Virzì: l'Italia dì oggi a sinistra le «Zecche» a destra le «Pariole» di Simonetta Robiony

Virzì: l'Italia dì oggi a sinistra le «Zecche» a destra le «Pariole» PRIME CINEMA Virzì: l'Italia dì oggi a sinistra le «Zecche» a destra le «Pariole» La società vista con gli occhi di una ragazzina, la vera divisione è tra esclusi e famosi. Benigni, Placido e Costanzo recitano se stessi Simonetta Robiony ROMA Roberto Benigni fa Roberto Benigni: durante un girotondo con bandiere arcobaleno gli viene presentata Caterina. Giovanna Melandri fa Giovanna Melandri; in un dibattito televisivo si confronta con un onorevole di An, finto. Michele Placido fa Michele Placido: cerca uno spunto letterario per un suo film chiacchierando con una scrittrice, falsa. Maurizio Costanzo fa Maurizio Costanzo: ospita nel suo spettacolo un professore falso, con la sua falsa classe. Per rendere questa Roma contemporanea cialtrona, salottiera, classista, «di conventicole», come viene più volte definita. Paolo Virzì nel suo ultimo film ha chiesto la partecipazione di alcune facce note scoprendo che i più disponibili non erano i colleghi ma i politici, a riprova che è la politica, oggi, ad essersi fatta spettacolo e non viceversa. Il titolo «Caterina va in città» è un dichiarato omaggio a Fellini che dopo «I vitelloni) avrebbe voluto girare «Moroldo va in città», un omaggio più che giustificato visto che anche Caterina è una ragazza di provincia che deve misurarsi con l'improvviso trasferimento a Roma della famiglia. Commedia di costume inzuppata in questa Italia dove destra e sinistra si combattono a parole ma nei fatti vanno a braccetto a prendere l'aperitivo, «Caterina va in città» gira intomo al tema dell'esclusione, ima esclusione che non è più solo di classe o di censo, ma quella esercitata con naturale grossolanità da chi fa parte del giro ai danni di chi del giro non fa parte. Caterina-Alice Teghil ha tredici anni, è di Montaldo di Castro, canta in un coro, ama lamusicaearrivaaRoma per frequentare la terza media in una snobissima scuola del centro. Suo padre Selcio Castellitto insegna ragioneria in un istituto tecnico, ha ambizioni artistiche, si sente incompreso, e ha scritto un pessimo romanzo che aspirerebbe a veder pubblicato. Sua madre Margherita Buy è una burinotta candida e incolta, brava a far torte e dolci ma disprezzata costantemente del marito. Caterina in classe si trova subito alle prese con le divisioni del mondo giovanile, in particolare femminile: da una parte «le Zecche», quelle che contestano tutto, si vestono all'usato, fanno le finte povere e si sentono molto intelligenti perchè hanno letto qualche libro; dall'altro le «pariole», quelle che comprano solo oggetti firmati, vanno a feste notturne, ostentano la loro ricchezza e sentono di avere ragione perchè stanno al governo. A capo deUe «Zecche» c'è Margherita-Federica Sbrenna, kefia al collo, riccioli selvaggi e un groppo di acredine in gola motivato dalla separazione dei suoi, il padre «maitre à pensera della sinistra-Flavio Bucci, la madre sofisticata scrittrice-Galatea Ranzi con appartamento in piazza Farnese. A capo delle «Pariole» c'è Martina- Carolina laquaniello, fighe di un sottosegretario di An - Claudio Amendola, che abita in un villone sull'Appia antica ma si vergogna del saluto romano degli ex camerati: Martina è festaiola e intraprendente, costretta però a girare per Roma con l'autista che la controlla e che è l'unico a vedere le sue lacrime. L'impatto con questa Roma finirà per sfasciare la piccola famigha di provincia salvando ' solo Caterina, ben decisa a entrare a Santa Cecilia a studiare musica. Prodotto da Riccardo Tozzi con Cattleya e Kaicinema, distribuito da 01, in sala da venerdì, questo affrescone sul «come siamo diventati e come non ci piace», prosegue il discorso su noi e il nostro presente iniziato da Virzì con «La bella vita» e andato avanti, meglio o peggio, con «Ferie d'agosto», «Ovosodo», «Baci e abbracci», «My name is Tanino». Un film politico? «E' vero. C'è una battuta nel fiin che dice ; i comunisti sono i ricchi, gli intellettuali, e non fanno niente, mentre i fascisti sono i poveri, i proletari e devono lavorare. Ma è la battuta di uno studente. Non penso che la complessità italiana possa ridursi a questo. Anche se, forse, nella capitale può essere così». Una conimedia di costume, allora? «Direi la storia di un gruppo di persone divise tra integrati ed esclusi, alle prese con un malessere ampio die ci riguarda tutti. Non ci sono buoni e cattivi; c'è una sofferenza generalizzata vista con sguardo ironico perchè certi dolori appaiono anche ridicoli)). Il linguaggio dei ragazzi è molto preciso: dove si è documentato? «Mia figlia Ottavia ha tredici anni». Per lanciare «Caterina va in città» via Internet è stato inventato un gioco: chi traccia l'identikit di «la Zecca», «la Pariola» e «la Caterina)) vince una maglietta. Una scena di «Caterina va in città» di Paolo Virzì

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