«Ha sparato apposta» di Andrea Di Robilant

«Ha sparato apposta» IL RACCONTO DEL DIPLOMATICO CHE GIÀ' A BEIRUT EBBE L'AUTO COLPITA «Ha sparato apposta» «Il soldato ci ha visti e ha armato il fucile» personaggio Andrea di Robilant ROMA AMBASCIATORE «inpensione» si fa per dire. Grande conoscitore della cultura araba, un gusto spiccato per le missioni a rischio (con possibili fuori-programma), da cinque mesi a caccia dei tesori rubati di Baghdad: più che a un anziano diplomatico con feluca, Piero Cordone, 70 anni ben portati, fa pensare a un Indiana Jones un po' attempato, sempre a caccia di nuove e appassionanti avventure. I suoi colleghi, del resto, dicono che ha un particolare talento per ritrovarsi in situazioni pericolose, e scamparla per il rotto della cuffia. Raccontano per esempio di quella volta a Beirut, nei primi Anni 80, quando la città era zona di guerra e l'auto su cui viaggiava Cordone venne colpita in pieno da un obice. Anche in quell'occasione ne uscì quasi indenne, mentre l'uomo che viaggiava con lui purtroppo rimase ucciso. Ieri Cordone è rimasto a riposare nella residenza dell'ambasciatore a Baghdad, Gian Lodovico De Martino, in compagnia della moglie Mirella. Era naturalmente ancora sotto choc per via della morte del suo interprete. Il braccio destro, ferito di striscio dal proiettile, gli dava ancora fastidio. Ma soprattutto gli premeva capire che cosa fosse esattamente successo. Cordone si trovava nella sua vettura assieme alla moglie, l'interprete e l'autista. Giunto sull'autostrada, vicino allo svincolo di Tikrit, si è imbattuto in una colonna di automezzi americani. L'autista ha cercato di superare la colonna, ma un militare americano gli ha fatto cenno di rientrare nella carreggiata e poi ha sparato contro .'auto. «Sicuramente c'è stata un'errata interpretazione di qualche movimento della mia autovettura», rifletteva ieri Cordone. «Ma si trattava di un'autostrada sulla quale sia le macchine della polizia militare americana che la mia camminavano normalmente, seguendo il flusso del traffico. Forse c'è stato qualche secondo di ritardo nell'eseguire la manovra; il militare americano ha intenzionalmente caricato l'arma esplodendo un colpo che ha trapassato il cuore dell'interprete seduto davanti». Nato ad Alessandria d'Egitto, Cordone negli anni è diventato uno dei più apprezzati arabisti della Farnesina. E' stato ambasciatore nello Yemen e negli Emirati Arabi Uniti. Ed è un buon conoscitore dell'Iraq, dove venne spedito come ispettore in occasione della prima missione Unscom che doveva disarmare Saddam Hussein. Dopo l'invasione americana della primavera scorsa, l'amministrazione Bush decise di affidare all'Italia una speciale «task force» incaricata di rimettere insieme il grande patrimonio artistico e archeologico disperso dopo i saccheggi che seguirono il crollo del regime iracheno. wmk Chi indicare per il compito di guidarla? La scelta, dicono alla Farnesina, non poteva che cadere su Cordone: per la sua grande cultura, le sue doti di politico, la sua conoscenza del mondo arabo. Venne subito ripescato dalla pensione e spedito a Baghdad. Gli americani lo hanno anche nominato «senior advisor» per la cultura nel governo di transizione, unico straniero tra funzionari americani. Cordone si è ritrovato insomma ad avere due cappelli. Da un lato deve ripristinare musei e siti archeologici (un lavoro di detective che si è rivelato molto più avventuroso del previsto), dall'altro deve ridare vita alle arti visive, al teatro, al cinema, alla musica iracheni. Alla guida di una squadra di dieci persone, tra militari e civili esperti nel campo della museologia e archeologia. Cordone si mise subito al lavoro. In pochi giorni riuscì a stabilire che i saccheggi avevano provocato danni al patrimonio archeologico molto inferiori a quanto non si fosse pensato inizialmente. Gli oggetti di valore scomparsi, appurò, erano circa circa tremila e non 170 mila com'era stato detto in un primo tempo. E di questi solo ima trentina sarebbero di grandissimo interesse. Ma il colpo grosso. Cordone lo mise a segno a giugno con il recupero del tesoro di Nimrud. Dopo essere riuscito abilmente a conquistare la fiducia dell'ex direttrice del Museo archeologico in cambio della promessa che non le sarebbe successo nulla, venne a sapere che prima della Guerra del Golfo, nel 1990, Saddam Hussein aveva fatto portare settanta chili di gioielli e monili d'oro in un caveau della Banca centrale, dov'erano poi stati murati. Dopo ulteriori negoziati con ex funzionari del Museo, Cordone riuscì a farsi fare una mappa del tesoro nascosto. Ottenne che quattro carri armati americani circondassero l'edificio e una ronda montasse la guardia mentre lui e i suoi uomini si facevano strada nei sotterranei allagati, tra topi e scorpioni. Arrivarono davanti a una porta corazzata. La fecero abbattere. Trovarono trecento milioni'di dollari in moneta irachena e l'intero tesoro di Nimrud. Per una volta anche Cordone perse il suo aplomb diplomatico: «Mi mancò il fiato. Non avevo mai visto niente del genere». L'ambasciatore Pietro Cordone, leggermente ferito nell'incidente in Iraq