NON RESTA CHE L'ONU di Igor ManEnzo Bianchi

NON RESTA CHE L'ONU NON RESTA CHE L'ONU Igor Man LA strage di Najaf è una tragedia politica. Questo Venerdì di sangue consumatosi nello spazio sacro che abbraccia la Moschea dedicata al profeta (sciita) Ali, rischia di aprire un buco nero nella vicenda bellica fortissimamente voluta da Bush, giusta la sua dottrina della «guerra preventiva». Guerra che, nelle intenzioni del presidente, con la sconfitta (annunciata) di Saddam Hussein avrebbe cambiato i connotati culturali dell'Iraq trasformando un paese oppresso dalla dittatura del Terrore in un laboratorio democratico. Il Tiranno è stato abbattuto; i suoi paranoici figliuoli sono stati fatti fuori con una procedura discutibile ma certamente efficace; il partito unico, quel Baath che si vuole socialista, è stato sciolto, l'esercito cancellato: in teoria s'erano stabiliti, a tempo di record, i presupposti del graduale passaggio dalla dittatura alla democrazia. E ciò sulla traccia di quanto avvenuto in Italia dopo la liberazione di Roma il 4 di giugno 1944. Ma il panorama mondiale oggi è diverso e Baghdad non è Roma. Nella capitale gli Alleati erano spasmodicamente attesi, esisteva già un governo democratico ansioso di trasferirsi a Roma per assumere più visibilità e autonomia. In Iraq è diverso: Saddam non ha se non se stesso, vive la maledizione del latitante, i suoi fidi (?) finiscono uno dopo l'altro nella carta moschicida dei commandos alleati che altro compito non hanno quello di dargli la DIALOGO CON LLe ambiguità daper convivere inEnzo Bianchi A PAGINse non cg«intnnBszlespbEadsTdscpdsBSlslngscaccia, around the clock. Paradossalmente il problema non è Saddam bensì il popolo iracheno nel suo insieme. Odiava Saddam ma lo rispettava. Non odia (forse) gli americani ma li sconsidera perché la libertà che han portato si coniuga, ahimè, col mancato lavoro, col deficit dei servizi. N L'ISLAM da superare in pace GINA 22 col caos. In codesto caos galleggia il governo provvisorio, una «minestra del convento» dove in teoria tutti sono rappresentati ma in fatto non rappresentano nessuno. Con una eccezione: l'ayatollah Mohammad Baqir al-Hakim, il capo riconosciuto e rispettato della Rivoluzione islamica in Iraq (Asrii), leader spirituale degli sciiti che sono il 63 per cento della popolazione. Ebbene, l'autobomba di Najaf lo ha ucciso. Era lui il bersaglio da colpire. Perché? Forse perché dopo anni di «incomprensioni», fra di lui e gli americani s'era stabilita una buona intesa? Troppo facile. Perché la fazione diciamo oltranzista dello sciismo iracheno, quella che fa capo al carismatico (secondo i parametri locali) Moqtada Sadr, giovine rampollo del famoso ayatollah Sayd Mohammed Baqr al-Sadr assassinato da Saddam, perché appunto gli oltranzisti lo giudicano un pericoloso «concorrente»? Probabile. Abbiamo già scritto che l'Iraq non è la Somalia. Forse siamo stati precipitosi. Il caos iracheno infatti, dopo la strage di ieri potrebbe degenerare in uno scontro fra «signori della guerra» di matrice sciita, di matrice sunnita. Saddam riusciva a tenere a bada tribù e confessioni religiose. Non senza difficoltà ma con un'arma vietata agli americani, a chiunque andasse laggiù a dargli una mano: il Terrore. Periodicamente in alternanza con la corruzione. Che fare? Non resta che ricominciare da capo. Ricorrendo alla vecchia collaudata Onu Caschi Blu. coi suoi eroici «L'Onu è una finzione», dicòno. Ma quando si decide di far mostra di credere il contrario, la finzione finisce col tradursi in un «qualcosa» che conviene a tutti. La politica, persino quella planetaria, è fatta anche di fatti formali. Di convenzioni. O l'Onu o il caos, dunque? Forse. DIALOGO CON L'ISLAM Le ambiguità da superare per convivere in pace Enzo Bianchi A PAGINA 22

Persone citate: Bush, Moqtada Sadr, Saddam Hussein