La Lega alza ancora il prezzo in vista dell'accordo finale di Giovanni Cerruti

La Lega alza ancora il prezzo in vista dell'accordo finale LA STRATEGIA DEL MINISTRO DELLE RIFORME SU FINANZIARIA E PENSIONI La Lega alza ancora il prezzo in vista dell'accordo finale Nell'intervista a Radiò Padania ha ripetuto gli attacchi lanciati ' Comizi deli'estali^er tenere^ulla corda gli alleati retroscena Giovanni Cerruti MILANO NE ha dette di tutte tranne una, «faccio saltare il governo». E a riascoltare i tre quarti d'ora dell'(auto) intervista a Radio Padania, più che dette le ha ridette. I comizi d'agosto ripetuti a settembre. La novità è che sia tornato lì, e proprio ieri, a ricordare gh anni 90, «i democristiani, i comunisti, i socialisti, questi delinquenti criminali che hanno portato al fallimento il Paese» (Cambiago). «Il Nord, se non fossero intervenuti quelli di Mani Pulite con il signor Di Pietro, li avrebbero presi a fucilate. E forse sarebbe stato meglio» (Ponte di Legno). «Grazie a quei disgraziati non ci sono soldi per la sanità e le scuole» (Brugherio). Ma tutto, anche ieri, finisce poi sul tema pensioni e su un avverbio a mezzavoce: «Non s'illudano, non cederemo facilmente...». (Melzo). Nella Lega l'avevano capito da mercoledì. Sulle pensioni Bossi si sta muovendo, o meglio smuovendo. Si prepara a cedere perché, come gli ha spiegato e rispiegato Giulio Tremonti, non esistono alternative. E Bossi ha cominciato la sua resistenza di parole e paroloni. Ce n'è (quasi) per tutti. Cederà nel 2008, però. «Fino a quell'anno resta tutto a posto, poi bisognerà vedere cosa combina il nostro Maroni...». Proprio Maroni, mercoledì mattina, aveva dettato una dichiarazione che ai leghisti era sembrata una conferma. «La materia è troppo delicata, ci vuole l'intervento diretto di Berlusconi» . Che sia il premier a prendersi la responsabilità. La Lega non si vuole scottare, e men che meno Maroni, che da ministro dell'Interno si era già ustionato nel '94 con il decreto Biondi. Ma Bossi non cede «facilmente» e dunque ieri mattina, dopo un mercoledì con il telefonino spento, lette le dichiarazioni di Berlusconi da New York alle 10,30 chiama Radio Padania. Il direttore Matteo Salvini non c'è. Non gh dicono che in quel momento stanno intervistando il ministro delle Comunicazioni Gasparri. Mezz'ora più tardi richiama e chiede di andare in diretta. Chi ascolta ritrova il Bossi d'agosto, quando tuonava contro Inciuci&Gattopardi. Quando non aveva ancora capito se Berlusconi avrebbe resistito a chi puntava alla rottura con la Lega. Quando aspettava un sì alla riforma federalista, e il sì era poi arrivato dai quattro «saggi» della Baita di Lorenzago. Evviva. «Silvio è come Mese, sta attraversando il suo Mar Rosso delle riforme». Parole ad alzo zero per gridare che la Lega non vuole toccare le pensioni di anzianità, ma sarà costretta ad accettare conti e decisioni di Tremonti, che è poi un amico. Le pensioni in cambio della riforma federalista. Anche nella sede milanese della Lega fanno fatica a star dietro questa strategia di Bossi. Sanno che non può rompere, non può far saltare il banco del governo. Appena domenica scorsa, a Venezia, aveva parlato 90 minuti per metterlo nella testa di chi ha per slogan la Secessione. Non può strappare, non può dire me ne vado dal governo. Sa che Mosè aveva ricevuto le tavole della legge, Berlusconi i sondaggi. Dovesse giocarsi il governo non ce n'è per nessuno, rischierebbero davvero il tutti a casa. Per Bossi, non resterebbe che la ridotta in Padania. Lo chiamano «l'Accordone». Tutti faticosamente assieme. Bossi compreso, sfidando gh imprevisti. Bossi ha incassato la riforma federalista perché a Venezia qualche trofeo da esibire lo doveva portare. Gh serviva. «E a noi serve che a lui serva», sussurrava fuori dalla baita di Lorenzago il saggio Domenico Nania, An. Ora, per non cedere «facilmente», rimette in circolo vecchi rancori e fissa nuovi prezzi. Milano Capitale. Il Senato Federale a Milano. Una rete Rai al Nord, che poi è sempre Milano. Ha già avuta la Rete, almeno sulla carta. C'è stata pure la grande festa in piazza Duomo. Non basta, a Bossi. «Io voglio segnah forti!». Della festa per la Rete Rai a Milano, nella sede deUa Lega, sono rimaste le multe da pagare. Per i manifesti abusivi. «Il debito pubblico è enorme, la coperta è corta, le agenzie di "rating" ci sono addosso. Per colpa di queUi là e dei sindacati siamo falhti». Bossi mischia le sue carte. «Le pensioni non si toccano, altrimenti non votiamo la Finanziaria». O il decreto Gasparri. Uno, due, dieci botti al giorno. Per poi trattare e uscirne al meglio. Tanto con Tremonti, «va tutto benone». Così bene da mettere nel mazzo anche una carta a sorpresa. «Forse bisognerebbe cambiare nome, da Lega Nord a Partito del Nord», e con un posto per l'amico Giulio. Il partito bavarese in Padania. E' ancora presto, prima ci sono le pensioni, la Finanziaria, il decreto Gasparri, quello sul calcio. Ma dal treno del governo non può scendere. E ad ogni fermata, se riesce, ha da riempire la carrozza bagagli. Alla fine i leghisti dovranno comunque accettare i conti di Tremonti pur di far passare la riforma federalista E così è incominciata la lunga resistenza «Non cediamo facilmente...» Nei piani di Bossi c'è anche una carta a sorpresa, ma che non vuole spendere subito: «Forse bisogna cambiare nome al movimento e diventare il Partito del Nord» PI Una manifestazione della Lega Nord A destra: Gianfranco Fini leader di An e vicepresidente del Consiglio Sotto: il segretario dell'Udc PI Marco Folliifi