In laboratorio le digitali aly silicone

In laboratorio le digitali aly silicone LA POLIZIA SCIENTIFICA HA GIÀ REALIZZATO! PRIMI MODELLI CHE RIPRODUCONO IL RETICOLO DI LINEE In laboratorio le digitali al silicone La possibilità di duplieazwe noJeoaibtiMlf.9iCKsaÌoin .wouiriTisl. studiaiiisunà^iiriiiiaill'igii© n^1 ^'y.'^iAf» p ' nnB'} r, la storia Lodovico Reietto SE non fosse stato per Harwa, forse, non sarebbe mai stato scoperto. Se non si fossero sperimentate quelle tecnologie di ricostruzione del viso della mummia conservata al Museo egizio di Torino, questo lavoro non sarebbe mai stato completato. Invece, la caccia ai segreti della mummia trovata in Egitto nella "Valle delle regine ha permesso ai tecnici del laboratorio di polizia scientifica di Torino di realizzare le prime impronte digitali «false», in silicone, che si possono «indossare» come un guanto ogni volta che serve. Sono, cioè, un «rivestimento», ima pellicola spessa meno di un millimetro, ma che riproduce esattamente quel reticolo di linee spesso pochi micron che caratterizza in modo inequivocabile ogni persona. Una scoperta importante per la criminologia, perché la duplicazione dì impronte potrebbe mettere in seria crisi tecniche e teorie d'indagine. Ma che, d'altra parte, permetterà di migliorare i sistemi di sicurezza, specialmente quelli di banche e di aziende, basati proprio sulla lettura e il confronto delle tracce lasciate dalle dita. Lo ha annunciato ieri mattina Mario Celia, ex dirigente del settore polizia scientifica di Torino, che ha curato tutte le analisi su Harwa e ha incentivato le ricerche. Lo ha fatto al convegno organizzato dal Fai, al teatro Carignano, con un breve passaggio nel discorso più generale sulla ricostruzione delle fattezze somatiche della mummia. Ma tanto è bastato a creare interesse. Celia, oggi questore vicario ad Imperia, è uomo che ben sa quale sia l'importanza delle ricerche scientifiche nelle indagini. Ed è per questo che si è dedicato anche alla ricerca. «Per ricostruire il volto della mummia - spiega - siamo partiti a un'immagine ad alta definizione rilevata con la Tac. Poi, al computer, abbiamo ricostruito in modo tridimensionale il cranio. Quindi siamo passati alla creazione dei prototipi in polvere di nylon. Più o meno è lo stesso lavoro lo abbiamo fatto con le impronte digitali». Può sembrare banale, ma non lo è. Un'impronta «rubata» da una qualunque superficie, in teoria, può esser duplicata. Il procedimento è relativamente semplice, ma servono apparecchiature molto sofisticate. «Una banda criminale ben attrezzata - spiega il dirigente di polizia - potrebbe adottare questa tecnologia per mettere a segno un colpo economicamente molto remunerativo, oppure per trafugare importantissimi segreti aziendali». Studiando le impronte «finte», provandone il funzionamento su apparecchiature già di uso comune - come quelle sistemate agli ingressi di molti istituti di credito - i tecnici sono riusciti, però, a trovare anche gli «antidoti» a questa nuova frontiera della truffa. «Ora - conclude Maurizio Celia - si tratta di lavorare sui sistemi di sicurezza, in modo da tamponare quelle falle che eventualmente potrebbero essere sfruttate dai malintenzionati. E' un lavoro lungo, ma che può essere molto utile sia a firn di indagine sia per chi, per professione, deve occuparsi di problematiche legate alla sicurezza». Un risultato che obbliga la criminologia a rivedere le tecniche e le teorie d'investigazione Il beneficio maggiore per banche e aziende Uno scanner per la lettura elettronica delle Imprónte digitialì

Persone citate: Lodovico Reietto, Maurizio Celia

Luoghi citati: Egitto, Imperia, Torino