E Torino alzò la testa di Giuseppe Mayda

E Torino alzò la testa E Torino alzò la testa Li A mattina del 9 settembre 1943 i torinesi si svegliarono con ancora nelle oreccbie l'annuncio di Badoglio, diffuso dalla radio la sera prima, che l'armistizio era stato firmato. La gente diceva che la guerra era finita, e se lo ripeteva nelle strade, ai mercati, sui tram, nei caffè, anche se oscuramente presagiva che non sarebbe stato così; e il tenente Raimondo Luraghi, incontrando al circolo uffìciah l'amico Luigi Capriolo, futuro commissario partigiano, si sentì dire che «bisognava prepararsi alla guerra civile». I tedeschi stavano infatti per occupare Torino; se ne accorse Ada Marchesini Gobetti quando l'indomani, venerdì IO, alle 4 del pomeriggio, mentre con i due figli era sull'angolo di via Cernala con corso Galileo Ferraris a distribuire volantini comunisti, vide avanzare una colonna di camion delle SS. Quel giorno 200 mila torinesi si radunarono per un comizio davanti alla vecchia sede della Camera del Lavoro - che ventun anni prima era stata incendiata dai fascisti di Brandimarte - e dal balcone parlarono il comunista Caretto, l'azionista Andreis e il democristiano Guglielmetti. Dalla folla si levarono grida di «Dateci le anni», «Torino come Stalingrado», «Fuori i tedeschi dall'Italia». Un traditore, il generale Enrico Adami-Rossi, che sedeva in prefettura e stava già trattando segretamente per la consegna della città alle colonne tedesche ferme in attesa a Brandizzo, negò le armi alla gente e minacciò di farla disperdere a fucilate (e con ragione Dante Livio Bianco e Nuto Revelli canteranno nella «Badoglieide»: «... Era tuo quell'Adami-Rossi/ che a Torino sparava ai borghesi f se durava ancora due mesi 7 tutti quantifacevi ammazzar...»). Prima del tramonto i tedeschi occuparono il comando dei carabinieri, le Poste, le centrali elettriche, le principali fabbriche, l'ingresso dell'autostrada per Milano e il palazzo degli Alti Comandi di corso Oporto (oggi corso Matteotti); tuttavia non riuscirono a impedire che gruppi di donne aiutassero i soldati della caserma Valdocco a fuggire indossando abiti borghesi, che nuclei organizzati di operai e di studenti entrassero nei depositi militari per raccogliere armi e munizioni e che altri animosi liberassero i prigionieri alleati dalle carceri militari di corso Massimo d'Azeglio. Sotterraneamente, fin da quelle ore, uno spontaneo movimento popolare contro i tedeschi andò nascendo in tutta Torino e - come racconta Claudio Pavone - dopo il comizio alla Camera del Lavoro di corso Galileo Ferraris molti chiesero in giro dove incontrarsi, come armarsi. E non era ancora suonata la mezzanotte di quel venerdì IO settembre allorché una bomba a mano esplodeva di fronte al presidio tedesco di Porta Nuova, in via Nizza, quasi all'angolo con corso Vittorio. Le SS, mobilitate nella caccia all'attentatore, non tardarono a scoprirlo. Era un giovane astigiano, Alessandro Brunasco, venuto a Torino in cerca di lavoro e che, impadronitosi di una cassette, ùi Lnmhp a mano «Balilla» rinvenuta abbandonata in una caserma di corso Valentino, aveva deciso di usare quegli ordigni contro i tedeschi. Al momento della cattura, nella sua mansarda di via Nizza 5, il ragazzo precipitò nella tromba delle scale (o ve lo gettarono le SS); Brunasco, che aveva 18 anni, fu il primo caduto della Resistenza a Torino. Giuseppe Mayda