TV il peccato originale di Filippo Ceccarelli

TV il peccato originale BERLUSCONI Di CRAXI STOPPÒ LA DECISIONE DI TRE PRETORI E RIACCESE IL VIDEO TV il peccato originale storia Filippo Ceccarelli SUGLI schermi neri comparve una scritta quanto mai profetica: «Le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile». Quando effettivamente ripresero, Silvio Berlusconi potè dunque proclamare: «Il decreto legge emesso oggi è un provvedimento che prende atto della volontà della stragrande maggioranza dei cittadini». Ma non dimenticò di ringraziare, «di tutto cuore, il pubbhco, vero vincitore di questa battaglia, per il grande attaccamento dimostrato ai nostri network, e per la forza, la vivacità, la spontaneità della sua corale protesta contro lo spegnimento delle nostre voci e l'oscuramento delle nostre immagini». L'appello al popolo, anzi al pubbhco. Lo scontrò primigenio con la magistratura. La potenza manipolatoria del mezzo televisivo, che proprio in quella circostanza si rivelò capace di far credere a tutti che era stato un oscuramento giudiziario, quando in realtà fu un semi-oscuramento, se non una serrata. La crisi della Rai, del tutto fraintesa da una de che noncomprese ipericoli,.E4nfine l'esistenza, già allora, di un vero e proprio partito berlusconiano, una specie di Forza Ijieilia ante litteram, in cordiale relazione con il msi e per giunta insediata a Palazzo Chigi nella persona di Bettino Craxi, fresco padrino di battesimo - per dire i rapporti - di Barbara Berlusconi. Sono passati 19 anni e un giorno. L'incompiutezza dell'anniversario, la necessità di anticiparlo rispetto ai canoni del giornalismo, si spiega con il fatto che tutto in fondo nasce da qui. E tutto qui può ritomare: il successo travolgente del Cavaliere, ma anche il suo peccato originale; la quantità di soldi che gliene vennero in tasca, pari solo all'abbondanza di sospetti che non cessano di inseguirlo. E comunque: il 20 ottobre del 1984, nel corso di un Consiglio dei ministri anticipato di tre giorni e tenutosi di sabato, il governo Craxi emanò un decreto legge che faceva rientrare sotto la protezione della legge l'impero televisivo berlusconiano, messo in seria crisi da tre - f pretori. Se né ricordano i noifii: Giuseppe Casalbore, a Torino; Eugenio Bettiol, a Roma; Nicola Trifuoggi, a Pescara. Onesti, il giorno 16, avevano sequestrato antenne, spento ponti radio e sigillato studi televisivi nelle loro regioni perché le reti di Sua Emittenza diffondevano i programmi su scala nazionale, così violando le disposizioni che riservavano allo Stato e alla sua concessionaria, la Rai, la diffusione delle trasmissioni in campo nazionale. In altre parole: aveva bloccato la politica, la tecnica e la giustificazione legale («interconnessione funzionale» era detta) su cui andava crescendo a dismisura l'impero televisivo berlusconiano: più 119,11 per cento di utili rispetto al 1982; più 48,82 di investimenti finanziari, un aumento di capitale in vista. Il polo privato berlusconiano si apprestava a superare definitivamente la Rai, almeno sull'intrattenimento. Più 43,7 per cento l'indice di ascolto di CanaleB; più 125,5 quello di Italial. Erano passate da poco le 8 e mezza della mattina: le tre reti del Cavaliere (Rete4 era stata appena acquistata dalla Mondadori per 105 miliardi) stavano trasmettendo dei film quando di colpo i telespettatori del Piemonte, del Lazio e dell'Abruzzo si ritrovarono il video sommerso di elettrica nebbia. Le pellicole interrotte non dovevano essere un granché, o almeno non se ne ricordano nemmeno i titoli. Ma in serata sull'ammiraglia della Fininvest era prevista un' accoppiata micidiale per l'audience (e la pubblicità): Dallas e Dinasty, uno dopo l'altro. Per non dire, prima e dopo, i Puffi, SuperMash e le telenovelas. In realtà, come ha scritto Poppino Fiori ne II Venditore (Garzanti, 1995) a quel punto le emittenti avrebbero potuto continuare a trasmettere programmi in ambito locale, «per esempio un bel dibattito. - propose lo stesso Casalbore - sul pretore che fa i sequestri». Ma la scelta della Fininvest, straordinario modello di ribaltamento mediatico ad alto impatto emotivo, fu quella di lasciare spenti gli studi. Niente programmi in simultanea nazionale? E sia. E «con mossa politicamente abile - ha ricostruito Anna Chimenti nel suo Informazione ^televisione. La libertà vigilata (Laterza, 2000) - le emittenti interessate effettuano allora il black out totale delle trasmissióni, facendo