Soldati turchi in Iraq, allarme nel governo iracheno di Paolo Mastrolilli

Soldati turchi in Iraq, allarme nel governo iracheno UNA PARTE DEL CONSIGLIO INSEDIATO DAGLI USA CONTRARIO ALLA PRESENZA DI TRUPPE DEI PAESI CONFINANTI «SENZA ECCEZIONI» Soldati turchi in Iraq, allarme nel governo iracheno Ankara approva l'invio in cambio di un prestito di 8,5 miliardi di dollari Paolo Mastrolilli NEW YORK La Turchia vuole mandare i suoi soldati in Iraq, per aiutare gli americani con l'occupazione, ma almeno una parte del Consiglio governativo provvisorio locale non li vuole, perché teme che finiscano col mettere le mani nelle faccende politiche inteme. E' l'ultima stranezza di questo dopo guerra, che ieri tra manifestazioni e attacchi ha aggiunto alle vittime tre soldati Usa e un interprete. A marzo Ankara, guidata dal nuovo governo a maggioranza islamica di Recep Erdogan, aveva deluso Washington negando il transito sul suo territorio alla Quarta divisione di fanteria, che durante la guerra in Iraq avrebbe dovuto aprire il fronte settentrionale. Adesso, a conflitto concluso, i negoziati tra i due Paesi hanno dato un risultato diverso, e ieri il Parlamento turco ha approvato a grande maggioranza l'invio di truppe, in cambio di un prestito da 8,5 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno chiesto 10.000 soldati e la Casa Bianca ha commentato con soddisfazione il voto, dicendosi pronta a definire le modalità dell'intervento. Ankara, infatti, aggiungerebbe il pruno continuante musulmano di dimensioni consistenti alla forza di occupazione, aiutando a diluire l'impressione della conquista di un Paese islamico da parte dei cristiani. Il problema, però, è che gli iracheni non vogliono. Il primo ad alzare la voce è stato Mahmoud Othman, un curdo membro del Consiglio governativo provvisorio insediato dagli americani: «Ci siamo riuniti - ha detto - e dopo lunghe delibera- zioni abbiamo raggiunto il consenso per emettere una dichiarazione contro l'arrivo delle truppe turche». Erdogan ha risposto che i suoi soldati varcherebbero il confini come amici, per accelerare la fine dell'occuDazione, e il governo di Ankara la detto che secondo le sue informazioni di intelhgence il Consiglio non è unanime nel rifiuto. In effetti la pubblicazione del comunicato è stata rimandata, forse a causa delle pressio¬ ni americane, ma poco dopo ha parlato anche Nabeil al-Moussawi, uno sciita membro dell' Iraqi National Congress di Ahmed Chalabi: «Il Consiglio governativo - ha detto - è contrario alla presenza di truppe dei Paesi confinanti senza eccezioni, e la Turchia rientra in questo gruppo». Le ragioni dell'opposizione sono molto profonde. L'Impero ottomano aveva dominato l'Iraq fino alla Prima guerra mondiale, e gli attriti sono continuati fino ad oggi soprattutto per la questione curda. Quasi metà della popolazione turca, infatti, ha origini curde, e molti ambiscono alla creazione di uno stato indipendente che includerebbe la parte sud orientale del territorio di Ankara, il Nord dell'Iraq, e altre zone confinanti di Iran, Siria e Armenia. La Turchia ha combattuto per anni contro il Pkk di «Apo» Ocalan, cioè la guerrigha curda. sconfinando spesso nell'area settejitrionale Irdcheiia gestita autònomamente dai curdi di Massoud Barzani e Jalal Talabani. Ora da una parte Ankara teme che la caduta di Saddam riaccenda l'indipendentismo dei curdi, che tra l'altro hanno ottenuto la poltrona di ministro degh Esteri nel governo provvisorio con Hoshyar Zebari, già portavoce di Barzani; dall'altra i curdi temono che Erdogan cerchi di imporre l'influenza del suo Paese sul nuovo Iraq. I turchi, poi, sono musulmani sunniti come Saddam, destinati probabilmente ad inviare le truppe nella zona centrale del Paese, e così si spiegano anche le resistenze della maggioranza sciita. E' probabile che le pressioni di Washington convincano il ConsigUo governativo iracheno a fare marcia indietro, ma comunque nel futuro la presenza dei soldati di Ankara potrebbe creare nuovi problemi. Gh americani però hanno bisogno di aiuto, a giudicare da quello che è successo ieri. Il primo attentato mortale è avvenuto lunedì sera ad Ovest di Baghdad, dove l'esplosione di una bomba ha ucciso un militare del Terzo reggimento di cavalleria. Il secondo è capitato un'ora dopo ad Haswah, una ventina di chilometri a Sud della capitale, e qui hanno perso la vita due soldati dell'82esima divisione aerotrasportata, più un interprete iracheno. Un terzo attacco ha ferito tre militari vicino Tikrit, città originaria di Saddam nel Nord del paese. Un razzo è stato lanciato contro il nuovo ministero degli Esteri di Baghdad, proprio verso l'ufficio di Zebari, ma senza-fare vittime. Nelle strade della'capitale poi sono scoppiate nuove proteste, da'parte ìdegliseK'taili»; | tari in cerca di lavoro, e dei fedeli sciiti di una moschea dove gh americani hanno arrestato l'imam, accusandolo di proteggere i terroristi. Intanto lunedi sera all'Orni si era riunito ancora il Consiglio di Sicurezza, per discutere la nuova risoluzione proposta da Washington per creare una forza multinazionale, ma non ci sono stati progressi. Anche ieri due agguati mortali contro gli americani: tre i militari uccisi. Un razzo lanciato contro il ministero degli Esteri a Baghdad Pacifisti turchi con uno striscione sul quale è scritto «No alla guerra» davanti al Parlamento al tramonto: per tutto il giorno hanno presidiato l'edificio in attesa del voto sull'invio di soldati in Iraq