QUEST'EUROPA S'HA DA FARE di Barbara Spinelli

QUEST'EUROPA S'HA DA FARE QUEST'EUROPA S'HA DA FARE Barbara Spinelli MENTRE gli europei sono presi dal grande malcontento d'autunno - l'euro non piace alla Svezia, la Convenzione è giudicata troppo ardita dallo spagnolo Aznar e dall'inglese Blair, l'anelata costituzione finirà col fallire perché non tutti la ratificheranno - c'è qualcuno che crede con tutte le proprie energie nel loro avvenire, nella loro insopprimibile volontà d'unirsi, nella loro forza non solo economica ma anche pohtica e militare. Questo qualcuno non è amico dell' Europa: vuole anzi ostacolarla, proprio perché la ritiene una potenza in stato nascente, dunque rivale. Propone addirittura un piano di battaglia in sei punti, interamente congegnato all'insegna del famoso ultimatum che i bravi decisero di lanciare, in tono solenne di comando, a Don Abbondio: «Questo matrimonio europeo non sha da fare, né domani, né mail». Il nemico in questione abita necli Stati Uniti, è particolarmente influente sulle politiche americane, e basta sfogliare il penultimo numero di The Weekly Standard per conoscerne le sembianze. Il settimanale, che esprime le opinioni dei neo-conservatori, ha notevole peso sul Presidente Bush e guida non pochi suoi orientamenti. Questa volta lo mette in guardia contro l'Europa, che silenziosamente e surrettiziamente si sta unendo, e lo invita ad abbandonare il vecchio pregiudizio favorevole che gli Usa nutrono verso l'integrazione europea. Sulla copertina c'è il piano di battaglia - Contro l'Europa Unita e l'articolista, Gerard Baker del Financial Times, non sembra aver dubbi su chi alla lunga vincerà, nel duello fra europei tiepidi come Blair ed europei forti come Chirac o Schròder. C'è il rischio che vincano i federalisti o comunque i fautori di un'Unione più stretta - questa la conclusione - perché mai l'Europa è stata tanto determinata, nel suo desiderio d'unirsi. «In quest' estate turbolenta gli Stati Uniti non erano i sob a cimentarsi nel nation building)), scrive il settimanale evocando la ricostruzione dell' Iraq: «Mentre le truppe Usa battagliavano contro gli insorti nelle strade e nei deserti dell'Iraq, gli europei si accingevano, nei loro bistrò e nelle loro ville provenzali, a portare gb ultimi ritocchi al loro progetto d'uniuue: un progetto non meno considerevole della liberazione di Baghdad». Forse, se leggessero The Weekly Standard, i politici europei perderebbero quello che attualmente li consuma: la sfiducia ostinata in se stessi, l'incredulità verso le proprie risorse, e quello speciale rifiuto di muoversi che è tipico dei cinici, e che nasce dalla paura di non arrivare, di non poter sopravvivere a parziali insuccessi. Ci sono forze niente affatto secondarie in America che vedono scaturire una potenza - dall'Europa - che l'Europa nemmeno sospetta. E che già si apprestano ad affrontare questa potenza, a resisterle: chissà se ne hanno avuto qualche sentore i tre leader europei che ieri si sono incontrati a Berlino per superare questo era l'ordine del giorno - i dissidi scoppiati tra vecchio e nuovo continente sull'Iraq. Chissà se Chirac, Blair, Schròder hanno dedicato la loro attenzione a quello che Weekly Standard ha visto emergere quest'anno, durante una delle più gravi crisi d'Occidente: il nation-building dell'Unione, il formarsi della Nazione Europea. Per ora non è questa, la coscienza di sé che prevale nell'Unione. Prevale piuttosto la paura dell'insuccesso, prevale lo sgomento di fronte a una guerra irachena che sta trasformando ogni vino in aceto e che difficilmente vedrà un'Europa compatta dietro la bandiera, malmessa, di Inghilterra e Stati Uniti: la settimana prossima, CONTINUA A PAGINA 6 PRIMA COLONNA

Persone citate: Aznar, Bush, Chirac, Gerard Baker