scala di priorità. La "sospensione operosa", come potrebbe essere definita questa fase della città, dovrebbe essere anche "selettiva", con una scelta di urgenze». A questo proposito, Enrico Salza, vicepresidente del Sanpaolo-Imi, protagonista appassionato di tante battaglie per lo sviluppo della città, trova un'estìtesslSite giornalisticameiffle^effi^lp;: «A Torino, in queatcu.JQC^ffiynto ci vorrebbe un orologiaio che rimonti i pezzismontati e riparati secondo un rigido criterio. In effetti, esiste il rischio di far mancare risorse per i progetti fondamentali. Abbiamo bisogno di chi si assuma la responsabilità di compiere alcune scelte. Lo può fare oggi il sindaco, con i poteri che gli derivano dall'elezione diretta. Certo, non con l'assemblearismo». Anche il mondo del lavoro condivide la moderata fiducia che sta diffondendosi in città. Il sociologo Bruno Manghi, profondo conoscitore di Torino, afferma: «Se non ci sono accelerazioni eccessive, la trasformazione viene metabolizzata tranquillamente. Grande importanza avrà l'investimento non solo in ricerca e innovazione, ma nelle risorse umane: i numeri della demografia impongono l'obiettivo di fare di Torino un polo di attrazione per i giovani». Stesso timore che viene espresso dal segretario provinciale Cisl, Nanni Tosco: «La ridotta presenza delle classi giovanili, la frammentazione dell'esperienza lavorativa, la modestia dei livelli retributivi fa sì che Torino viva con difficoltà la necessità di riprodursi, sia nella famiglia sia nell'impresa. Per prima cosa, le aziende tagliano i costi della formazione». Altro fenomeno preoccupante, secondo il sindacalista cislino, è «la tendenza delle aziende torinesi, dopo che la grande mamma Fiat ha allentato quella presa che tendeva a renderle uguali, a spingerle a una competizione tra loro, in una concorrenza, appunto, "nel" territorio invece che "del" territorio». Il presidente degli imprenditori torinesi, Andrea Pininfarina, conclude la sua analisi sulle prospettive della città cercando di inquadrare il futuro di Torino in un perimetro più vasto, quello dell'Europa: «Ricordiamoci che le difficoltà toccano tutte le Regioni europee, di cui il Pil è ovunque stazionario, se non negativo. La capitale del Piemonte può avere una straordinaria occasione di uno sviluppo produttivo più equilibrato. Il profondo rinnovo urbanistico e le Olimpiadi costituiscono un'opportunità importante per un cambiamento anche d'immagine della città. Anche se Torino resta e resterà una grande metropoli industriale d'Europa». [1. continua] Agnelli: «Lavoriamo Chiamparino: «Il futuro perché si possa tornare non è scontato ad essere orgogliosi ma è l'unico possibile: della Fiat come patrimonio una realtà produttiva dell'Italia in Europa che ha bisogno di ricerca e in tutto il mondo» e maggiore innovazione» Dal 1972 la popolazione è scesa di 300 mila unità fino alle attuali 900 mila La forza lavoro nell'industria è oggi del 38 per cento Il 60 per cento invece è impiegato nel terziario Il grande cantiere che porterà al raddoppio del Politecnico e alla costruzione di un nuovo viale nel cuore della città: uno dei tanti lavori che in questi mesi efino al 2006 cambieranno il volto di Torino Un'immagine della prova di snowboard in piazza Vittorio, a due passi dalla Mole II presidente della Fiat Umberto Agnelli e il sindaco Sergio Chiamparino M SCOMMESSA