Ceronetti viaggio al termine di Torino

Ceronetti viaggio al termine di Torino Ceronetti viaggio al termine di Torino Brano Quaranta E # ima maschera, Guido Ceronetti. Il basco. E sotto il basco tanti fili grigi (il color grigio che elogiò in un lontano appunto), ogni filo un destino bizzarro, forse lo spirito di una marionetta ideofora, fra le creature del surreale Teatro concepito di stagione in stagione. Tempo fa - in cartellone «La iena di San Giorgio» - il sipario si levò nel torinese cimitero degli Impiccati, San Pietro in Vincoli, ormai orfano di teschi, tibie, femori...Quale luogo più surreale, più intonato al nostro medium, così caro agli Dei Mani? (Lunedì 29, a Torino, Café Procope, ore 18, gh allievi del Piccolo Teatro di Milano rappresentano, di Guido Ceronetti, «M'illumino di tragico»). Intorno alla Mole, Ceronetti è apparso nel 1927, a pochi passi dalla Consolata, dagli ex voto in cui avrà letto storie nascoste a troppe, dissacrate pupille odierne. Via via ha identificato, svelato, financo scorticato, la città, foglio dopo foglio (i Salesiani, per esempio, avranno mitridatizzato il veleno su Don Bosco? «Come non vedere nella sante amicizie per Luigi Comollo o il languoroso Domenico Savio il trepidare segreto, il verme misterioso della passione»). Una specie di diario, di passages, che Einaudi ora raccoglie, ri-accende: Piccolo inferno torinese. Tutte le prose indigene? Così assicura la nota editoriale, così non è. Non sono poche le testimonianze «dimenticate», eppure necessarie. Come l'omaggio al «libraio poeta», alias Luciano Tricerri, una sorta di padre putativo, una luce nelle tenebre. Non è solito, l'inquilino di «Albergo Italia», definirsi «celiniano di Porta Palazzo»? E dove cominciò il suo viaggio al termine della notte? In un portone di via Vanchiglia: l'antro dove il bouquiniste gli offrì il «fluviale, mastodontico, filosofico Voyage, bibbia della rivolta argotica impotente e del]'irrisione senza fine deJJo sforzo umano». Ritraendo Tricerri, Ceronetti raccontò se stesso: «Gente come lui, si può trovarla soltanto nelle arche ereticali torinesi, abitate da malinconici, da ascetici, da ironici, da un piccolissimo clero di refrattari, di solitari, di compassionevoli, di gnostici, di veramente scaduti contro il vizio universale della stupidità, familiari del vino (si può esserlo anche senza bere), dell'etimologia e della morte». A che punto è l'apocalissi? Quesito torinese per antonomasia (gli angeli e i dèmoni di Cesare Pavese, «donnette, spiantati, venditori ambulanti», che in piazza Carlo Felice aspettano sempre «qualcosa di grosso, il crollo della città, l'apocalissi»). E, naturalmente, un quesito ad hoc per Ceronetti: sentinella, a che punto è la notte? Perché quest'anima persa (dantescamente persa, dunque infuocata, dunque acherontea) è il testimone dei nostri abissi, della nostra decomposizione, un destino affinato frequentando l'apolide Cioran: «E anche una casa che ciondolava fatiscentissima (di dignitoso le case non hanno che la fatiscenza) sull'angolo tra via Andrea Doria eviaLagrange...». Un flàneur, Guido Ceronetti («La flànerie l'ho praticata sempre, per il piacere di camminare e di saccheggiare case, finestre, depositi invisibili di sensazioni»). Un acrobata sul filo che le Parche - suprema tortura - si ostinano a non recidere. Un pedone, il Pedone di Torino, nel solco del «Piéton de Paris» (LeonPaul Fargue): ((Ancora oggi le città amo percorrerle a piedi, ma il gas, l'incessante mazzapicchio acustico in testa dei rumori stradali mi accecano...». E' remoto quel Ferragosto «vuoto per ferie» (ulteriore pepita assente nel Piccolo inferno : o celata o diluita nello spartito?), le famiglie sui balconi che ascoltavano le musiche di Angelini, il Pedone che si fermava ogni tanto a leggere Leopardi, che si avventurava fra i mansarditi («La loro religione gli proibiva di leggere gioniali a fumetti, mentre li obbhgava alla lettura giomahera di brani di Heidegger»), il dandy sgualcito che, giunto in via Cigna, si cambiava di scarpe «per riguardo verso il cineteatro Fortino». Quel «giorno pieno d'incantesimi, in cui talvolta anche Cristo, su un balcone o da una mansarda, all'angolo di una strada o dalla serranda di ima farmacia, appariva e subito si dileguava». Un visionario del reale, Guido Ceronetti, come lo avrebbe salutato Guido Piovene (altro spirito-guida, altro segugio di Furie). E dunque vocato a «smarrirsi» nella scatola magica che è Torino, di là della favola razionialista e industriale. Un pellegrino nel Sottosuolo, un rabdomante delle viscere, un inviato negh scavi. Di meravigha in meraviglia: sia l'isola Cottolengo (il Museo della Pietà), sia la Fiat-Lingotto («Era un'ascensione paradossale, per la straordinaria pista a spirale creata da Matte-Trucco nel 1920 [...] come se questa architettura industriale concepita come una macchina utensile, e già lontana, fosse una cattedrale estema del Sottosuolo»); sia il Museo Egizio o sia il Museo Lombroso; sia la Sacra Sindone («Umiliata a reperto per indagini di questura - a macchie di assassinato e impronte portate alla Scientifica il mattino dopo») o sia un cinema incenerito, magari evocando, dinanzi all'estremo film, i versi montaliani: «Una storia non dura che nella cenere»; sia egualmente, tragicamente finito in fumo, in rogo - l'Angelo Azzurro di via Po, duro, obitoriale, violento, infernale documento, sia, l'inferno, il piombo che oltraggiò Carlo Casalegno... «Schedato come torinese»: il biglietto di visita esibito da Guido Ceronetti nel risvolto di antiche «Compassioni e disperazioni». Introducendo questa guida impavida, dedicata a Elémire Zolla (un'orma torinese quale «Minuetto all'inferno»), spiega: «Torinese sì, per foghetto anagrafico, l'accento incorreggibile, i ricordi...Finisce lì...». Sarà. Sarà che non ha radici, che «qualsiasi simulacro di radicamento che non sia metafisico, metabiologico, metatemporale lo rigetto, lo vomito..». Ma non è - la Torino di questo viandante metafisica, metabiolgioca, metatemporale? Non è la tabula di una «dissipatio humani generis», l'umanità estintasi perché insipiente come in un racconto di Italo Cremona? (Le fotografie a corredo. Anni Cinquanta e Sessanta, dello stesso Ceronetti e di Carlo Ferrerò, sono barlumi di civiltà sepolte: ballatoi, «nivole» - abbaini nell'argot -, rive di fiume che sono echi di Stige). Anima-pipistrello, si contempla Guido Ceronetti attingendo nei Miseràbili: «E i crepuscoli non piacciono che alle anime-pipistrello». Dannano sulle rovine, ma non rapaci, non torve, non vampiresche. «Un primato di Torino» - avvertì secoli fa il traduttore dell'Ecclesiaste - è «ritrovarsi nelle sue case la più importante famiglia di Tipi Originali», fra le loro innocue manie «quella di pensare», su tutte, laicizzata, la funzione dei biblici Cinquanta Giusti, «capaci di tenere lontano il fuoco celeste castigatore». E' un sommo esorcismo questo Piccolo inferno. LA TORINESE La Torinese ha un modo unico di significare il losco (sesso, sesso più soldi, soldi, ricatti, imbrogli) ed è la frase in sospeso: «C'è un ambientino...» l'accento si fa raccolto e speciale, gli occhi riverberano fiamme di ambientino. L'azienda, il retrobottega, il municipio, la radio, la scuola, l'università, l'altro lato del pianerottolo, il balcone di fronte, non sono che parvenze: la solida realtà è l'ambientino, che insidia e corrode tutto. E' certo che ogni individuo ha per realtà di sottosuolo l'ambientino, e anche la Torinese ha il proprio, del quale diffida, compiacendosene, come di una trappola sempre aperta. AL CINEMA CORSO Sarà stato più di venti anni fa, l'ultima volta che andai al cinema Corso, il cui nome era Palazzo prima che io nascessi. Quando vado a Torino per qualche giorno, ho di meglio da fare che ingaglioffarmi davanti a un brutto film. Ma avevo rispetto per quel magnifico locale, l'ultimo bel Cinematografo di Torino. Si respirava il decoro, si godeva il sontuoso, tutto per poca lira. Nel Quaranta, un posto di platea costava quattro-cinque lire, e per quella somma - di cui tutti, eccetto