LA STRATEGIA DEL VUOTO

LA STRATEGIA DEL VUOTO LA STRATEGIA DEL VUOTO Enzo Bettiza SI direbbe che la rapidissima avanzata e vittoria militare americana, poi seguita dal progressivo deterioramento terroristico della labile pace irachena, riproduca in un diverso contesto geopolitico un quadro strategico che storicamente ci è molto noto: la rapida avanzata dell'armata napoleonica in Russia in un vuoto che diventa via via vorace, violento, distruttivo. Gh incendi nelle città deserte, le tempeste nelle steppe, le imboscate di bande cosacche guerrigliere sostituiscono la guerra vera e propria palesatasi, per un attimo ingannevole, fra le coUine e le ridotte di Borodinò. Ma è la strategia del vuoto, della ritirata continua, ideata dal sonnacchioso maresciallo Kutuzov, quella che alla fine intrappola e mette in ginocchio l'esercito più temibile dell'Europa d'allora. Insomma si direbbe che l'inafferrabile Saddam Hussein, ritirandosi davanti al nemico tecnologicamente superiore, avesse deciso fin dall'inizio di attirarlo e rinchiuderlo in una trappola letale secondo la vecchia lezione contadina e po¬ co clausewitziana di Kutuzov. Niente battaglie campali; imbottighamento degli americani nelle sabbie tribali e confessionali irachene; fuoco e fiamme alle spade del loro esercito ingolfato in un vuoto esplosivo. Al punto cui sono giunte le cose, è difficile dire che cosa avverrà. L'acqua c'è, l'elettricità non manca, il piccolo ma importante traffico da bazar funziona, le scuole restano aperte, il consiglio governativo iracheno è in attesa di un nuovo presidente nella rispettata figura del leader democratico curdo Jalal Talabani. La questione cruciale del petrolio, chiave di volta della macroeconomia irachena, resta comunque enigmatica: l'opinabile tesi ufficiale è che la produzione avrebbe pareggiato la quota di due milioni di barili al giorno. Luci e ombre dominano un paesaggio politico ed economico che, per fortuna degli americani, non si esaurisce tutto nel fallito attentato a Paul Wolfowitz e nel mortifero «triangolo sunnita». Ma nel «triangolo» c'è Baghdad, è dal «triangolo» che s'irradia il clima d'instabilità per l'intero Paese, ed è nel «triangolo» che gh americani stanno ora pagando il mantenimento della pace con qualche morto in più rispetto a quelli già sacrificati nei giorni della guerra invisibile. A questo punto è doveroso, evitando pronostici, fermare almeno l'attenzione su quanto sta avvenendo d'ora in ora, d'attentato in attentato. Il pericolo non è la «vietnamizzazione» dell'Iraq, come si insinua da diverso tempo e diverse parti; il vero DALLA LIBIA DOLI sospetti dell'Fbi di una valigia pienMaria Chiara Bonazz pericolo è la ripetizione in Iraq del caotico scenario afghano quale si produsse ai tempi dell'occupazione sovietica. Ossia: eruzioni e frazionamenti tribali, infiltrazioni di organizzazioni terroriste straniere, città i^ babà ai kamikaze, un miscuglio di criminalità interetnica e di guerra santa alla coalizione capeggiata dagli americani, n rischio, già in atto, è che pure l'Iraq, come a suo tempo l'Afghanistan, possa trasformarsi in una palestra per martiri fondamentalisti e in un covo di permanente terrore armato: gli Hezbollah di tipo libanese-iraniano sembrano già presenti nel Sud senta, mentre le tecniche suicide degh ultimi attentati a Baghdad ricordano quehe di Al Qaeda. A tutto questo pare aggiungersi infine il catalizzatore indigeno della guerriglia urbana che a suo tempo, nella metà degh anni Sessanta, il terrorista e maestro di sovversioni Saddam Hussein condusse per la presa violenta del potere. Sarà ancora lui alla guida del movimento clandestino? Sarà lui il «grande vecchio» della setta dei nuovi Assassini che, in combutta con clan terro- listi locali e stranieri, mira a fare tabula rasa attorno agli americani colpendo tutto quello che promette digaràii- LARI Al KAMIKAZE dopo il sequestro na di denaro i A PAGINA 4 tire una vita normale e ordinata? Ma che sia Saddam il gestore delle stragi o, come si dice, il suo ex braccio destro Izzat Ibrahim, non ha molta importanza: quello che importa e impressione è la reviviscenza delle implacabili tecniche di guerriglia, già usate dalle milizie del partito Baath a partire dal 1963, e oggi raffozate dalla presenza massiccia di martiri suicidi provenienti dalla Siria, dall'Arabia Saudita, dallo Yemen e forse dall'Iran. Gh obiettivi prioritari di questo coacervo di terroristi e destabilizzatoli sono oggi, ancor più degh americani, le organizzazioni intemazionali quali l'Onu e la Croce Rossa o la stessa pohzia irachena bollata come «collaborazionista». Il no alla normalità è insieme multiforme e concorde. Gh errori degh americani, che ora devono combattere per così dire il vuoto tossico in cui si trovano invischiati, sono stati molti. Uno dei maggiori è stato lo scioglimento dell'esercito regolare iracheno, i cui disoccupati sono andati a ingrossare le truppe dell'eversione sotterranea. Per tacere del cambio 'dei pleinipotenziari sul campo, e della ruggine continua tra un Pentagono neoconservatore e rivoluzionario e il Dipartimento di Stato più tradizionalista. Ma qui il discorso si farebbe troppo lungo, coinvolgendo la stessa personalità anfibia del presidente Bush, oggi sulla difensiva fuori casa e soprattutto dentro casa. DALLA LIBIA DOLLARI Al KAMIKAZE I sospetti dell'Fbi dopo il sequestro di una valigia piena di denaro Maria Chiara Bonazzi A PAGINA 4

Persone citate: Bush, Enzo Bettiza, Izzat Ibrahim, Jalal Talabani, Kutuzov, Maria Chiara Bonazzi, Paul Wolfowitz, Saddam Hussein