Scrittori dietro le sbarre, emozionati di Fulvio Milone
Scrittori dietro le sbarre, emozionati QUESTA SERA IL VOTO POPOLARE DOVRÀ DESIGNARE I QUATTRO VINCITORI DEL PREMIO NAPOLI. PARTECIPA ANCHE UN GRUPPO DI CARCERATI Scrittori dietro le sbarre, emozionati Fulvio Milone Napoli SI guarda intomo e gli viene un groppo alla gola. «Quando entro in un carcere sono sempre emozionato, perchè non posso fare a meno di ricordare quando a otto armi ero rinchiuso in un lager nazista», dice l'israeliano AharonAppelfeld. In compagnia del romanziere spagnolo Antonio Munoz Molina, ha appena varcato i cancelli del Penitenziario diSecondighano, e i detenuti li assediano con mille domande. Grazie a loro la letteratura è entrata per un mattino nel carcere dove i reclusi dell'area verde, «a custodia attenuata», hanno formato due dei 160 comitati di lettura al lavoro in tutto il mondo per selezionare i vincitori dei Premio Napoli. Per i due gruppi sono stati scelti nomi che evocano il desiderio di luce e di libertà: «Girasole» e «Abate Faria». Anche loro, dietro le sbarre, votano per assegnare i premi. Ora tempestano di domande due finalisti d'eccezione: Aharon Appelfeld, uno dei massimi scrittori israeliani, e Antonio Munoz Molina, il più giovane membro delTAccademia Reale di Spagna, che assieme a Eduardo Albinati, in gara per la sezione narrativa italiana, rispondono volentieri. I detenuti-giurati hanno scelto di votare proprio per la tema dei romanzi della sezione narrativa straniera: Tutto ciò che ho amato di Appelfeld, Sefarad di Molina e La sposa liberata di Abraham Yehoshua, che non ha fatto in tempo a partecipare all'incontro. I reclusi sono molto giovani, stanno scontando condanne per droga. Hanno tutti aderito al progetto chiamato Girasole, che consente ai tossicomani di frequentare le scuole dalle elementari al tecnico commerciale e di svolgere ima serie di attività artigianali. Ma c'è anche un ragazzo che sta studiando per la seconda laurea. La voglia di riscatto e là sofferenza, in questi uomini costretti in cella, è forte. Lo capisce bene Appelfeld, la cui esistenza è impastata col dolore. «A soli otto anni ero chiuso in un lager - ricorda -. Dopo essere stato liberato dai soldati russi, ho trascorso altri ventiquattro mesi della mia vita assieme .a una banda di malavitosi ucraini. So bene che cosa vuol dire sentirsi prigioniero, e nei miei romanzi ho sempre cercato di spiegarlo». Anche Molina, autore di bestseller come Plenilunio, sente la sofferenza dei suoi interlocutori: «Cervantes, che amava molto l'Italia e Napoli, scriveva in un carcere a Siviglia. La lettura è una grande compagna della solitudine, n mio romanzo, Sefarad, è dedicato a tutti coloro che sono in esilio, non solo alla stòria degli ebrei spagnoh. Sì, perchè ognuno di noi può diventare ebreo di qualcun altro». Le domande incalzano, un detenuto chiede consigli per esercitarsi alla scrittura, un altro vuole spiegazioni sulla costruzione di un romanzo. Molina ha una ricetta solo all'apparenza semplice: «Lasciate scorrere i sentimenti. Scrivete sempre e non buttate via nulla come faccio io». I lettori dietro le sbarre chiedono che la Fondazione Premio Napoli, organizzatrice dell'incontro in carcere, renda stabile il rapporto con gli scrittori, e invocano aiuti concreti per arricchire la bibhoteca del carcere. «Abbiamo approfittato di ogni momento di incontro per scambiarci le idee sui libri in concorso - spiegano -. Perfino al mattino, sotto la doccia, parlavamo delle sensazioni che la lettura ci dava».
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