«Denigratori, giù le mani dal Palazzaccio»

«Denigratori, giù le mani dal Palazzaccio» «Denigratori, giù le mani dal Palazzaccio» La preside di Architettura; inaccettabile l'abbattimento l'intervento Vera Comoli IL passare delle generazioni è rimasto impresso nell'antico edificio e nelle vie dell'antica città: così nell'alveo di un torrente or privo di acque la corrente rapinosa ti si mostra ancor lì impressa nella disposizione dei ciottoli, delle sabbie e delle erbe ai margini: e questi effetti, conseguenza e testimonianza di quel fenomeno, hanno in sé una bellezza». Così scrive Mario Passanti nel 1954, in un breve saggio «Genesi e comprensione dell'opera architettonica», che è stato e rimane imo dei riferimenti della sua opera professionale e di docente, ben conosciuto da tante generazioni di architetti piemontesi e non (e tutti, indistintamente, ricordano il suo insegnamento come imo dei pochi capisaldi durevoli e profondamente formativi dello studio dell'Architettura al nostro Politecnico). La denigrante polemica che ha caratterizzato negli anni recenti il Palazzo degli Uffici Tecnici Comunali in piazza San Giovanni (architetti M. Passanti, P. Perona, G. Garbacelo, 1959-1961), con proposte di demolizione e di radicale modifica della sua forma, suona cosa strana e non accettabile - ancorché sostenuta dalla considerazione di una scomoda localizzazione dirimpettaia del Duomo. La contemporanea prassi e cultura architettonica e del restauro urbano ha infatti da tempo preso le distanze dal «piccone risanatore» nella città e aderisce al principio della stratifica¬ zione, del lungo periodo, del contesto ambientale, spostando l'attenzione dai singoli monumenti all'ambiente e al paesaggio urbano. La Cattedrale di San Giovanni, voluta dal cardinale Della Rovere e sorta (1491-1497) sul terreno delle demolite tre basiliche paleocristiane di San Salvatore, San Giovanni Battista e di Santa Maria, già era stato un intervento dirompente, con le sue bianche facciate di marmo nel rosso tessuto connettivo di cotto della città quattrocentesca, con una piazza-sagrato stretta e insufficiente, ben presto divenuta obsoleta in virtù delle nuove decisioni urbanistiche ducali, tutte rivolte non più verso la Città Vecchia (del Comune e dei mercati), ma nella dilezione innovativa e urbanisticamente determinante di Piazza Castello e delle espansioni barocche a Sud e verso d Po. Il Duomo è giunto fino a noi nelle forme (quasi) originarie perché nessuno dei progetti del Settecento e Ottocento per la sua demolizione e ingrandimento è stato messo in opera. Gli architetti che ci hanno provato non erano certo nomi secondari: Filippo Juvarra, Benedetto Alfieri, Bernardo Vinone, Luigi Canina, Alessandro Antonelh (che propone il nuovo Duomo in Piazza Castello con la demolizione di Palazzo Madama), tutti accomunati dal costante principio che la soluzione del problema non poteva essere soltanto architettonica, ma urbanistica: la radicale trasformazione del contesto era principio allora accettato dalla cultura e dalla prassi operativa. La dissoluzione progressiva e irreversibile dello spazio della piazza è però avvenuta a partire dal 1885 con le demolizioni e ristrutturazioni conseguenti alla legge di Napoli, al di fuori di una idea informatrice urbanistica complessiva: sono cominciate le demolizioni dei tessuti edilizi minori, l'isolamento dei monumenti (Torri Palatine, Campanile), una progressiva e preoccupante rarefazione degli edifici a Nord, la costruzione della manica nuova di Palazzo Reale (1889), l'avvio delle campagne archeologiche con importanti ritrovamenti. I danni di guerra (1942-45), ma non solo, e ben prima negh Anni Trenta la decisione dell'abbattimento dell'isolato davanti al Duomo (con portico di Carlo di Castellamonte del 1622) e