«Tosca» secondo Dalla, il post-Puccini di Marinella Venegoni

«Tosca» secondo Dalla, il post-Puccini DEBUTTA STASERA A ROMA, ALLA PRESENZA DI CIAMPI. L'OPERA SULLA CONTEMPORANEITÀ SMARRITA, UN «WORK IN PROGRESS» «Tosca» secondo Dalla, il post-Puccini Angeli neri, suore in baby doli e il tip tap intorno a Scarpia Marinella Venegoni inviata a ROMA Siamo non solo alla post-opera, ma anche al post-musical e alla post-regia: Spinto da inarginabile furore creativo e con l'ambizione di andare oltre il filone che si ispira alla letteratura («Notre Dame» o «Pinocchio» dei Pooh), Lucio Dalla prova coraggiosamente a tracciare un pezzo di futuro della musica senza più dischi, ispirandosi a un caposaldo della musica operistica. La sua superannunciata «Tosca» debutta stasera al Gran Teatro di Roma, alla presenza del Presidente Ciampi. La «cosa» è stata testata l'altra sera, per un pubbhco di 2500 pensionati, in ima prova generale alla quale abbiamo assistito; è un lavoro complesso, visionario, febbrile e irrisolto, come del resto il suo autore che si muove ormai con ambizioni semiotiche di ampia portata. «Tosca» è anche, con evidenza, un work-in-progress, tanto che David Zard (produttore con Ferdinando Pinto) ha confessato dal palco di aver ricevuto l'ultimo spartito alle 18 di martedì, poche ore prima della generale. Avrà tempo di rifinirsi, la «cosa»: è già prenotata per i teatri lirici di mezza Europa, ed è monitorata dall'occhio vigile di Broadway. Lo spettacolo ingloba linguaggi alti e bassi, l'opera e il tip tap, Mahler, il funky e il rap, il balletto e i funamboli, la tragedia e la commedia umana, in un eclettismo cui tutti gli illustri collaboratori hanno aderito: per dire, Giorgio Armani, nelle vesti di costumista ha oscillato tra l'epoca della Tosca doc e abitini contemporanei; ha messo il baby-doll alle suore che vanno in altalena o scivolano maliziose sull'altare in uno dei tanti divertenti quadretti che esplodono puntualmente quando la tensione drammatica diventa così alta, che l'unico antidoto è darsi a un'apparente allegria. Va in scena la rappresentazione di una contemporaneità smarrita, immemore e vorace, che non sa vivere senza le radici di una storia epica d'amore e di morte, ma poi appena può l'abbandona per tuffarsi nella confusione del presente. Dalla ha scritto la musica e i testi, e pure i recitativi, con suoni che spaziano nel tempo e nelle geografie del marketing contemporaneo; ha chiesto aiuto all' ambient, al drum'nhass ma anche allo stesso Puccini che spunta quando Scarpia canta: «Tosca è fuggita, e io rimango solo...». Una bellissima canzone, «Amore disperato», è il leit-motiv che si rincorre con la voce di SidoniaIskra Menarmi (nel disco di Dalla che esce il 31 sarà cantata con Mina); altre canzoni si rincorrono, alcune paiono degne ma al primo ascolto non catturano e l'album dell'opera ancora non c'è. Dalla ha pure curato la regìa. «Un artista che è uno non entrerà più alle prove delle mie produzioni» ha tuonato dal palco Napoleone Zard; ma tant'è, dai crediti è scomparso Lorenzo Mariani che pare sia dovuto correre in Ameri- ca. Il cantautore ha dunque dato il proprio imprinting a ogni aspetto: è una «Tosca» senz'altro pop, questa che si apre con la procace (e un po' legnosa) protagonista Rosalia Misseri mentre rigira nel letto inquieta, con un carillon che non può placare la sua angoscia per i fatti che urgono: «Roma regina e serva di tutti i padroni, il Papa è in fuga. Francesi senza Dio lo tengono lontano dalla città... ti prego Signore, dammi forza per difendere il mio amore...». Simulando i disordini, funamboli, ballerini e saltimbanchi irrompono dal pubbhco o scivolano per lunghe funi sull'intera platea fino alla scena: uno spettacolo, un gran lavoro del coreografo Daniel Ezralow. Ma è anche, all'inizio almeno, una Tosca di pura marca Puccini/ Illica/Giacosa, grandiosamente scenografata da Italo Grassi con tutti i riferimenti classici: ecco la cappella Attavanti nella Chiesa di Sant'Andrea della Valle, ed ecco intento a dipingere il Cavaradossi. Costui, Graziano Calatone, un reduce di «Notre Dame» (come del resto Tosca) non è la figura che più appassiona Dalla, del resto non interessato granché neppure al tema della gelosia: no, la sua star è quel maledetto barone Scarpia, ben reso da Vittorio Matteucci. Travagliato da una passione per Tosca che rasenta la follia, egli si psicanalizza in pubbhco e balla in piedi su televisori che proiettano le fiamme della sua passione; è insieme patetico e perfido: Tosca lo respinge anche con una ginocchiata alle parti basse, e quando lo ucciderà, il balletto delle ragazze che si strappano la lunga gonna evocherà un consesso di liberazione femminista. Ogni volta, poi, che apre bocca lo Spoletta del bravo Lalo Cibelli, con la sua voce roca, viene in mente quanto sarebbe stato divertente Califano - che poi si è defilato - in quel ruolo; Spoletta imbraccia perfino una chitarra acustica: ma quando questo succede ci si è ormai abituati a tutto, si è superato l'impatto difficile del primo tempo un po' sfilacciato oltre che sperimentale, ci si è assuefatti ai preti che ballano come dervisci rotanti, al sipario di lamé chiuso sui danzatori in tuta di vernice nera che commentano in tip tap le malefatte di Scarpia. Si va verso il classicissimo finale pucciniano con un'unica variante: a raccogliere il corpo ormai senza vita di Tosca è un enorme e atletico angelo nero, seminudo, con ah di piume, che scende lo scalone di Castel Sant' Angelo e si offre agli applausi del pubbhco. Vittorio Matteuccì e Rosalia Misseri sono Scarpia e Tosca

Luoghi citati: Castel Sant' Angelo, Europa, Roma