TRUFFAUT effetto donne di Bruno Ventavoli

TRUFFAUT effetto donne GLI AMORI, LE RABBIE, I SEGRETI: UNA MONUMENTALE BIOGRAFIA RACCONTA IL LATO UMANO DEL GRANDE REGISTA TRUFFAUT effetto donne Bruno Ventavoli . .T film sono più armoniosi della "A vita» constatava Frangois Truffaut con una certa amarezza. Sapendolo, dedicò l'intera esistenza al cinema, facendone una casa talvolta accogliente, talvolta nemica. Adolescente difficile, s'ubriacò di film, rubò nottetempo fotografie, schedò ossessivamente gesti di star o reggiseni d'attrici. Uomo maturo, forgiò in ventun film la sua idea di regia, cambiando per sempre il modo di girare, vedere, vivere il cinema. Negli ultimi anni cercò di imbastire un'autobiografia. Lo sforzo rimase incompiuto. Ma Antoine de Baecque e Serge Toubiana colmano la lacuna con una monumentale' Biografia (626 pagine) che esce in Italia per l'editore Lindau. I due critici dei Cahiers du Cinema hanno scavato nel monumentale e maniacale archivio del regista, nei suoi appunti, nei suoi diari, nella corrispondenza amorosa o professionale, con riverente passione cinefila e indiscreta curiosità, per mettere a fuoco la personalità del regista. Ricostruiscono la carriera, film per film, le amicizie, gli amori, e soprattutto l'anima lacerata, non tacendo neppure i dettagli intimi, scomodi, irritanti. La relazione con Catherine Deneuve, per esempio, non piacque all'attrice che ottenne per legge il taglio dei passi che la riguardavano. Ma è l'intero libro a fornire un'immagine assai dissonante rispetto a quella che l'apripista della nouvelle vague amava dare di sé, professionale, asettico, indipendente a tutti i costi. Truffaut non è solo il maestro. Ma un uomo vero di carne e ossa «più appassionante e meno rispettabile» del suo mito, talvolta villano, cinico, ingrato, altre volte timido e sognatore. Segnato da un'adolescenza difficile, sul crinale della delinquenza, non dimenticò mai le ferite causate dalla mancanza di calore famigliare, conservò una violenza nel carattere che sovente evitò di trattenere. Fu padre affettuoso, non altrettanto marito degno, e cercò tutta la vita di lenire la propria fragilità sentimentale inseguendo donne, innamorandosi delle attrici che vedeva sullo schermo e che lavoravano per lui. Truffaut fu un «bambino segreto». La madre aveva appena vent'anni, era di solide radici cattoliche, e non aveva un marito. Lo partorì di nascosto alle sei di mattina, nel febbraio del 1932. E lo affidò subito a una balia. Quando si sposò, il consorte, pur non essendo il padre naturale, decise di riconoscerlo. Il vero figlio della giovane coppia morì neonato. E il piccolo Truffaut, vittima delle convenzioni sociali, dei veleni psicologici, non riuscì a colmare il vuoto né ad essere veramente accettato. Solo la nonna lo ricoprì d'amore. I genitori furono freddi nei confronti di quel bambino difficile, gracile, di colorito giallastro, permaloso. Non gli regalavano cioccolata, non si preoccupavano di fornirgli la merenda per scuola, di vestirlo con abiti decenti. La madre non rinunciò all'esuberanza erotica, con gli operai del vicinato, con sconosciuti, con stranieri senza nome. Il ((padre» appassionato di alpinismo fu paradossalmente più affettuoso, ma comunque più incline a progettare scalate e weekend montani piuttosto che seguirlo nella crescita. Durante un fine settimana a Fontainebleau s'improwisò regista con una 16 mm. Mise in parodia L'amore e il diavolo di Carnè, con la famiglia, gli amici del Club Alpino, e il piccolo Frangois nella parte di un nano. Truffaut, dunque, cercò altrove la sua famiglia. Nella Parigi occupata visse anni romanzeschi e indipendenti. Lavorando, commettendo piccoli furti, frequentando ragazze e prostitute, stringendo amicizie che sarebbero durate tutta la vita. Vedendo centinaia di film, nella sale fumose della capitale, dove i fidanzati andavano ad amoreggiare (la madre d'un amico, maschera al Gaumont-Palace, raccoglieva ogni sera tra le poltrone non meno di sessanta mutandine femminili), cercando di fare pace con i sogni attraverso il mondo virtuale della celluloide, marinando la scuola. A sedici anni fondò un Cineclub e gli affari non andarono benissimo. Per saldare i debiti rubò una macchina da scrivere e la vendette all'amico Jacques Enfer che, ironia della sorta, aveva ideato a Rouen i Cahiers du Cinema nel 1950. Quando un anno dopo Doniol-Valcroze insieme a Bazin e Lo Duca fondarono la rivista - quella vera, quella