«Fateci conquistare la democrazia da soli» di Francesca Paci

«Fateci conquistare la democrazia da soli» IL VESCOVO DI BAGHDAD, MONSIGNOR WARDUNi: DOVETE SOLTANTO DARCI TEMPO «Fateci conquistare la democrazia da soli» «Liberarci è stato un gesto d'amore, ma occuparci no» intervista Francesca Paci TORINO LIBERARCI da Saddam Hussein è stato un gesto di grande amore, cristianamente parlando. Occuparci no». Non usa mezzi toni il vescovo di Baghdad, monsignor Ishlemon Warduni, ospite delle Acli torinesi. Nella lettura del dopoguerra iracheno, ammette il patriarca caldeo, «sfuggono ancora le sfumature della democrazia». Monsignor Warduni, ieri una nuova sparatoria a Nassirya ha coinvolto i carabinieri del contingente italiano e un suo connazionale è morto. Quanto ci vorrà per mettere un punto e andare a capo? «Nessuno può dirlo. La democrazia è il contrario della guerra e non si sgancia dall'alto con le bombe. Le anni non hanno mai risolto alcun problema, piuttosto né aggiungono di nuovi. La democrazia significa govemo del popolo: dov'è il popolo iracheno nella gestione di questa ricostruzione post-bellica? Saddam Hussein ha lavorato per decenni a distruggere la volontà della mia gente, ma l'America di Bush sta continuando quell'opera. Ci avete liberato dalla dittatura, dico io, bene: è stato un gesto di generosità. Óra basta, l'occupazione è un'altra forma di regime. Questo è l'anello debole: se porti la democrazia con il carro armato come fai a chiamarla libertà?». Eppure, ammette che la caduta del partito Baath è stata un sollievo per il paese. Come conciliare la contraddizione? «Bisogna procedere per gradi. Le faccio un esempio. I cristiani hanno subito persecuzioni sotto Saddam. Godevamo di libertà di culto in chiesa, ma non di religione. Se un musulmano voleva convertirsi al nostro credo non poteva, se il figlio di un musulmano voleva prendere una strada religiosa diversa dal aadre non poteva. Questa non è libertà. Dopo la fine della guerra, a maggio, abbiamo cominciato a riprendere in mano la tradizione irachena al dialogo interreligioso precedente alla dittatura. Ho incontrato l'ayatollah Mohammed Baqer al-Hakim prima che fosse ucciso a Najaf, si parlava di convivenza con l'Islam. Se George. W. Bush non rende al popolo il controllo del paese e non leggittima le sue guide la strada per il futuro è bloccata». I militari della coalizione risponderebbero che il paese non è sicuro. «Dovete darci tempo. Usciamo da 35 armi di oppressione e prima ancora c'era il re. Quel che possiamo fare è tirare il fiato: quel peso è finito. Ora si comincia, ma da soli. Abbattere il regime attraverso la guerra è stato come aprire di colpo una grande diga, senza frapporre ostacoli all'acqua: nell'immediato non può che seguime un'inondazione. Dateci tempo. Anche perché con i saccheggi e le violenze e i roghi, la sola sicurezza che i soldati angloamericani hanno saputo garantire a Baghdad è stata intomo al ministero del petrolio». Obiezione: come hanno protetto invece gli iracheni la loro libertà appena conquistata? «Sbagliate a generalizzare i concetti di libertà e democrazia. Quello che funziona negli Stati Uniti e in Europa non è necessariamente applicabile al Medio Oriente. Bisogna educare la gente all'autodeterminazione. Gradualmente. Voi ci avete messo cinque, sei secoli ad elaborare le leggi della convivenza sociale. Dateci tempo». Vuol dire che il concetto di democrazia è relativo, che non c'è un denominatore comune a tutti i popoli? «A mio parere l'unico comune denominatore alla democrazia è Dio, il fondamento di qualsiasi patto di convivenza tra uomini diversi di una stessa comunità. Non parlo necessariamente del mio Dio, ma della fede in Dio. Senza Dio non c'è pace, non c'è amore, non c'è giustizia». «Dio non vuole la guerra in Iraq» è il titolo di un suo libro intervista pubblicato dalle edizioni Medusa. Che cosa direbbe adesso Dio, monsignor Warduni? «Guardare avanti: basta all'occupazione e rimboccarsi le maniche. L'Iraq non è l'Afghanistan. E' un paese con una storia antica. La terra di Abramo, il codice di Hammurabi, la civiltà fiorita sul Tigri e l'Eufrate, la tradizione della convivenza con le altre religioni. Come cristiani abbiamo nuove prospettive rispetto a ieri, lo ammetto. Ma vogliamo esplorarle da soli». Monsignor Ishlemon Warduni, vescovo di Baghdad, ospite delle Adì torinesi

Persone citate: Bush, Ishlemon Warduni, Saddam Hussein, Warduni