Madri del deserto, travestite da uomini di Enzo Bianchi

Madri del deserto, travestite da uomini ALLE ORIGINI DEL MONACHESIMO FEMMINILE: SPESSO UNA VIA OBBLIGATA, MA CON INSOSPETTABILI SPAZI DI LIBERTA Madri del deserto, travestite da uomini Enzo Bianchi ABBA Antonio disse: Come i jesci muoiono se restano al'asciutto, così i monaci che si attardano fuori dalla cella o si trattengono tra persone mondane snervano il vigore dell'unione con Dio. Come dumpie il pesce al mare, così noi dobbiamo correre alla cella, perché non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di custodùe l'interno. Amma Sindetica disse: Se ti trovi in un cenobio, non cambiare luogo: ne riceveresti gran danno. Come l'aquila che si allontana dalle uova le rende improduttive e sterili, così si raffredda e muore la fede di una monaca se erra di luogo in luogo. Potremmo partire da questi due detti - giunti a noi dal deserto egiziano attraverso la raccolta «alfabetica» degli apoftegmi dei «padri» - per una riflessione sulle similitudini e le diversità tra monachesimo maschile e femminile. Innanzitutto, la dipendenza della nascita del monachesimo femminile dall'iniziativa di uomini. Ragioni storiche e culturali hanno fatto sì che le prime forme di vita anacoretiche fossero quasi esclusivamente maschili: eredità di schemi e tradizioni pagane, motivi di opportunità e ricerca di protezione confinavano l'ascetismo femminile all'interno delle mura domestiche o, al più, in locali adiacenti i luoghi di culto in prossimità dei centri abitati. Tuttavia vi furono casi, rari ma di cui abbiamo testimonianze scritte, di «donne del deserto»: alcune erano «pùbbhche peccatrici» che, convertitesi, si erano ritirate nel deserto a espiare il loro peccato, cercando il più possibile di sottrarsi a quel contatto umano che non avevano saputo vivere ordinatamente nella loro esistenza precedente; altre avevano aggirato l'implicito divieto per le donne di avventurarsi nella vita eremitica del deserto adottando abiti e costumi maschili, vivendo per anni un nascondimento talmente profondo da coinvolgere la loro stessa identità sessuale e manifestando solo in occasione della morte la loro autentica natura; infine, un esiguo gruppetto di «madri» del deserto entrò a pieno titolo nel novero dei personaggi offerti come modelli di virtù alle generazioni future. Una di esse è appunto Sindetica, di cui la raccolta alfabetica riporta una trentina di detti, collocandoli subito dopo la decina dedicata ad amma Sarra. Di nobile famiglia macedone trapiantata ad Alessandria nel IV secolo. Sindetica alla morte dei genitori si ritirò in un luogo deserto assieme a una sorella cieca e iniziò una vita di preghiera, di ascesi e di digiuni. Raggiunta ben presto da molte giovani, accettò di divenirne madre spirituale e di trasmettere loro un insegnamento fatto più di gesti che di parole. Lei, che pur si sentiva personalmente chiamata a un'esigente austerità, proprio grazie alla presenza delle discepole capì che quando si vive in un cenobio bisogna «preferire l'obbedienza all'ascesi, perché questa insegna la superbia, quella l'umiltà». Ebbene, il detto riguardante l'aquila e il suo nido, accostato a quello di Antonio sul pesce fuori dell'acqua, lascia trasparire come la più o meno desiderata vita comune ha portato Sindetica a una diversa comprensione del significato della «custodia» di un luogo cella o cenobio che sia. Se per Antonio il problema è essenzialmente quello di salvaguardare lo spazio vitale per una solitudine feconda, per Sindetica la preoccupazione permane si quella della conservazione della «fede di una monaca»., ma all'interno di ima dimensione comunitaria: a differenza del pesce che fuori dell'acqua muore, l'aquila che abbandona le uova, infatti, provoca un danno non a sé stessa bensì alla progenie, a quanti da lei attendono calore e nutrimento. Possiamo qui intravedere una prima esemplificazione del tipo di «dipendenza» del monachesimo femminile da quello maschile: una dipendenza vissuta con creatività e spazi di autonomia. Del resto, la tradizione ci testimonia che accanto a ogni fondatore o legislatore della vita monastica è subito apparsa la corrispondente figura femminile. Pacomio trascrive personalmente una copia delle sue regole e la consegna alla sorella Maria; Basilio è addirittura preceduto nel suo cammino cenobitico dalla sorella Macrina e dispenserà i suoi consigli tanto ai fratelli che alle sorelle delle comunità sorte per sua iniziativa in Cappadocia; accanto a Benedetto il biografo Gregorio Magno pone la sorella (che una tradizione vorrebbe addirittura «gemella») Scolastica, il cui nome non può non evocare la realtà che il fondatore di Montecassino si pro¬ poneva di realizzare stendendo una regola: «dobbiamo costituire una scuoia per il servizio del Signore» (RB Prol 45) ; sarà infine proprio sull'esempio di Francesco che Chiara arriverà a redigere autonomamente una regola per le sue monache, innovando anche in questo rispetto alla tradizione secolare, testimoniata in queste pagine, che voleva che fossero comunque gli uomini a «dettare legge» anche per le donnei...]. Analogamente ai matrimoni concordati dai genitori e imposti a figli e fighe ancora adolescenti, anche per l'accesso alla vita monastica sovente la decisione non dipendeva dal singolo ma dai familiari: tuttavia gli spazi di libertà che si aprivano imboccando questo sentiero «obbligato» erano comunque, e paradossalmente, più ampi di quelli offerti a una giovane sposa. Né va dimenticato l'aspetto culturale legato alla vita, monastica femminile. Non si tratta solo dell'accesso all'alfabetizzazione in vista della recita corale del salterio e, più ancora, della lectio divina personale sui testi della Scrittura nel latino della Vulgata: elemento tutt'altro che trascurabile, soprattutto se si considera che non si trattava di acquisire le elementari capacità di (deggere, scrivere e far di conto» una volta per tutte, con il conseguente rischio di un analfabetismo di ritomo, ma piuttosto di un apprendimento delle lettere «dinamico», che diviene per molte monache uso quotidiano costantemente affinato. Ma accanto a esso mi pare ancor più significativa la dimensione «culturale» di una vita comunitaria disciplinata: una societas di donne che gestiscono tempi, spazi, lavori, economie in un'autonomia praticamente esente da qualsiasi interferenza esterna, una societas di cui possono entrare a far parte a pieno titolo donne già schiave o libere, ignoranti o colte, nobili o popolane, ricche o povere, una societas la cui autorità - la badessa - è eletta liberamente con il voto di tutte le sorelle mediante quello che oggi chiameremmo un «suffragio diretto e universale» costituisce un ambito culturale ricco e liberante, difficilmente reperibile altrove nella società medievale. In un antico dipinto, una monaca e le tentazioni del diavolo in agguato

Persone citate: Abba Antonio, Gregorio Magno, Macrina, Pacomio, Sarra

Luoghi citati: Alessandria, Cappadocia, L'aquila