Non torniamo a quell'Italia che voleva suonare il giazzo
Non torniamo a quell'Italia che voleva suonare il giazzo Non torniamo a quell'Italia che voleva suonare il giazzo RICEVO lettere e e-mail allarmate. Basta, scrivono, non ne possiamo più! È ma' possibile che ci dobbiamo arrendere a così tanti neolof i ai stranieri? Come se non ci fossero parole italiane più i;he appropriate! Perché dire budget e non bilancio? Dobbiamo proprio chiamare business gli affari, top management la direzione aziendale, lean production la produzione snella o outsourcing il decentramento? Il fatto è che gli addetti ai lavori, manager con manager, usano volentieri anglismi perché altrimenti potrebbero essere tacciati di filità L'li fiù f lismi perché altrimenti potrebbero essere tacciati di scarsa professionalità. L'anglismo fa più professionale, ti fa sentire parte di una grande comunità mondiale, di un'unica grande realtà commerciale che annulla le singole identità linguistiche. Comunque, è vero che l'Italia non ha una politica linguistica. Da un po' di tempo si parla del Consiglio Superiore della Lingua Italiana, che senza dirigismi e purismi potrebbe anche funzionare. Su questo punto l'Asli, l'Associazione degli storici della lingua italiana, che mi onoro di presiedere, ha già preso posizione chiarissima, dicendo no a una grammatica e a un vocabolario di Stato. Le persone ragionevoli infine sono contrarie ad ogni atteggiamento xenofobo, che l'Italia tra l'altro ufficialmente manifestò tra il '30 e il '40, negli anni autarchici del fascismo. Si cominciò col decreto legge dell'I 1 febbraio 1923 che impose obbligatoriamente una tassa sulle insegne in lingua straniera, destinando i proventi alla "Società Dante Alighieri", baluardo dell'italianità. Poi, una legge del '26 vietò di far uso di parole straniere. In quell'anno il presidente del Senato Tommaso Tittoni pubblicava sulla "Nuova Antoloo 1926) La difesa della lingua italiana, un articolo tava l'uso di prestiti che designano giochi (tennis Tommaso Tittoni pubblicava sulla Nuovagia" (16 agosto 1926) La difesa della lingua italiana, un articolo che non rifiutava l'uso di prestiti che designano giochi (tennis, golf, bridge, poker). E sosteneva che, quando non se ne può fare a meno, è meglio accogliere il forestierismo nella sua forma originaria perché la sua stessa estraneità al nostro sistema lessicale impedisce la "corruzione" della lingua nazionale. Ma non tutti erano di così aperte vedute. Allora, tra le parole indiziate di ostracismo c'era anche "bar", per il quale ci si affannò a cercare surrogati nazionali (con proposte tipo bettolino, barra, barro, quisibeve, mescita, liquoreria), ma l'anglismo la spuntò grazie alla sua intraducibilità (ed ebbe vita fortunata, figliando barista, baretto, i toscani l'inglobarono come barre, plurale barri, in Piemonte nacque bariìciu, piccolo bar). Con gli Anni Trenta la lotta si inasprì. Un giomale, "La Tribuna", nel '32 stimolava con un concorso a premi la ricerca di sostituti per cinquanta forestierismi. Sono gli anni in cui si propone giazzo in luogo di jazz. Si propose anche di tradurre Tingi, bridge, il gioco, con ponte. beccaria@cisi.unifo.it Un esempio di parola proposta negli Anni 30 per non dover usare l'inglese jazz ci servirebbe una politica linguistica, ma senza purismi né dirigismi ^np* ■ 111 di Gian Luigi Beccaria
Persone citate: Asli, Dante Alighieri, Gian Luigi Beccaria
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