La Patria indigesta agli italiani

La Patria indigesta agli italiani La Patria indigesta agli italiani Sessant'anni fa, «tutti a casa»: negli «Scervellati» di Manlio Cancogni la recita della sottomissione GLI scervellati»eon cui Manlio Cancogni ha fissato, ad oltre mezzo secolo di distanza, ì suoi ricordi dì traghettatore attraverso gh anni della seconda guerra mondiale, è definito dall'editore "libro dell'antifascismo e dell'antipatriottismo". La connotazione - elegantemente infilata dalla Diabasis nel colophon, tra le informazioni sul carattere con cui è stato composto il testo (Simoncini Garamond) e la carta (Arcoprint delle cartiere Fedrigoni, davvero piacevole a sfogliarsi) - è di quelle che, a pensarci bene, pongono questioni spinose e tutt'altro che semphcidasbroghare. A cominciare dalla natura della congiunzione che unisce i due termini - antifascismo e antipatriottismo - senza sovrapporli. Anzi: basta affrontare di petto le quasi trecento pagine del libro - mai una lentezza, una sbavatura, una stonatura, e sempre una dolorosa e quasi impietosa veridicità nell'afferrare per il bavero e illuminare gh aspetti, anche quelli, ga va sans dire, più scomodi e stridenti del proprio individuale agire - per cominciare a comprendere la dinamica incendiaria che muove le due parole. Sicuramente tra le più usate ed abusate neUe rievocazioni e nelle polemiche che hanno percorso il secolo che è stato. Nel libro si fanno convivere con armoniosa semplicità la grande storia del secolo e la piccola prosa delle vite personali, delle atmosfere, degh ambienti di diverse realtà italiane. Da Roma a Sarzana e a Firenze, dal mondo della scuola e della cultura alla deprimente quotidianità bellica dentro un reparto militare intruppato nelle armate che avrebbero dovuto "spezzare le reni alla Grecia". Pagine che consentono efficacemente di ricondurre chi c'era, e di guidare ehi non c'era, dentro una fetta non irrilevante del Novecento italiano. Ma, al tempo stesso, Cancogni - oltre a scavare nei suoi ricordi dispone lungo il suo percorso, con innocente naturalezza, una miccia dopo l'altra. Così sembra mirare, al di là della riconquistata vicinanza tra sé e i ricordi lontani, ad altro, più rilevante scopo: marcare il conflitto silenzioso, presagio di cenere e vento, annidato all'interno di ciascuno di questi due termini antifascismo e antipatriottismo -. che appaiono come due binari buttati verso il passato, percorsi con sempre maggiore cautela. Quasi fossero prossimi a saltare in aria. O a terminare improwi- samente penzoloni su un dirupo. Per Cancogni lo spazio effettivamente praticabile dentro le più scontate definizioni di antifascismo e di antipatriottismo, risulta sottoposto ad una bruciante riduzione, ad un sommovimento tellurico che non consente ad alcuno di assestarvisi per spaziare e dissertare tranquillamente su decenni di storia patria. Nelle sue giovanili peregrinazioni di antifascista appassionato e distratto e - contemporaneamente - di fascista regolarmente tesserato ma pigramente allineato, Cancogni dà l'impressione di superare in destrezza e fortuna i volteggi di un Peter Pan. Con volatile leggerezza si libra, assieme ad altri che gh sono simili - gh "scervellati" forse, che danno il titolo al volume - in un mondo che sta un po' più sopra, un po' più a lato, della quotidiana realtà. Una realtà percepita con sguardo che si ritiene lungimirante. E più sagace di quanti si ostinano a cercare semphcità e non doppiezza. Quella doppiezza che Cancogni, strappato il velo, fotografa con brutale precisione: "A chi non la sperimentò di persona essa appare, oggi, moralmente inaccettabile. Come si poteva, ci si chiede, essere antifascisti, e nello stesso tempo adattarsi al Regime fascista, traendone anche benefici: un impiego, uno stipendio, collaborazioni ai giornali, compensi? Il sospetto di malafede è più che legittimo. A nostra parziale discolpa va detto che la prima responsabilità di questa distonia va fatta ricadere su chi, imponendo un regime autoritario, aveva messo il cittadino nelle condizioni, per sopravvivere, di mentire assumendo una doppia identità. Tu mi costringi? e io ti inganno. Mi dai una tessera: e io la prendo e la getto in un cassetto dimenticandola. Sopra però c'è scritto un giuramento; e io nemmeno lo leggo. Che valore ha se imposto?". Ma i Peter Pan che si riuniscono sulla terrazza del "Selvaggio", in via delle Mercede, per festeggiare l'indomita resistenza inglese, hanno dei conti aperti non solo col Regime ma con il loro Paese, anzi la loro Patria. Su quella terrazza sono tanti e colti e coraggiosi: avranno un ruolo nell'Italia che verrà. Assieme a Cancogni ci sono Muscetta e Alleata, Mario Socrate e Trombadori, Guglielmo Petroni, Gabriele Pepe, Marco Cesarmi e il conte Umberto Morra di Lavriano. Gente di assoluto valore che non si riconosce nella Patria, nell'Italia. Colpa del fascismo che l'ha presa in ostaggio? Sarebbe bello poterlo credere. Ma Cancogni non ci sta: "Noi italiani abbiamo sempre mancato di patriottismo. E' un gran male? Non lo so: è così tuttavia. Noi italiani non amiamo l'Italia o almeno non abbastanza. Ci piace dime male. Ci fanno piacere le sue sconfitte. Perché? E' una storia lunga". Qualcuno ha cercato di dare delle risposte a questa faccenda del nostro antipatriottismo. E anche Cancogni, ci si prova ma senza molta convinzione. Forse una risposta sta proprio nella contiguità tra disconoscimento della Patria comune a tutti e la singolare attitudine di ciascuno alla recita della sottomissione, alla pratica della dissimulazione come norma di convivenza civile. Se si fa della Patria un palcoscenico sbirluccicante, una quinta di cartone, un bivacco per duci o cavalieri vanagloriosi, un funebre monumento dove madri dolenti stringono figli morenti, si può anche far finta di non vedere quello che manca. I padri, ovviamente. I padri assenti; e le condivise regole - di libertà, di lealtà, di giustizia - che avrebbero dovuto inculcare. Affinché i cittadini fossero tali. E non, "come la quasi totalità degli itahani sudditi - così scrive Cancogni - privi di spirito civico, di coscienza nazionale". DA LEGGERE Manlio Cancogni Gli scervellati La seconda guerra mondiale nei ricordi di uno di loro Diabasis, Reggio Emilia 2003 Manlio Cancogni rievoca la stagione tra fascismo e antifascismo

Luoghi citati: Firenze, Grecia, Italia, Reggio Emilia, Roma, Sarzana