Guillaumin, impressioni di una vincita alla lotteria

Guillaumin, impressioni di una vincita alla lotteria A PALAZZO BRICHERASIO DI TORINO UNA GRANDE MOSTRA RISCOPRE IL PITTORE CHE FU TRA I CAPISCUOLA DELL'IMPRESSIONISMO Guillaumin, impressioni di una vincita alla lotteria Marco Vallerà TORINO E' rimasta celebre l'espressione, finalmente dispiegata e febee, con cui Armand Guillaumin accolse la fortunosa e fortunata vincita alla lotteria nel 1891, un'obbligazione del Crédit Fonder, che d'incanto lo fece ricco, a oltre cinquant'anni: «Così, finalmente potrò dipingere limare!» (Un'esclamazione che lo rende parente alla nonna di Truffaut, che chiamava «Paramount» l'Oceano, perché lo aveva visto soltanto al cinema). Non è vero, ovviamente, che questo pittore, un po' imprecisamente chiamato l'ultimo degli Impressionisti (anche se è vero che fu l'ultimo a scomparire, ultra-ottantenne, poco dopo il non meno longevo Monet) e a cui Palazzo Bricherasio dedica una mostra di opere considerevole, che si apre domani sino al 1 ' febbraio, non è vero che non avesse mai potuto permettersi una veduta marina. Anzi, si era impiegato nelle ferrovie, proprio per ottenere qualche bighetto ridotto. Ma siccome l'impiego era pressante, e la luce del dopo-lavoro avara, quasi tutta la sua precedente pittura si brucia nelle strade accanto al suo atelier di Rue Servandoni (una strada fatata, che avrebbe accolto anche De Pisis e poi Roland Bartbes) o al massimo la rada banlieu brulla, intomo alla Senna, che è il Leitmotiv della sua feconda produzione («un folle del lavoro» lo definirà Zola). Come un cane festoso legato alla catena del suo impiego rispettabile. Canali intemi, gruproto-industriali, gracili ciminiere e chiatte in secca: insomma un'atmosfera da Tabarro pucciniano. E c'era dunque molta verità, in quel grido di distensione e di liberazione. Non che fosse realmente povero, rispetto per esempio al miserissi1 mo Monet o al poveraccio Renoir, che non aveva nemmeno i soldi per le modelle e doveva sottoporre f ;gli amici alla corvè della posa. Non era certo ricco còme Degàs, figho idi nobili banchieri napoletani o benestante come l'amicissimo Cézanne, che a quarant'anni ricevette una lauta eredità, che lo mise almeno in pace con le finanze, pur relegandolo ad Aix. Aveva una piccola rendita da impiegato, Guillemin, dopo aver lavorato in un negozio di biancheria femminile, e solo quando vinse la copiosissima lotteria, 100.000 franchi di allora (quando, più che soddisfatto, Monet ottenne solo 1000 franchi per l'Impression du solei levant, l'opera epocale che diede il nome al movimento, sia pure per l'ironia d'un cronista) solo allora riuscì finalmente a dedicarsi corpo a corpo alla pittura (comphee la solida moghe, che aveva titoli universitari da vantare ed un insegnamento scolare). Morì praticamente enplein air, il corpo avvolto di giornali, per resistere al freddo: tanto era la sua dedizione a un'attività negata come il dipingere. Ma c'era abituato: il padre sarto lo picchiava se lo sorprendeva con una matita in mano, e lui s'era assuefatto a dipingere al buio. Da adulto aveva scelto un lavoro notturno, controllore di quei ponti che solcano le sue vedute come un fiabesco gatto con gli stivali, pur di meritarsi qualche ora di luce : eoa fondamentale per la sua pittura. Luce vibratile e quasi materica, che lo rende forse il più fedele sacerdote dell'iniziale verbo impressionista. Così atmosferico e acquatico, ha qualcosa del coté «romantico» di Monet e di Berthe Morisot, anche se fu sempre più vicino ai radicali e costruttivi Cézanne, Pissarro e Gauguin. E non c'è interprete sottile (a partire da Huysmans, che