Le carte maledette diCraxi
Le carte maledette diCraxi Le carte maledette diCraxi Filippo Ceccarelli SI farà prima o poi uno «studio di Bettino Craxi e di chi ebbe a circondarlo», come recita la fortunata premessa a una lunga serie di lettere inoltrate da diversi personaggi al leader del psi e ripubblicate, sia pure senza risposte (peccatoli, dal giornalista Filippo Facci sul Giornale. Si farà dunque, questo studio, ma a quel punto sarà necessario comprendervi anche quel che è accaduto di poco edificante tra gli eredi, i compagni, gli amici, i difensori di ieri schierati contro quelli dell'altroieri, e quelli di oggi pronti a scagliare la loro fedeltà contro quella che presumibilmente verrà rivendicata da altri un domani. Tutto in nome e per conto di Craxi, s'intende, a partire dall'utilizzo delle sue copiosissime carte, parecchie delle quali raccolte e confezionate, quando non precostituite come armi di offesa e di difesa. Tanto più efficaci quanto più spendibili, oggi, come documenti di storia. La Vera Storia, naturalmente, l'unica in grado di rovesciare le falsità e i misfatti, eccetera. E insomma: la pubblicazione delle lettere da parte di Facci (che le aveva avute «in consegna» dal destinatario durante la campagna di Hammamet) ha già suscitato le animose reazioni di Stefania, presidente della Fondazione Craxi, che ha pure richiesto la consegna degli originali, e poi anche di Bobo. A entrambi i figli di Craxi Facci ha replicato duramente. Riguardo alla restituzione delle lettere, ha scritto a Stefania che avrebbe fatto finta di «non aver sentito»; mentre a Bobo ha spiegato che quelle carte dovrebbero già essere presenti nell'archivio della fondazione, «o nei dintorni», con il che lasciando immaginare che tra i fratelli Craxi non c'è accordo. (E non sarebbe la prima volta). Difficile a questo punto sapere come stanno veramente le cose. E altrettanto difficile stabilire chi ha ragione (forse tutti) e chi torto (forse nessuno). Ma una cosa, non del tutto scontata, varrà la pena di far presente. Che la disputa sul possesso, l'utilizzo e il valore stesso da assegnare alle carte di Craxi assomiglia parecchio alla disputa a suo tempo divampata tra i familiari, gli amici, i difensori di Aldo Moro a proposito delle sue carte. Anche lì c'era una fondazione; ma anche lì sono emersi dubbi, poi sfociati in dolorose lacerazioni, con l'aggravante che nel caso dello statista democristiano c'è di mezzo anche lo Stato che dispone di una quantità di materiali, alcuni dei quali segretari, e resiste alle pressioni della famiglia, ancora divisa, ma unita - parrebbe di capire - nella volontà di ottenere queste carte e metterle a disposizione. Sono storie, in verità, più tristi che appassionanti. Forse è la morte violenta, o la morte in esilio, che si trascina appresso la discordia, come un fardello supplementare, e la proietta su quanto di vivo è stato lasciato dai Grandi. Eppure anche i diari di Pietro Nonni, che morì venerato nel suo letto, ebbero misteriose vicissitudini politiche ed editoriali. L'opera della Sugarco, in tre volumi, si ferma al 1971. Andreotti lasciò capire che c'erano delle omissioni e degli aggiustamenti. I taccuini degli ultimi anni non vennero mai pubblicati, si disse anche per intervento di Craxi, o di qualche altro potente, che temevano interpretazioni a loro sfavorevoli. E allora forse è la politica che per essere capita ha più bisogno di tempo, di distacco e di lontananza che di carte. Queste sono sempre illuminanti, ma di solito la fretta di cacciarle fuori accende gli animi, funge da zizzania e sporca le migliori intenzioni. Vale poco appellarsi ad arbitri neutrali, approcci scientifici, commissioni di storici. Di fronte alle risse e alle strumentalizzazioni ci si sorprende a desiderare il silenzio e l'oblio. Ma intanto: beato il leader che decide in vita cosa dovrà essere pubblicato. E come,' e quando, e possibilmente perché.
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