DESAPARECIDOS La complicità di Parigi

DESAPARECIDOS La complicità di Parigi DIALOGHI COMPKOWIETTENTI FILMATI DA UNA GIORNALISTA PER UN PROGRAMMA TELEVISIVO DESAPARECIDOS La complicità di Parigi DAGLI armadi della République emerge un vecchio scheletro che a trent'anni dal golpe cileno e dalla presa del potere dei generali argentini imbarazza la Francia patria degli esuli: Parigi ha segretamente collaborato con i dittatori Pinochet e Videla, non solo prima dei colpi di stato sanguinari e fascisti; ma anche dopo, quando le dittature erano ben installate, gli oppositori venivano cacciati e uccisi. Ecco una testimonianza. Dice il generale Manuel Contreras, ex capo della Dina, la polizia segreta di Pinochet; «I servizi segreti francesi hanno collaborato con noi in molte occasioni». Perché c'erano molti rifugiati a Parigi? «Sì, certo. Ci informavano sulle loro attività. Sono stati loro ad avvertirci quando è cominciata l'operazione "Ritorno"». Di che cosa si tratta? «L'Operazione Ritomo, quando i terroristi cileni hanno deciso di rientrare in Cile...» Che anno era? «E' cominciata nel 1978 ed è durata fino all'80». Chi collaborava, la Police o la Dst (controspionaggio)? «La Dst ha collaborato di più». Come? «Ci avvertiva quando un terrorista saliva sull'aereo con i documenti falsi...» Questo dialogo è stato filmato e registrato nei mesi scorsi a Santiago ed è stato trasmesso da Canale- in Francia nel servizio-reportage «Escadrons de la mort, l'école frangaise» (squadroni della morte, la scuola francese) di Marie-Monique Robin, una giornalista di grandi inchieste, una di quelle che lavora per anni su un progetto e chiude il suo lavoro solo quando ha trovato i documenti e le testimonianze. La Robin questa volta è arrivata, come ammette lei stessa, ben al di là dell'obbiettivo che si era data. Fingendosi una «storica di destra», presentandosi con un'aria molto naive ai suoi interlocutori, filmandoli e registrandoli talvolta a loro insaputa, ha raccolto testimonianze in Francia e in Sud America che spesso nemmeno i giudici e le commissioni di inchiesta hanno ottenuto. A Buenos Aires il generale Ramon Diaz Bessone ha ammesso che almeno 7 mila argentini sono stati torturati e fatti sparire tra il '76 e l'SS (i «desaparecidos»); il generale Benito Bignone, ultimo presidente militare della dittatura (che, dopo aver fatto il baciamano alla giornalista, confessa: «L'unico modo per evitare che qualcuno metta una bomba è ammazzarlo prima...») rivela che gh ufficiali francesi reduci dalla guerra d'Algeria furono i maestri delle tecniche della guerra antisowersiva prima dei colpi di Stato. Ma non è nemmeno questa la scoperta più imbarazzante per la Francia che negli ultimi anni ha più o meno compiutamente fatto i conti con le torture inflitte agli algerini dai suoi para. Ancora più scottante e sorprendente è il rapporto tra le polizie segrete che è continuato dopo la presa del potere dei generali. Insomma, nella patria del diritto di asilo gh esuli venivano tenuti sotto controllo, non solo per ragioni di sicurezza intema, ma per complicità con i servizi dei golpisti. La Francia aveva dunque un «doublé language»; da una parte condannava le dittature, dall'altra collaborava con i dittatori. Ecco un altro brano registrato. Dice il generale Harguindéguy, ministro dell'Interno del generale presidente Videla: «...la più alta gerarchia francese ci sosteneva. Non certo le gerarchie più basse, dove la questione dei diritti dell'uomo è stata veramente un problema. Lei sa, l'opinione pubblica, il mondo è pieno di gente che ha simpatia per le idee progressiste, di centro sinistra o socialiste». Lei ha parlato prima di Michel Poniatowski (ministro dell'interno di allora, il presidente della repubblica era Valéry Giscard d'Estaing; nda), ma cosa è accaduto esattamente con Poniatowski? «E' arrivato qui con le credenziali dell'Armée francese e ci ha Droposto di collaborare e di scambiare informazioni. E cosi' abbiamo fatto». Informazioni sui sovversivi? «Certo, per lottare contro la sovversione». Per la prima volta si scopre così che tra Parigi e le giunte militari golpiste del Sudamerica c'era un rapporto «politico», non solo l'inerzia di un rapporto militare cominciato negli anni '60, finita la guerra d'Algeria con il ritiro francese e l'indipendenza di Algeri che rappresentò per la République una sconfitta politica, ma che dopo il disastro anche militare dell'Indocina era servita ai francesi a mettere a punto una nuova tecnica militare, la guerra antisowersiva per contrastare un nemico non tradizionale, non schierato sul campo di battaglia, irriconoscibile perché composto di civili, un esercito di nemici invisibili che si identificava con la popolazione. Il colonello Roger Trinquier scrisse allora un libro intitolato «La guerra moderna» che divenne manuale di studio nella scuole militari, compresa quella di Fort Bragg. Laggiù si ritrova anche, come insegnante, il generale Paul Aussaresses, l'uomo che tre anni fa ha confessato e giustificato la tortura in Algeria in un libro che ha rotto un tabù rimasto per anni sepolto nella cattiva coscienza dei francesi. E la tortura faceva parte integrante della «guerra moderna» che i maestri francesi hanno insegnato oltre Atlantico. Il