Cena di Ramadan alla Casa Bianca

Cena di Ramadan alla Casa Bianca CQN OTTANTA AMBASCIATORI DI PAESI MUSULMANI E LEADER ISLAMICI D'AMIKICA Cena di Ramadan alla Casa Bianca In Pennsylvania Avenue a centinaia contestano il Presidente retroscena Haurizio Moiinari corrispondente da NEW YORK OTTANTA ambasciatori e leader musulmani dentro la Casa Bianca a rompere il digiuno assieme a George W.Bush mentre una decina di organizzazioni di militanti si accampano per protesta lungo Pennsylvania Avenue a suggellare con un pasto collettivo l'opposizione alle scelte del presidente. Martedì sera il tradizionale Iftar, con cui quotidianamente si interrompe il digiuno durante il mese di Ramadan, ha fotografato le difficoltà di dialogo della Casa Bianca con il mondo dell'Islam, soprattutto dentro i confini nazionali. Per Bush si è trattato del terzo Iftar: all'indomani degli attacchi subiti da Al Qaeda l'il settembre 2001 lo ha scelto come occasione annuale per rivolgersi ai musulmani, per sottolineare che «la guerra è al terrorismo e non all'Islam» e per dimostrare la determinazione nel far fronte con fermezza a ogni discriminazione a danno dei cittadini di fede islamica. Quest'anno il sentiero seguito non è stato differente, rafforzato da simili dichiarazioni fatte a Bah, in Indonesia, durante il recente incontro avuto con leader religiosi locali. Affiancato dal Segretario di Stato Colin Powell e dal Segretario all'Energia Spencer Abraham (araboamericano), Bush ha cenato e discusso a lungo con la folta delegazione di diplomatici e religiosi musulmani, soffermandosi in particolare con il viceministro degli Emirati Arabi Uniti Sheik Hamdan bin Zayed e con l'imam di Washington, Faizul Khan, che ha guidato la recitazione delle preghiere in un momento di raccoglimento collettivo. «I terroristi che usano la religione per toghere la vita agli innocenti non hanno casa in alcuna fede», ha detto il presidente, aggiungendo che «la carità, la disciplina e il sacrificio praticati durante il Ramadan in America lo rendono un Paese migliore e più compassionevole perché le preghiere pronunciate in ogni famiglia sono una benedizione per l'intera nostra nazione». Ma nella Usta dei presenti alla cena il numero dei diplomatici dei Stati arabi, africani e asiatici (c'era anche la Russia) era di gran lunga superiore a quello dei rappresentanti delle organizzazioni musulmane. L'Islam americano attorno al tavolo aveva i volti dei suoi rappresentanti più noti e conosciuti: l'imam Khan, lo sceicco Hicham Muhammad Kabbani, presidente del Consiglio Superiore Islamico, Zameer Hasan della Tempie University, Yahya Mossa Basha, presidente dell'«American Muslim Coun- cil» e George Salem presidente dell'«Arab American Institute». Fuori della Casa Bianca al contro-Iftar di protesta c'erano invece le numerose sigle divenute note durante i mesi della mobilitazione contro la guerra in Iraq e, prima ancora, per denunciare il «Patriot Act» come strumento legale di discriminazione da parte delle forze dell'ordine. Da piccoli gruppi come il «Project Islamic H.O.P.E.» e il «Muslim Electo- rate Council of America» a sigle più importanti - nel caso del «Cair», il maggiore gruppo che si batte contro la violazione dei diritti civili dei musulmani - si erano mobilitati nei giorni precedenti per chiedere il totale boicottaggio dell'Iftar presidenziale. L'obiettivo era convincere i leader islamici nazionali a rifiutare l'invito. Non essendoci riusciti hanno sfruttato il sit-in di protesta per spiegare il rifiuto opposto alla mano tesa di George W. Bush. Tre i capi d'accusa. Primo: le dichiarazione del generale Willian Boykin sulla guerra «contro Satana» sono state condannate dal presidente in maniera considerata «inadeguata», lasciando supporre che l'ostilità all'Islam sia molto diffusa dentro l'amministrazione. Secondo: la designazione alla guida dell'«Us Peace Institute» dello storico Daniel Pipes definito «anti-islamico» per le posizioni espresse in passato sulla questione del Medio Oriente e, in particolare, sul sostegno americano allo Stato di Israele. Terzo: l'invito esteso dal Pentagono a pronunciare l'omelia del venerdì santo 2003 al reverendo evangelista Franklin Graham, che in passato aveva definito l'Islam una «religione malefica». L'atmosfera dentro la Casa Bianca era ben differente da quella che si respirava a poche centinaia di metri di distanza. Riuniti di fronte ai cancelli neri di entrata decine di musulmani hanno vivacemente contestato Bush e i suoi ospiti, distribuendo dichiarazioni scritte di protesta. Il presidente viene descritto come un «regista degli inganni», che cerca il sostegno dei mu-. sulmani per condurre guerre contro l'Islam. Secondo il «Cair» l'Iftar presidenziale è stato soltanto «un'operazione di facciata» per celare i veri umori del governo. Per il Consiglio delle relazioni AmericaIslam, di base a Washington, «sarebbe stato molto meglio se avessimo tutti lasciato mangiare Bush da solo, come si merita». Cartelli e scritte erano ben visibili dall'interno della. Casa Bianca a evidenziare la spaccatura esistente nelle comunità musulmane. «Il motivo per cui abbiamo deciso di andare spiega Jennifer Salen, portavoce deir«Arab American Institute», sminuendo la portata delle proteste - è che il nostro compito è aumentare l'influenza d,elle comunità arabo-musulmane nel Paese: rifiutare l'invito non avrebbe giovato alle ragioni che abbiamo scelto di difendere». Come dire: scendere in piazza non aiuta a convincere u presidente. Il pragmatismo della Salen stride con i toni della mobilitazione della base, che si riflettono negli affondi - ripetuti ieri - di personaggi come Raiid Tayih, portavoce della «Muslim American Society», secondo il quale Bush «parla ma non agisce»: avrebbe dovuto defenestrare senza indugi il generale Boykin ma ha deciso di non farlo «per non creare scontento nell'estrema destra cristiana che lo sostiene e lo finanzia». Bush: «1 terroristi che usano la religione per uccidere innocenti non hanno casa in alcuna fede». I dissidenti: «E un'operazione di facciata» it ' ' ? Il discorso di Bush durante la cena di Ramadan con i leader islamici Usa