credere alla pubblica opinione che l'oscuramento totale sia un effetto dei provvedimenti giudiziari». La video-drammatizzazione sperimenta per la prima volta in quella circostanza il suo immenso potere. Migliaia di telefonate inferocite, soprattutto anziani. Il pretore Casalbore chiede alla Sip che gli sia cambiato il numero di telefono di casa. Sempre a Torino, la vedova del giornalista Renato Casalbore, morto con il Torino a Superga, è costretta a rivolgere una supplica dalle colonne della Stampa: «Vi prego, non telefonatemi più. Io con quel magistrato ho in comune soltanto il cognome». I professionisti della politica sono colti di sorpresa di fronte a quell'energia che dagh schermi della tv, attraverso flussi tanto potenti quanto semplificati, si riverbera nella vita pubblica condizionandola. L'Italia intera, compresa l'Umtó, ritiene che la magistratura abbia «oscurato» le tv private. E a distanza di anni sembra quasi che IVoscuramento» abbia coperto l'intero paese. La verità è che in tutte le altre regioni le tv berlusconiane non solo seguitano a trasmettere, ma cavalcano la vicenda. Maurizio Costanzo, che poche settimane prima ha cominciato a sfidare Pippo Baudo a Buona Domenica nel più grande studio televisivo mai realizzato, organizza dibattiti e «Speciali black óuU con teleutenti che sbraitano, personaggi dello spettacolo in lutto e politici che prendono tempo continuando a parlare, come fanno ormai da anni, di una ipotetica riforma complessiva del sistema. Subito dopo il blitz dei pretori Berlusconi si precipita a Palazzo Chigi da Craxi, in partenza per Londra. E' possibile, e in qualche modo anche plausibile, che i due concordino non solo una linea, ma anche il modo di imporla: «Con la brutalità di J.R», come dice l'allori: responsabile delle Comunicazioni di Massa del pei, Walter Veltroni. Quel che in effetti accade, oltre che sui testi di storia patria, lo si trova scritto in mirabile sintesi poetica perfino nella biografia che a «Sua Presidenza» ha dedicato Carlo Comaglia (Cet, 2002), in ottonari che riecheggiano le strofe di Sergio Tofano sul Signor Bonaventura. E dunque: «Tre pretori intransigenti/ gli hanno spento le emittenti./ Corre a Roma da Betti¬ no,/ già di Barbara padrino./ "Oui ci vuole un bel decreto/ che abolisca quel divieto"./ Viene subito approvato/ il problema è superato». E il sènso della vicenda c'è tutto, a parte quel «subito», dato che il famoso decretoBerlusconi verrà impiombato alla fine di novembre alla Camera da franchi tiratori della sinistra de e repubbhcani. Ma se ne farà «subito» un altro, con il che resta sostanzialmente esatta la ricostruzione polemicamente verseggiata dal Comaglia. E tuttavia ciò che impressiona, tanto più se rivista con gli occhi del presente, è come proprio allora siano già ben riconoscibili, tanto gli alleati quanto gli avversari del Cavaliere. Tra questi ultimi, la grande stampa. «Ingiustizia è fatta» titola il Corriere della Sera, sopra un articolo in cui il giurista Vezio Crisafulli sostiene che «hanno ragione i tre pretori». Mentre la Repubblica lascia cadere su tutto l'affare un'espressione di finta e maliziosa meraviglia: «Ma che fretta, signor Presidente». Poche settimane prima, ad ago¬ sto, in prossimità dell'acquisto di Rete4, ci si chiede da dove Berlusconi tiri fuori" tutti quei soldi. All'inizio di settembre sulla stampa per la prima volta compaiono le tracce o le ombre comunque destinate negli anni a lambire la storia del Cavaliere: la P2, gli affari siciliani, Rapisarda, i gemelli Dell'Utri, lo stalliere Mangano. La Fininvest reagisce, facendo anche notare come tutto questo venga fuori nel momento in cui il gruppo «è protagonista di una difficile lotta per la libertà d'impresa e d'informazione». Nove giorni dopo Craxi coglie l'attimo e il Cavaliere incassa. La De cincischia, è divisa, si lascerà illudere di aver mano libera sulla Rai. In realtà è uno scontro che va al di là del sotere, poiché il duopolio segna a fine del servizio pubblico. A viale Mazzini c'è Sergio Zavoli: «Berlusconi - dice poco prima che tutto accada - è fautore e vittima della sua mitologia». E' una frase che allora aveva una sua eleganza, ma che oggi vale forse ancora di più. •Sugli schermi si lesse «Le trasmissioni" riprenderanno al più presto»: bastò aspettare Bettino Il Cavaliere lo ringraziò così: «Il vero vincitore è il pubblico» Silvio Berlusconi e Bettino Craxi (allora presidente del Consiglio) al tempo del decreto sulle tv