«lo, medico nell' orrore di Kabul»

«lo, medico nell' orrore di Kabul» L'ESPERIENZA Di MARCO CAFFERATI, TORINESE, VOLONTARIO PER EMERGENCY IN AFGHANISTAN «lo, medico nell' orrore di Kabul» Il chirurgo: la guerra è finita ma le mine fanno ancora vittime personaggio Roberto Pavaneilo PUOI aver letto tutto e visto documentari o foto, ma quando sei per la prima volta davanti a un bambino di 12 anni senza gambe e testicoli, beh, non sei proprio pronto». Così racconta Marco Cafferati, medico chirurgo torinese, al rientro dall'ospedale di Kabul di Emergency. Il bimbo si chiama Alim: «E salito su una mina mentre raccoglieva legna nel bosco». Rischia ancora di commuoversi, quest'uomo che per cinque mesi ha lasciato gli affetti di casa e il suo comodo impiego al San Lorenzo di Carmagnola, per Emergency: «Li ho contattati tramite internet e, dopo avere superato una selezione e il corso prope| deutico, sono partito». Così il pri¬ mo aprile è iniziata la sua avventura a Kabul, «dove ho festeggiato anche i miei 45 anni». Ieri, all'ora di pranzo, ha presentato alla Fnac di via Roma una serie di diapositive e raccontato la sua esperienza, insieme con Paola Feo, del gruppo torinese di Emergency (//emergency.2you.it). La Fnac devolverà fino al 31 dicembre una parte del ricavato del reparto foto per realizzare un centro di maternità in Afghanistan. Finora sono stati raccolti 30 mila euro. Kabul è una città distrutta, senza vegetazione, con poche strade asfaltate solo in centro, il resto è polvere d'estate e fango d'inverno; «È stata molto dura, ma ne è valsa la pena. Sentivo la mancanza di casa e dei miei cari, ma al momento di lasciare Kabul ho Dianto come un bambino». Nel Dellissimo ed attrezzato ospedale di Emergency opera personale in prevalenza afghano: «Gli unici chirurghi italiani eravamo Alberto Landini, ortopedico milanese, ed io, più, un paio di volte, Gino Strada». Infermieri e altre figure professionali arrivano soprattutto dall'Italia, ma anche dal resto d'Europa, dal Canada e dall'Australia ed hanno tra i 20 e i 60 anni. «Ora che la guerra attiva è finita, ogni settimana ci sono due o tre vittime di mine, che sono al 30 per cento di produzione italiana. Poi ogni giorno persone colpite da armi da fuoco, perché non c'è famiglia che non sia armata. Quando vengono all'ospedale in visita devono lasciare le armi all'ingresso, dove c'è un metal detector». Nelle poche automobili che viaggiano ci si accalca dentro e fuori; «Questo provoca molti traumi da cadute d'auto, ma ci sono anche molti bambini che precipitano dai tetti sui quali giocano. Ci sono persone che per arrivare in ospedale impiegano anche un giorno intero». Poco il tempo libero; «Ero sempre reperibile e le poche volte che sono uscito mi ha accompagnato una guardia di Emergency, ovviamente non armata. Comunque, non c'erano molti posti dove andare». Tornerà in Afghanistan? «Forse tra molti anni. Ma ho capito che quella del chirurgo di guerra non è la mia strada. Per ora continuo a raccontarlo, ed è importante come averlo fatto». Il chirurgo Marco Cafferati

Persone citate: Alberto Landini, Gino Strada, Marco Cafferati, Paola Feo