«La Cina è difficile, ma non se ne può fare a meno»
«La Cina è difficile, ma non se ne può fare a meno» PRIMA INDUSTRIE, DUE JOINT-VENTURE PER PRODURRE SISTEMI LASER IN MANCIURIA E A SHANGHAI «La Cina è difficile, ma non se ne può fare a meno» Carbonato: il problema è la burocrazia. E le imprese italiane hanno poco sostegno intervista TOR'NO Lf INVESTIMENTO in Cina i pare ostico per le imprese italiane, che laggiù sono molto meno presenti delle rivali americane, giapponesi e tedesche. Ma c'è chi ha provato a cimentarsi, come Prima Industrie, che ora produce sistemi laser anche in Cina e nel settore è arrivata a coprire metà di quel mercato. L'«ad» Gianfranco Carbonato spiega come ha fatto e dal suo caso trae indicazioni che possono essere utili ad altri. In che cosa consiste la vostra operazione in Cina? «Fin dal '99 avevamo una pre¬ senza produttiva in Manciuria e un mese fa abbiamo acquisito a Shanghoi il 300Zo di una società produttrice di macchine utensili di buon livello tecnologico e quotata in Borsa, capace di raddoppiare il fatturato ogni anno dalla sua fondazione nel 2000. Le macchine di queste joint-venture cinesi incorporano i nostri laser di gamma bassa; in sostanza vendiamo i prodotti di Prima Industrie in Cina integrandoli con alcune parti fabbricate localmente». Perché è necessaria questa integrazione? «Nella gamma bassa del nostro mercato, che comprende le macchine da 2-300 mila euro, in Cina c'è una forte concorrenza locale, dovuta al costo del lavoro che è un decimo di quello italiano. Per cui, se vogliamo essere concorrenziali dobbiamo produrre anche lì». Ma una volta deciso che produrre in Cina conviene, lo si fa così, come niente fosse? Non è questa l'esperienza media delle imprese italiane. «Ci sono difficoltà grossissime. Una è di comunicazione: scarsa conoscenza dell'inglese, enormi differenze di mentalità. E' per questo che è meglio operare tramite una joint-venture, così da avere dei mediatori locali». Altre difficoltà? «In Cina c'è il problema della burocrazia; ci sono aree dove sembra di vedere ancora l'Unione Sovietica degli Anni 70. E poi c'è la difficoltà forse più grave di tutte, quella delle dimensioni. La Cina non è un Paese ma un continente e crearvi una rete di vendita è un lavoro enorme; non basta certo aprire un ufficio a Pechino con due persone. Comunque, noi di reti ne abbiamo create addirittura tre e oggi controlliamo direttamente o indirettamente metà del mercato laser cinese». U vostro esempio non è molto imitato. Gli imprenditori italiani, anche piccoli, hanno facilità ad andare in Romania o in Corea, ma non in Cina. Perché? «Forse li spaventano un po' le dimensioni del Paese. Se un piccolo/medio imprenditore italiano va in Romania incontra quattro persone ed è a posto. Qui invece si sente perso. Per le piccole imprese è più facile "aggredire" un Paese piccolo. Ouelle che sbarcano in Cina sono imprese grandi, america- ne, giapponesi, tedesche». Agli italiani non manca anche il sostegno pubblico? «Può darsi. Dopo che è uscito sui giornali che avevamo aperto lo stabilimento in Manciuria, ci è arrivata una lettera dall'ambasciata italiana che ci chiedeva se avevamo bisogno di aiuto. Dopo». k E i finanziamenti? «È un Altro tasto dolente. Per avere uno sconto Sace ci vogliono due mesi. Ma in due mesi succede di tutto. Sarebbero necessarie procedure più rapide». Gianfranco Carbonato
Persone citate: Gianfranco Carbonato
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