La telenovela Telekom Serbia Un affare con molte ombre

La telenovela Telekom Serbia Un affare con molte ombre LE INDAGINI SU UNA TRANSAZIONE DEL 1997 POI DIVENTATA AFFAIRE POLITICO-GIUDIZIARIO La telenovela Telekom Serbia Un affare con molte ombre Per la Procura non c'è prova contro i leader ulivisti. Ma restano altri lati oscuri retroscena Francesco La Licata, Guido Ruotolo ROMA Et vero che finora non è stato possibile trovare prove che certifichino l'esistenza di tangenti per l'affaire Telekom Serbia. Ed è probabile anche che sia trascurabile una certa incongruenza, a proposito del supposto ballo di imliardi, fra il valore effettivo dell'impresa in vendita e il prezzo pagato. Il fatto é che la dislocazione territoriale dei principali protagonisti della vicenda - cioè l'asse Roraa-Belgrado-Londra - impedisce ancor oggi una ricostruzione affidabile dell'intera trattativa. Ma nell'aj^àire, zone d'ombra e passaggi oscuri di denaro ci sono eccome. Principalmente per questo motivo i pm di Torino (il ciclone Igor Marini si era appena abbattuto sulla vicenda) sono stati costretti a presentare una richiesta di archiviazione delle indagini, come dire una richiesta «suicida», per ottenere una proroga dal gip, che l'ha concessa, in attesa delle risposte a una serie di rogatorie intemazionali che dovrebbero far luce proprio sui punti meno chiari della vicenda. Prima di chiudere, insomma, i magistrati vogliono vederci davvero chiaro. La foto che, suR'affaire Telekom Serbia, ci consegnano i magistrati di Torino, allora, è un insieme di sagome, alcune anonime altre ben individuate, che si muovono in un ambiente certamente non incontaminato. Un ambiente dove arriva il lezzo di soldi di non sempre individuabile provenienza. Perché è vero - come sostengono i pm - che «le indagini finora svolte non hanno nemmeno permesso di accertare che tangenti siano state comunque corrisposte a chicchessia», ma è anche vero - per loro stessa ammissione - che «hanno costituito motivo di perplessità» tutta una serie di attività collaterali e mediatorie nell'ajffaire. Per esempio i trenta miliardi finiti nelle tasche dei due lobbisti che hanno «facilitato» il buon esito della trattativa, rimuovendo tutti gli «ostacoli» che vi si frapponevano. O i ventotto finiti alla «NatWest», consulente inglese dei serbi, cifra spropositata rispetto ai tre miliardi andati alla società di consulenza (Ubs) degli italiani. Il primo fotogramma da mette- re meglio a fuoco riguarda il ruolo dei due mediatori, lo slavo residente in Italia Srdja Dimitrijevic, professore di scienze biologiche e imprenditore nel turismo, e il suo amico, il conte Gianni Vitali. I pm torinesi sono perplessi per «le modalità utilizzate per conferire l'incarico di mediazione a Dimitrijevic e Vitali (e da ultimo fatturato a Telecom Italia da Mak) nonché l'ammontare della parcella pagata a Mak per la sua attività di mediazione (30 miliardi, ndr)». E già, perché poi è stata utilizzata la società «Makedonian Environment» (Mak) - che ha «per oggetto sociale la produzione del cibo per animali» - che viene registrata presso il Tribunale di Skopje il 23 febbraio 1995, quando g^à in Telecom Italia un mese prima, il 19 gennaio 1995, girava una bozza di affidamento alla società «Makedonian Environment» (Mak) di «un mandato di intermediazione relativo al "Programma di adeguamento del sistema telefonico della Ilepubblica di Serbia"»? Il «mediatore» slavo ha ammesso davanti ai magistrati (e alla commissione Telekom Serbia) che la «Mak» viene coinvolta perché quando «iniziarono le trattative la Jugoslavia era sotto embargo» e che lui, Srdja Dimitrijevic, non poteva usare le sue società jugoslave ((per la mediazione». E' vero che in tutti gli atti interni alla Telecom si vincola, rilevano i pm torinesi, la riuscita dell'operazione «alla revoca dell'embargo» nei confronti della ex Jugoslavia, ma la decisione di affidare «la mediazione» alla Mak ha sollevato non poche perplessità proprio all'interno dell'ufficio legale di Telecom. E in sostanza per due buoni motivi. D primo, si legge nella documentazione Telecom acquisita dalla Procura, perché, rendendo «inevitabilmente pubblica l'operazione», si potrebbero determinare ((ripercussioni negative, anche solo di immagine, nei riguardi degli americani con cui Telecom o Stet hanno rapporti, ad esempio Ibm». Il secondo, perché pone dubbi di legittimità anche sotto il profilo fiscale. In un parere richiesto, il 14 luglio del 1995 il professore Perrone sostiene: «Laddove il fisco dovesse in qualche modo dubitare circa il ruolo avuto dalla società Mak nell'operazione, non solo potrebbe considerare il costo fiscalmente indeducibile ma, addirittura, potrebbe ipotizzare l'esistenza di reati tributari e, in particolare, di quello consistente nella utilizzazione di documenti relativi ai operazioni inesistenti (...) ovvero di quello di frode fiscale». Il secondo fotogramma da mettere a fuoco è il ruolo avuto dalla inglese NatWest. Il 7 giugno del 1996, secondo i documenti in possesso degli inquirenti, ((PTT Serbia