generale Johns e il colonnello Bernard, veterani del Vietnam, allievi di Aussaresses a Fort Bragg (e ora militanti di un'associazione contro l'uso della tortura), l'hanno confermato a Marie-Monique Robin. Generale Johns: «Noi non avevamo alcuna esperienza. Per que¬ sto hanno fatto venire istruttori dalla Francia e abbiamo letto il loro libro. Sfortunatamente io sono stato uno di quelli che l'hanno studiato a fondo ed è a partire dal libro di Trinquier che noi abbiamo concepito T'operazione Phoenix". Io stesso ho inviato il libro a Robert Komer che allora lavorava alla Casa Bianca». Komer, agente della Cia, fu nominato alla testa del bureau di Saigon nel 1967. Dirigente degli «squadroni della morte» aveva il compito di eliminare le reti dei vietcong tra la popolazione civile. Una «guerra sporca», denominata «Operazione Phoenix». Colonnello Bernard: «Fu una copia della battaglia d'Algeri. Dire che il risultato fu drammatico è un eufemismo, ci furono almeno 20 mila persone uccise». Anche civili? «Sì». La lezione di Aussaresses è cruda. Racconta ancora il collonnello Bernard: «Ci ha insegnato che in questo tipo di guerra ottenere informazioni aveva un'imlortanza decisiva. Ci ha spiegato a tortura. Per esempio: si prendevano prigionieri civili e la maggior parte di loro parlava subito. Ma quelli che non parlavano venivano sottoposti a sofferenze fisiche in modo da farli parlare. Ci ha detto anche che i francesi facevano assistere alla tortura altri prigionieri in modo da convincerli a parlare sapendo che se non l'avessero fatto toccava poi a loro... Il problema successivo era sapere che fare dopo dei torturati. La risposta di Aussaresses era che bisognava eliminarli». Davanti alla telecamerina portatile di Marie-Monique Robin il vecchio generale dall'aria sinistra per la benda nera che porta sull'occhio destro perduto ha confermato tutto. Aussaresses: «Sì, i miei vecchi allievi di Fort Bragg sono poi partiti per il Vietnam, a fare il lavoro. Anni dopo, in Brasile, quand'ero attaché militare, ho ritrovato dei generali che mi hanno riconosciuto... Era il 1973...In Brasile c'era al potere una giunta militare e noi avevamo rapporti molto stretti con loro. Era l'anno in cui ci fu la caduta di Allende... Il Brasile ha aiutato considerevolmente l'azione del generale Pinochet». Rieccoci dunque alle dittature sudamericane della metà degh anni Settanta e sui rapporti con la Francia che l'inchiesta della Robin ha svelato con particolari nuovi e indiscutibili. Come, per esempio, la storia dell'ingegnere franco-cileno Jean-Yves ClaudetFemandez. Arrestato nei giorni del colpo di Stato di Pinochet, fu rilasciato e gh fu concesso di partire per Parigi grazie al fatto che per metà era francese. Nella capitale ha ritrovato gh altri esuli e costituito con loro i «réseaux» di resistenza. Il 30 ottobre 1975 è partito per Buenos Aires dall'aeroporto di Roissy con documenti falsi. Al suo arrivo è stato rapito e non se ne è saputo più nulla. Il suo nome è nella hsta dei desaparecidos. Nessun dubbio, dice il suo avvocato Horacio Mendez Carrera, che la soffiata per farlo arrestare venisse da Parigi. Gli ufficiali transalpini reduci dalla guerra d'Algeria furono maestri di tecniche belliche e di torture L'ex ministro degli Interni a Buenos Aires: «La più alta gerarchia ci aiutava Poniatowski ci propose di collaborare» Emergono documenti e testimonianze che collegano i servizi francesi con le dittature di Pinochet in Cile e Videla in Argentina Sono accusati di avere informato i loro colleghi in Sud America quando gli oppositori del regime rientravano in patria DITTATURE PARALLELE m CILE 5 settembre 1970. Per sole 39.175 preferenze si afferma il cartello delle sinistre di Unidad Popular. Salvador Allende è il nuovo Presidente della repubblica 11 settembre 1973. Golpe militare del generale Pinochet. Il Parlamento viene sciolto, i partiti politici sospesi, migliaia di oppositori torturati o giustiziati. 19 aprile 1978. Un'amnistia copre i crimini commessi dai 1973. 11 settembre 1980. Il regime fa approvare una nuova Costituzione che gli attribuisce altri otto anni di governo. IOagosto 1982. Prima manifestazione di protesta a Santiago. 5 ottobre 1988. In un referendum i cileni dicono no (54,7 per cento) a un nuovo mandato per Pinochet. 14 dicembre 1989. Con il 55,2 percento dei voti Patricio Aylwin (democristano), candidato di Concertazione democratica, è eletto Presidente. Pinochet resta comandante in capo dell'esercito fino al 9 marzo 1998. a ARGENTINA 12 ottobre 1973. Juan Peron viene rieletto presidente. Il suo primo mandato era iniziato il 4 giugno 1946. 24 marzo 1976. Un golpe guidato dal generale Jorge Rafael Videla porta al potere una giunta militare deponendo Isabel Peron che dal 1 luglio 1974 era succeduta al marito. 29 marzo 1981. La carica presidenziale passa al generale Roberto Eduardo Viola e il 22 dicembre dello stesso anno al generale Leopoldo Galtieri. 2 aprile 1982. Galtieri ordina l'occupazione militare delle Falkand-Malvine. La sconfitta nella guerra contro la Gran Bretagna accelera la fine del regime. 1 luglio 1982. Assume la presidenza il generale Benito Bignone che indice libere elezioni. 30 ottobre 1983. Le elezioni sono vinte dal radicale Raul Alfonsin.