Il discreto «signore dell'acciaio» che non amava le luci della ribalta di Zeni

Il discreto «signore dell'acciaio» che non amava le luci della ribalta COLTO, AFFABILE, RISERVATO: ERA L'EREDE DI UNA DINASTIA Il discreto «signore dell'acciaio» che non amava le luci della ribalta mpegnato nel sociale, era alla testa del gruppo dalI'SZ. Gestì una dura crisi personaggio Armando Zeni MILANO SCHERZAVA sulla sua statura di quasi due metri. «Come faccio a passare inosservato?», sorrideva quando qualcuno, tra gli amici, gli rimproverava di frequentare poco cene e occasioni mondane. Già, perchè ima delle aspirazioni, se così la si può definire, di Alberto Falck, erede (insieme al cugino Giorgio) di quella che è stata la dinastia di imprenditori sideruigici italiani più nota, per quasi quarant' anni dagli anni Trenta agli anni Settanta i «signori dell'acciaio», l'aspirazione nemmeno tanto segreta era quella di passare inosservato. Riservatezza, prima di tutto. Ma con quell'altezza, con quella figura massiccia che lo facevano scoprire in un battibaleno in mezzo a una folla da fotografi e giornalisti, beh, il compito era duro, durissimo. Coà, alla fin fine, se n'era fatta una ragione: se ne stava fermo, mentre i fotografi facevano scattare i loro flash a ripetizione, e ogni tanto sorrideva: «Ma quante ne avete di mie foto? Cosa ne fate?». Conosceva benissimo le regole del gioco, per imo con quel cognome e con quelle frequentazioni, dai consigli del suo gruppo a quelli della Pirelli, della Camfin, della Fjs, di Mediobanca, della Milano Assicurazioni, i riflettori erano sempre accesi, i microfoni dei cronisti a caccia di dichiarazioni pure. Ma non capiva l'ostentazione, le luci alla ribalta degli anni della Milano da bere, dello yuppismo rampante. Preferiva le amicizie vere, come quella con Leopoldo Pirelli, un altro grande dell'imprenditoria milanese, che forse più di lui coltivava l'understatement. Preferiva i fatti. E soffriva, in cuor suo, d'aver ereditato un gruppo che all'inizio degli anni Settanta era il primo nella sidenu^gia privata italiana (con una produzione di un milione e passa di tonnellate all'anno e 16 mila dipendenti) e d'averlo visto travolto dalla grande crisi dell'acciaio che in Europa non ha risparmiato nessuno. Per lui, imprenditore laureato in Bocconi, pragmatico quindi, ma con una tradizione familiare di impegno cattolico alle spalle - e die impegno visto che papà Enrico, grande amico di Giuseppe Lazzari, il gran rettore della Cattohca, e del cardinale Schuster, fu uno degli animatori della De meneghina che ebbe i natali proprio in casa Falck - il cruccio più grande fu il tagho di migliaia di dipendenti, la chiusura degh storici stabilimenti di Sesto San Giovanni, la Falc Unione, la "Falck Vittoria, la Falck Concordia, la Falck Vulcano. Una città nella città. Con tanto di fabbriche, ciminiere, ma anche case per gli operai, asili, scuole, perchè così l'aveva voluta nonno Giorgio Enri¬ co, uno dei quegli imprenditori lungimiranti dei primi del Novecento attenti al profitto ma anche al benessere dei propri operai, come i Marzotto a Valdagno o i Pirelli, anche loro a metà strada tra Milano e Sesto. Impossibile, per la Falck, come per i Krupps in Gennania, passare indenni alla crisi degli anni Ottanta e Novanta: con i coreani, i cinesi e gli indiani pronti a produrre acciaio a metà costi: come potevano le imprese gli europei? Resistettero i grandi gruppi pubblici, i privati no. Ad Alberto Falck, approdato alla guida del gruppo nel 1982, toccò gestire la crisi. Il tentativo di alleanza con Ulva, finito a carte bollate. Poi il divorzio dall'altro ramo della famiglia, gli eredi di zio Giovanni, finito nel '95 con l'uscita dal patto di sindacato del cugino Giorgio. Poi ancora il tentativo di fusione, auspice il patron di Mediobanca Enrico Cuccia, amico pure lui di vecchia data, con Montedison finito male con la cessione a Foro Buonaparte delle centrali elettriche della Sondel. Infine Ir scalata ostile della Tassara di Romain Zaleski. Per finire con la costituzione di Actelios, l'ultimo tassello dell'ex impero, piccola società attiva nell'energia da fonti rinnovàbili. E lui, un pochino più curvo su se stesso, a commentare amaro: «Ora abbiamo la bicicletta e dobbiamo pedalare», lasciandosi andare per una volta davanti ai giornalisti confidando: «Mia moglie ancora mi prende a ciabattate». De :ma riservatissima anche Cecilia di Collalto, la moglie, madre di tre figli. Riservata e colta, una bella casa a Venezia e una stupenda collezione di maioliche che poi Alberto ampliò nel tempo. Perchè Alberto Falck era una gran collezionista, di libri antichi soprattutto, libri del 500, gran bibliofilo, presidente a lungo dei 100 amici del libro, uno dei club più esclusivi tra i bibliofili. Collezionista e goloso di cioccolato, lo ricorda un amico con affetto. Ma l'impegno più grande, lavoro e famiglia aparte,eraper l'impegno sociale, vicepresidente delTUnione cristiana imprenditori diligenti, attivo in organizzazioni no-profit. Nel suo sangue, ricorda chi lo conosceva bene, scorreva il sangue (cattohco) di papà Enrico ma anche quello (protestante) delbisnonno approdato dalla natia Alsazia in riva al lago di Como per iniziare l'avventura nella siderurgia in un piccolo stabilimento a Malavedo a pochi chilometri da Lecco. Un pò bocconiano, insomma, e un po' boy scout. Per nulla tentato dalla politica nonostante le tante avance di chi, in tempi di crisi del partito cattolico, vedeva in lui la faccia onesta e il nome noto. E coà adesso, nel ricordarlo sono tutti d'accordo, amici e colleghi. Come Cesare Romiti che confessa d'averne sempre ammirato «l'integrità morale, la sua religiosità e il suoe-jreuomo».

Luoghi citati: Alsazia, Europa, Lecco, Milano, Sesto, Sesto San Giovanni, Valdagno, Venezia