mitica - dovettero comprare il titolo dal predece^dore. Nell'adolescenza turbolenta arrivò prima il riformatorio. Poi la prigione militare (Truffaut disertò e cercò di non andare in Indocina). E soprattutto la scelta esistenziale del cinema. Giovane autodidatta diventò uno dei critici più ascoltati. Irruento, settario, intransigente, predicò un modo di guardare il cinema e di farlo che fosse passione e amore. Attaccava l'accademia e l'industria, voleva che i giovani prendessero la cinepresa in mano. I nuovi registi avrebbero dovuto raccontare storie compromettendosi, come se un film fosse più personale di ima confessione o di un diario. Uno dei suoi autori preferiti era Sacha Guitry, guardato con sospetto per il suo disimpegno ai tempi di Vichy. In base allo stesso ardore cinefilo, elogiò la censura («E' alla censura americana che dobbiamo il fatto che Marlowe non sia più un omosessuale, che i personaggi diventino gli uni amabili, gli altri detestabili»), demolì gli ideologismi comunisti, s'en¬ tusiasmò per la Storia del cinema scritta da Bardèche e Brasillac (fucilato per collaborazionismo), s'accostò a Rebatet, ex critico dell' Action Frangaise, condannato a morte in contumacia dopo la Liberazione, autore negli anni trenta di scritti talentuosi ma anche ripugnanti (invocava l'epurazione antisemita del cinema francese). Con metodo, rabbia, verve, il ventenne Truffaut attaccò il gotha della critica e della cinematografia nazionale, tant'è che il Festival di Cannes gli rifiutò addirittura l'accredito come giornalista. Fu accolto come un figlio da Bazin, incontrò personaggi centrali della cultura mondiale, da Langlois a Genet, da Rossellini a Roche, da Sartre a Renoir, da Miller a Hitchcock (quando lo incontrò per la celebre intervista, non conoscendo l'inglese, si perse tutte le freddure del regista). Predicava un cinema di avventurieri, di rivoluzionari, di ragazzi terribili, che sovvertisse le regole consolidate. E dalle sue invettive nacque la Nouvelle vague. Dopo vari tentativi passò dall'altra parte della cinepresa. Molti gli rimproverarono cinismo e arrivismo. Per esempio il matrimonio con Madeleine Morgenstera, figlia di un ricco distributore, ebreo ungherese espatriato ai tempi della controrivoluzione horthysta. Film come I Quattrocento colpi (1959) o JuZes e Jim (1962) suscitarono emozione e consensi. Altri, come Tirate sul pianista, delusero. Ottenne successi enormi e patì delusioni cocenti. Ebbe amicizie passionali e litigi furibondi (come quello con l'amico Godard). Forgiò capolavori e venne stroncato. E nonostante l'indubbia fortuna, fama, ricchezza, continuò a restare introverso, fragile. tormentato. Fu il regista, l'amico, anche l'amante, di attrici bellissime da Frangoise Dorléac a Jeanne Moreau, da Catherine Deneuve a Isabelle Adjani a Fanny Ardant. E per tutta la camera cercò di raccontarsi, di far pace con la vita attraverso il cinema. Perché in ogni film c'è qualcosa di lui, delle sue ossessioni, delle sue tenerezze. Dall'adolescente Doinel dei Quattrocento colpi (che rese i genitori rabbiosi), al giovane di Baci rubati, al marito di JVon drammatizziamo... è solo questione di coma, ai bibliofili di Fahrenheit 451, al regista che s'innamora delle sue attrici in Eletto notte, al seduttore impenitente dell'Uomo che amava le donne, al nostalgico dei morti della Camera Verde. Tra alti e bassi, tra rabbie e idilli, Truffaut ha incarnato un' idea di cinema radicale. Fatto di passione, mai di mestiere. Che unisce idealmente la solitudine del regista sul set e lo sguardo complice dello spettatore nella sala buia. E che fornisce sempre un viatico di sogni. Anche alla fine, malato di tumore al cervello, prossimo alla morte, ricevette conforto dalla celluloide. Truffaut chiese di vedere un gesuita cinefilo. Il rehgioso pensò volesse confessarsi. In realtà fece domande sull'aldilà, parlò di pellicole e romanzi. E dietro la porta chiusa, gli amici e i parenti, li sentirono ridere a crepapelle. Morì nel 1984. L'orazione funebre si srotolò a partire da La vita è una cosa meravigliosa. Ritratto meno rispettabile e più appassionante di un genio tormentato dalle ferite dell'infanzia, violento e fragile, sempre invaghito delle sue attrici Frangois Truffaut con Nathalle Baye sul set della Camera verde: Antoine de Baecque e SergeToubiana, due «colonne» dei Cahiers du Cinema, hanno scritto una monumentale biografia del regista

Luoghi citati: Cannes, Indocina, Italia, Parigi