la nuova destinazione prevista per Palazzo della Provincia, diedero vita a proposte significative che scaturirono dal concorso indetto nel 1936 (tra i partecipanti anche Passanti). La risoluzione non giovò alla zona: sia il Piano di Ricostruzione del 1947, sia il successivo Piano Particolareggiato, sosterranno il nuovo concorso indetto nel 1957, purtroppo gravato dal vincolo imperativo di un portico evocativo di quello castellamontiano; sulla traccia del vincente progetto di Passanti, alquanto modificato dalle richieste degli enti competenti, si costituirà l'attuale Palazzo degli Uffici Tecnici Comunali. Il progetto dipende da una stagione culturale densa di significato per l'architettura, anche alla luce delle teorie sull'intervento del nuovo nei vecchi tessuti storici ed è un edificio da non sottovalutare architettonicamente. Ma qui - e questo è il guaio di tessuto storico non c'era più niente, soltanto l'emergenza architettonica del Duomo e del suo isolato bel campanile, i fronti con mole e altezze ben diverse di Palazzo Chiablese e del Semi¬ nario (con fronti sulla piazza ristrutturati a partire dalla fine dell'Ottocento), resti archeologici vaganti non collegati fra di loro, le brutte facciate degli edifici pubblici e privati a lato delle Porte Palatine. Il tutto appoggiato su una platea digradante verso Nord piena di macchine, di isole spartitraffico, di un deludente arredo urbano, di prati spelacchiati, di irrisolte soluzioni per servizi e traffico. Questo è il contesto attuale di questa parte di città, che è - sì carica di storia, ma ora del tutto priva di quahtà urbanistica. Ed è proprio la dimensione urbanistica del tema che va affrontata e risolta, con attenzione al fatto che la skyline della piazza (la linea contro il cielo) non è uniforme e non è giusto uniformarla ora. Il tema è affrontato concretamente dal Comune, che sta avviando la soluzione della cosiddetta zona archeologica secondo le indicazioni del PRGC. Ci lavora progettualmente Aimaro Isola ed è alla sua capacità di architetto attento ai contesti e al paesaggio che vogliamo affidarci tutti insieme per la soluzione di un problema che non deve basarsi sui singoli edifici - né tantomeno sulla demolizione o mascheramento del Palazzo degli Uffici Tecnici del Comune ma su ima ragionevole loro connessione che parta dalla valorizzazione morfologica e funzionale della grande platea su cui essi poggiano e che preveda soluzioni connettive che parlino di urbanistica e di città, senza entrare nella inutile polemica della demolizione o di camuffamenti non sostenibili culturalmente. jja^ La cultura "" architettonica contemporanea ha preso le distanze dal «piccone risanatore» e aderisce al principio della stratificazione, spostando l'attenzione dai singoli monumenti all'ambiente AA e al paesaggio 7^ iLÉi Nessuno "^ dei progetti del 700 e '800 per la demolizione e ingrandimento del Duomo è stato tàfà messo in opera ^^ Vera Comoli, docente di Storia dell'Urbanistica è stata prorettore del Politecnico di Torino dal 1988 al 1997. Oggi è preside della seconda facoltà di Architettura e rappre^-itante del Politecnico nella commisiio.ie regionale per i Beni Culturali. E' inoltre membro dell'Accademia delle Scienze. Fra i suol principali interessi scientifici la storia dell'architettura edell'urbanistica della città e del territorio in ambito piemontese ed europeo. Specialista di juvarra e delle residenze sabaude, è autrice di oltre 200 pubblicazioni sulla storia dell'architettura. Insieme con questi volumi ha realizzato una serie di ricerche sulle città-capitali italiane ed europee in periodo moderno e contemporaneo. Un'insolita veduta del Palazzo dei Lavori Pubblici con in primo plano II Duomo di Torino

Luoghi citati: Castellamonte, Napoli, San Salvatore, Torino