TELEKOM «Tutti sapevano della trattativa» di Giuseppe Zaccaria

TELEKOM «Tutti sapevano della trattativa» c ;, ■■■- - .. iJLj .^:i"--:'v ^ " A DELLE PRIVATIZZAZIONI DEL UGOSLAVIA TELEKOM «Tutti sapevano della trattativa» intervista Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO LJUBISA Ristic è un grande uomo di teatro, un fedele amico di Mira Markovic ed un comunista storico. Nel 1996, subito dopo gli accordi di Dayton, era presidente della "Jul", il partito della signora, e fu personalmente incaricato da Slobodan Milosevic di avviare un programma di privatizzazioni che avrebbe preso le mosse dalla cessione della più appetibile fra le aziende di Stato, la Telekom Serbja. . Il padre dell'affare dunque è lui: prese primi contatti all'estero, consultò le maggiori banche del mondo e ne riferì prima al Capo e poi al Parlamento federale, dando inizio alle trattative che poi sfociarono nell'accordo con gli italiani. Fino ad oggi non aveva mai accettato di parlarne ai giornali ma poi ha acconsentito a presentarsi il 2 ottobre dinanzi alla commissione parlamentare d'inchiesta, che oggi giunge a Belgrado, e dunque le ragioni del riserbo sono cessate. Dice molte cose interessanti. Ascoltiamolo. Signor Ristic, lei sicuramente avrà seguito le risse che l'affare Telekom ha scatenato in Italia... «Sì, àttràvèrso'i nòstri giornali e per certi versi, le ho trovate perfino, divertenti, amo l'Italia anche nei suoi difetti però fino adesso se qualcuno mi parlava di circo pensavo a Togni o ad Embell Riva, invece vedo che ce ne sono di nuovi con spettacoli straordinariamente movimentati». Non le sembra riduttivo definire «circo» il tentativo di vedere chiaro in un affare di miliardi? «Sono problemi vostri, contese della vostra politica in cui non posso e non vogbo entrare, però ho visto riportate sui giornali belgradesi ricostruzioni così assurde, ipotesi talmente avventurose-da lasciare stupefatti, mentre quella sulla Telekom fu una trattativa chiara - anzi, chiarissima - seguita passo passo dai maggiori "advisors" internazionali, conclusa presto e bene e tutto per ima ragione elementare». Quale? «Il fatto che noi, la Jugoslavia, il governo di Milosevic, il regime, lo chiami come vuole, aveva assoluto interesse a dimostrare ai "partners" intemazionali e soprattutto alla comunità finanziaria che dopo gli accordi di Dayton investire in questo Paese era nuovamente ■possibile. La Telekom avrebbe dovuto rappresentare il primo esempio di questa svolta e dunque le cose avrebbero dovuto svolgersi nel modo più limpido, con la collaborazione - mi faccia dire, il controllo - delle grandi istituzioni finanziarie occidentali». Ma se anche in Serbia le opposizioni di allora (Zoran Djindjic, Vesna Pesic, Vuk Draskovic) cominciarono a gridare allo scandalo, se chiesero addirittura al ministro Dini di blocca- re la trattativa con gli italiani... «Lo credo bene, avevano capito prima di altri che se il programma di privatizzazioni fosse proseguito l'economia jugoslava si sarebbe ripresa, la situazione normalizzata e Milosevic avrebbe consolidato il suo potere. Le ricòrdo che in quel moménto, come ancora adesso, questo P^e^e ayeva bisogno di privatizzare l'industria diimica, quella del tabacco, la metallurgia, le imprese edilizie. Sarebbe stata un'operazione colossale che avrebbe cambiato faccia alla Jugoslavia ed attirò subito l'interesse degli investitori di tutto il mondo». Può essere più preciso? «Ricordo che la mia missione, diciamo così, esplorativa s'iniziò a Londra con una serie di incontri alla Solomon Brothers che dimostrò subito grande at¬ tenzione, dunque presi contatto con le principali banche americane ed inglesi ed a quel Eunto evidentemente negli amienti finanziari si era sparsa la voce, perché cominciai ad essere cercato un po' da tutti, venni contattato direttamente anche dalla Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo che prospettava grandi scenari». Poi la scelta cadde sulla Westmìnter Bank, o meglio sulla sua consociata Natwest. Perché proprio la Natwest? «Le scelte furono fatte al massimo livello, non dimentichi che Milosevic era anzitutto un banchiere, ed in ogni caso la Natwest offriva le massime garanzie e poi pur non essendo un uomo d'affari in quella fase avvertii nettamente che le cose erano facilitate dall'alto...». In che senso, «facilitate»? La Jugoslavia era ancora sottoposta a sanzioni, sia pure alleggerite, e dunque concludere grossi affari avrebbe dovuto essere vietato. «Lei dice? Chiunque si trovasse a Belgrado in quel periodo - se non ricordo male, c'era anche lei - guardava un po' smarrito alla calata dei "businessman". Era una corsa frenetica, ima specie di assalto alla diligenza con gruppi tedeschi, inglesi, francesi e italiani che tentavano di fare affari in ogni comparto. Quando parlo di "gruppi" intendo soprattutto gruppi privati e questa era un'altra delle ragioni per cominciare dalla Telekcmv. d16 per sua .gtessa natura avrebbe dovuto .essere ceduta a società statali». Fra gli aspiranti c'era anche la Deutsche Telekom? «Non solo, in quei mesi si fecero vive praticamente tutte le società telefoniche europee e questo confermava come l'acquisto della Telekom Serbja fosse un grosso affare». Eccoci al punto: perché un affare? Non si trattava di un gruppo con un grande patrimonio tecnologico né con