nomina NatWest Securities Limited quale proprio advisor "esclusivo" per la vendita di una quota di PTT Serbia a terzi investitori». I magistrati ipotizzano che «se tangente vi fu, essa venne pagata da persone o enti jugoslavi a persone o enti inglesi». Sul ruolo della NatWest, i pm sollevano diversi dubbi: «Si è giudicata di rilievo la circostanza che il vicepresidente di NatWest risultasse (da notizie di stampa) Douglas Hurd (l'ex ministro degli esteri, ndr) di cui si scrive die, nonostante "l'inesistente esperienza finanziaria", lasciato il Foreign Office, era stato assunto da NatWest con la carica di vicepresidente e con uno stipendio annuo di 250.000 sterline; e ciò in quanto amico personale di Milosevic». Un altro dubbio è per la «la parcella riconosciuta da PTT a NatWest, 28 miliardi di lire; e ciò in considerazione del fatto che il genere e la complessità dell'attività svolta da NatWest sono rimasti poco chiari». Pare di capire, dunque, che per la Procura di Torino, prima che arrivassero le ((verità» di Igor Marini, se tangenti furono pagate bisogna cercarle in quella direzione, nei miliardi arrivati alla «Mak» e alla ((NatWest». Naturalmente, nei due anni di indagini i pm torinesi hanno cercato di verificare un'altra ipotesi, e cioè che la ((provvista» per il pagamento della tangente potesse derivare dalla differenza ((tra il prezzo della quota del 2907o di Telekom Serbia ritenuto congruo dalla Ubs (l'advisor italiano, ndr) e quello effettivamente pagato». Insomma, Telecom Italia «avrebbe dovuto concordare con le autorità serbe la restituzione di quel surplus per corrispondere tangenti a persone sconosciute, a esponenti della maggioranza» dell'Ulivo, a loro prestanomi. «Finora - è stata però la risposta della Procura - questa ipotesi non ha trovato alcun riscontro probatorio». Del resto, (do stesso presupposto è del tutto gratuito e comunque contraddetto da elementari considerazioni di natura economica, proprie di esperienze consuete: è del tutto normale che una transazione economica tra compratore e venditore veda il primo incrementare la sua offerta e il secondo ridurla fino a che entrambi raggiungano un punto d'incontro». Per gli inquirenti, questa loro tesi trova ima conferma in una lettera inviata il 20 febbraio del 1997 da funzionari della Telecom del gruppo di negoziazione, nella quale si ricorda che la NatWest non aveva proceduto a una sua autonoma valutazione del valore di Telekom Serbia in attesa di quella della Ubs, la società di consulenza degli itahani che quando arrivò portò la NatWest a formulare «una valutazione assai aggressiva del valore di Telekom Serbia, pari a 4 miliardi di marchi tedeschi per il 1000Zo del pacchetto azionario», il doppio di quanto valutato dalla Ubs. Gli stessi funzionari Telecom sottolineano di voler avviare ima trattativa per concluderla, «come sempre avviene in ogni transazione», «a metà strada». Cosa che accadde. Nel senso che il valore del 4907o del pacchetto azionario effettivamente pagato da Telecom Italia e dalla Ote greca era vicino a 1,5 miliardi di marcili tedeschi. I magistrati di Torino non si voghono avventurare nel campo minato e discutibile dell'accertamento della «congruità» dell'affare: «L'accertamento a posteriori del "valore" di un'azienda oggetto di acquisizione è pressoché impossibile; donde il certo(e costoso) fallimento di un'indagine peritale che avesse questo obiettivo. L'eventuale sopravvalutazione di Telekom Serbia ha avuto un'origine per così dire fisiologica, derivante cioè da logiche imprenditoriah che, come tali, sono e debbono restare estranee all'indagine penala». Dal paniere delle certezze, finora gli inquirenti hanno estratto alcune verità: ((E' stato accertato che il denaro pagato da Telecom Italia a Ptt ha avuto la movimentazione che segue: in data 10 giugno 1997 529.453.176 DM (marchi tedeschi, ndr) vengono versati sul conto 002-124394-900 aperto presso European Popular Bank di Atene, intestato a Beogradska Banka d.d. Cyprus Off Shore Banking Unit Nicosia, con la causale "payment of balance purchase price" con l'ulteriore specificazione "for the further credit to the beneficiary, Development Fund of Republic of Serbia"; questo "Fondo per lo sviluppo", costituito dalla Repubblica Jugoslava con appositalegge, nella quale sarebbero dovuti confluire i proventi delle privatizzazioni che questa avrebbe effettuato, eranella disponibilità personale di Milosevic». I soldi, insomma, sono arrivati a Belgrado. Cosa poi sia accaduto, questo fa parte di quei fotogrammi ancora da mettere a fuoco. Telecom Italia, nella valutazione dell'azienda serba, avrebbe fissato con Belgrado un surplus per pagare tangenti? «Finora - è stata la risposta dei pm questa ipotesi non ha trovato alcun riscontro probatorio» Molti aspetti poco chiari devono tuttavia essere ancora approfonditi I principali riguardano il ruolo svolto dai due mediatori Dimitrijevic evitali, dalla società macedone Mak e, soprattutto, dall'advisor dei serbi, l'inglese Natwest ^ feMmm smin iiil La sede diTelekom Serbia a Belgrado