esaltava il suo «colore feroce») che non si renda conto, com'è più che evidente da questa mostra curata da Daniela Magnetti, che Guillaumin è in realtà molto più vicino ai colori sfacciati e violenti, barbari, d'un Derain e dei fauves, che non ai deliqui già quasi informali di un Monet o alle candite fisionomie di Renoir. E si capisce che Van Gogh, giunto a ParMi dopo un'esistenza disastrosa, e dalusissimo da quel!' accolita di pittori «squallidi e che non sanno dipingere», dal nome di impressionisti e che quasi lo accecano, con quei rosati abbacinanti, lui che arriva dal Nord con i suoi bigi colori di patata, si leghi soprattutto a quest'uomo scontroso ma buono, che ama le cromie vive, sanguinanti, e che come lui, almeno, mette le mani nel nero bituminoso. Quell'illusione di movimento coeso che fu llmpressionismo, cui ormai credono solo le maestre di disegno e certi titoli di mostre, convinte che la parola faccia comunque cassetta, finì per deteriorare la sua vita (come la storia della lotteria, che lo trasformò più in un aneddoto leggendario, che non in petit maitre, quale va comunque considerato). Un compagno di strada, affannato per tener dietro alle correnti burrascose di quegli anni, che tra¬ sformarono la «banda impressionista», cosila chiamava lucidamente Gauguin, in una sorta di tremendo partito pohtico, tramato di rivalità e di ripicche (vedi lo scacchiere maniacale delle otto mostre soi-disant impressioniste, con Degas che mette male, Manet che impera pur detestando la causa della solarità monetiana, Gauguin che soffia sul fuoco). Cézanne Iba capito: ((Armand è un artista di grande avvenire, ma è soprattutto un bravo ragazzo cui è facile voler bene». Si affanna per tessere i rapporti, cucire gli strappi, colmare i divari: e fa anche immensi errori strategici, che però portano avanti la storia dell'arte. Presenta Signac e Seurat a Pissarro, vuole accanto a sé Odilon Redon, pretende che in una delle collettive si esponga quel cavallo di Troia, che è la Grande Jatte di Seurat: aprendo le porte ai microbi contagiosi del puntinismo e al post-impressionismo. Lui stesso farà uso del «colore diviso», come un «piccolo chimico», lo deride Gauguin. Il quale, ormai ai Caraibi, predica che «quando restate insieme, si vede la caratteristica d'ognuno. Se vi separate, date l'impressione d'essere identici». Con le sue pennellate svirgolate, Guillamin esita tra l'essenzialità costruttiva di Cézanne e il sintetismo cloisonné di Gauguin e soccombe: «fauve troppo in anticipo», come aveva già profetizzato il suo impotente mercante Durand Ruel. FINO ALI "FEBBRAIO Si apre oggi a Palazzo Bricherasio di Torino (Via Lagrange 20, tei. 011-571.18.11) L'impressionismo di Armand Guillaumin. La mostra rimarrà aperta fino ali '' febbraio, il lunedi dalle 14,30 alle 19,30; martedì, mercoledì, domenica dalle 9,30 alle 19,30; giovedì, venerdì, sabato, dalle 9,30 alle 22,30. Ingresso, intero e 6,50. Il catalogo è edito da Electa. Il percorso della mostra si apre con una Visione della Parigi del 1874, e prosegue con un'ampia raccolta delle opere più importanti del pittore che partecipò alla celebre mostra di impressionisti nello studio del fotografo Nadar il 15 aprile 1874. Accanto a Guillaumin, alcuni degli altri protagonisti dell'epoca da Renoir a Pisarro a Sìsley. Poco conosciuto dal grande pubblico, ha dedicato la carriera a raccontare le vibrazioni della luce Alcune delle opere di Armand Guillaumin in mostra a Torino: sopra ie cribleur desable (particolare), del 1891; in alto a sinistra Moulins en Hollande, 1904; sotto il titolo Crépuscule à Damiette, 1885

Luoghi citati: Aix, Parigi, Torino