prospettive particolarmente rosee... «Era la sola società rimasta appetibile sul mercato europeo. Le ricordo che nella telefonia quella era la fase delle acquisizioni e delle grandi fusioni, società straniere erano già entrate in compartecipazione nella Telekom ungherese, e dunque a meno che qualcuno non avesse pensato di orientarsi sul mercato roméno, bulgaro o albanese la Jugoslavia restava il solo Paese in cui un investimento del genere si presentava vantaggioso». Non si direbbe, visto che poi la Telecom italiana è uscita dalla gestione con le ossa rotte. «Di questo se permette parliamo fra un momento, vorrei chiarire fino in fondo l'enorme significato di quella privatizzazione. Con una semplice mossa Milosevic riusciva a mettere tutti d'accordo, nel senso che l'investitore europeo avrebbe fatto un ottimo affare, la Serbia anche e con un colpo di genio il governo avrebbe risolto problemi economici e poUtici. D'un tratto l'uomo che aveva reso possibili gli incontri di Dayton e che gli Stati Uniti portavano in palmo di mano cambiava le regole del gioco, proiettava nuovamente, la Jugoslavia verso l'Europa ed i suoi mercati. Lei pensa che un'operazione del genere avrebbe potuto compiersi senza l'avallo della grande finanza mondiale?». Si riferiva a questo, quando poco fa parlava di trattative «facilitate dall'alto»? «Esattamente. E' chiaro che non sarei in grado di dire se questa o quella banca inglese piuttosto che americana, questa o quella cancelleria abbiano dato il semaforo verde, però era chiarissimo come tutte le forze in gioco vedessero bene l'operazione e facessero di tutto per facilitarla». Rieccoci ad un punto delicato. Italia e Jugoslavia avevano ed hanno ottimi rapporti, nella fase delle dimostrazioni di Belgrado il ministro Dini fungeva quasi da inviato speciale j europeo, insomma l'atmosfera era quella di un incontro fra vecchi amici. Le chiedo: nell'assalto alla diligenza, la Telecom arrivò prima perché i politici italiani l'appoggiarono? «Direi proprio di no, nel senso che né allora né nelle fasi successive venni contattato da qualcuno dei vostri, né mi risulta che altri esponenti serbi abbiano ricevuto pressioni». Né Dini, né Fassino né al- tri? «Le ripeto: no. Ed è quello che dirò anche alla vostra commissione se me lo chiederà». Intende dire che i politici italiani non sapessero dell' operazione? «Questo mi pare troppo. L'acquisizione di Telekom Serbja era un fatto talmente discusso, talmente noto che bastava accendere la tv o leggere un giornale di Belgrado per esserne informati, sia pure a grandi linee. Certo, è naturale che i buoni rapporti fra Belgrado e Roma abbiano facilitato l'accordo ma questo, per ciò che mi risulta, non a causa di interventi diretti anche perché, come si dice da noi, "sluzda je sluzda, druzba je druzba». Che significa? «L'amicizia è una cosa ed il lavoro un'altra. Per quanto simpatici e vicini a noi per carattere, gli italiani non avrebbero mai concluso l'accordo se la loro offerta non fosse stata vantaggiosa ed in quel caso la valutazione spettava a Milan Beko, il ministro per le Privatizzazioni, che non è certo un tipo romantico». Ecco, scendiamo un po' più nel dettaglio: come s'avviò la trattativa? «Io non la seguii fino alla conclusione, da un certo punico in poi la faccenda diventò competenza degli organi tecnici, però ricordo che la prima offerta italiana si collocava intomo ai 400 miliardi ed eravamo ancora molto lontani, per questo si fece ricorso alle valutazioni di due banche intemazionali». Si fermi mi attimo. L'Italia si affida alla Ubs che poi verrà ricompensata con 3 miliardi, voi alla Natwest che riceverà come commissione una somma dieci volte superiore. Non è strano? «E cosa ci vede di strano? Il consulente o il mediatore viene compensato in base alla qualità del suo lavoro e la Natwest svolse per noi un lavoro eccellente. Confronti la prima offerta con i termini dell'accordo finale: il 49 per cento di Telekom Serbja venduto a greci ed italiani per 820 miliardi, il pacchetto di maggioranza che restava nelle nostre mani con la possibilità in ogni momento di fare ricorso alla "golden share" o altre manovre di mercato». Dunque, un grossissimo affare per voi. Ma per gli italiani? «Un ottimo investimento comunque, se si verificano le condizioni del mercato all'epoca e le cifre che si sentivano girare per tutta Europa. Piuttosto, lei mi domandava come mai l'investimento italiano abbia poi avuto esiti così catastrofici, ed è una bella domanda. Ho parlato più volte di operazione "facilitata", vorrei ricordare come pochi anni dopo, durante i bombardamenti della Nato su questo Paese, andarono distrutti ponti, strade, centrali elettriche ma non un solo pilone, non un singolo ripetitore della Telekom Serbja. Era chiaro che quell'investimento restava in qualche modo "protetto". Ecco, più che insospettirmi per l'accordo di allora, se fossi italiano mi domanderei chi ha posto le basi per una svendita, questa sì, sospetta». ^tJA Vi ricordate "™ il conflitto? Bene, vennero giù ponti, strade e centrali ma neanche É&A un ripetitore ^jél All'epoca per voi "" era un ottimo investimento, in pista c'erano anche tedeschi francesi e inglesi Al posto vostro mi interrogherei invece sulla svendita AA che ne seguì... ^^ Ljubisa Ristic Itelitam.SrÉlli p La sede di Telekom Serbia a Belgrado