pochi infelici, disponevamo - Amedeo Nazzari, regìa del grande Blasetti, rivelava a noi adolescenti il corpo della donna, scoprendolo, bianco, irraggiungibile, fino al pube. Gh Edipi si scaricavano. Quello era cinema! CAMMINARE DI NOTTE Era beUissimo camminare, di notte, da via Garibaldi alla chiesa di San Vito, da Porta Nuova alla frontiera della Venchi-Unica, senza dover rabbrividire del silenzio, della macchina improvvisa, di due che sostano davanti a un portone. Eppure le previsioni, verso la fine del coprifuoco, erano catastrofiche: la guerra avrebbe generato un dopoguerra di intensi crimini, di enormi rapine... Niente affatto! E' con la pace, e grazie alla pace che il crimine si è strenuamente moltiplicato! Come sfogare in altro modo il fondamentale istinto umano di massacrare il simile! È impressionante questa Torino che l'ora notturna rende deserta, come Edom e Moab in una maledizione di profeta... Oggi la paura dell'oscuro nemico ha raggiunto, pietrificato, avvilito tutto... L'ISOLA COTTOLEMGO L'isola Cottolengo resiste coi suoi vecchi statuti nel frenetico mare di denaro della città nevrotica, custode di un tesoro che ha nome: il Denaro non come fine. Arriva dall'esterno, sostiene l'edificio, ma non penetra nelle tasche, non mangia i visceri, non si fapagare per i servizi che fa. La libertà dal denaro costringendo tutti i servizi prestati in quel perimetro miracoloso a cercare un compenso altrove, questo glielo può fornire soltanto un superiore valore morale. Le facce di felicità pura e come incantata, delle piccole suore e dei fratelli cottolenghini (donne e uomini tutti resi perfettamente madri e padri non da un act of shame ma da un atto di dedizione) sono facce di ben remunerati, di soddisfatti da una paga che non appartiene al mondo e che si guadagna ancora più per grazia che per fatica. Nellapaga della gente cottolenghina c'è un barlume di quel che giustifica l'essere e salva da un orrore senza fine la vita. LO STILE CASALEGNO La figura sorridente, l'immagine pubblica, pur così riservata, di Casalegno, parevano escludere, per lui, una predestinazione tragica. Il suo stile rifuggiva dal tragico, anche nella semplice forma del dilemma e dell'aut-aut. Lo hanno freneticamente ucciso, e questo conferma che la somma delle sue apparenze non dà mai per risultato un uomo. I proiettili sparati da un ignobile buio, perforando quella sua impenetrabile maschera di ottimismo e di fiducia nell'uomo cittadino con cui mi era difficile e perfino doloroso, discutere, hanno scoperto un volto pudicamente amaro, che tra studi nobili di storia e di letteratura si avviava a un incontro, con la morte, tra i più spietati. (...) Casalegno giornalista aveva una speciale bravura nell'emendare opinioni in cui sentisse il falso o l'esagerazione deformante (lo provò in varie occasioni, polemizzando con Basso, Pannella, Pasolini); era un servitore del giusto e aveva un istinto sicuro per fiutare e misurare l'ingiusto. LAVORI IN CAPELLI Come pedone, ho fotografato molto, guardando e riguardando, ma almeno di Gabinio qualcosa è rimasto, nel mio album mentale il dissolvimento delle immagini è stato inesorabile, giudicate dalle idee e dagli archetipi superflue, forse. Emerge un'insegna in Via San Dalmazzo (...) come simbolo della consunzione di un legno dipinto: Lavori in Capelli {..), e nella vetrina non più estesa di una trappola per volpi dietro un velo di polvere appariva un tragico tronco di donna segata che una parrucca rossiccia proteggeva da una vergognosa calvizie. L'esecutrice di quei Lavori era una vecchia che da molto tempo aveva cessato di ricevere commissioni (...). Si alimentava, probabilmente, di parrucche. Ceronetti viaggio al termine di Torino Ceronetti pubblica da Einaudi «Piccolo inferno torinese» (pp. 99, e 10,50). Ecco alcuni brani in anteprima. Nel volume sedici fotografie (alcune riprodotte qui accanto) dello stesso Ceronetti e di Carlo Ferrerò (in copertina un'immagine di Giovanni Calaverna).

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