IL COLPO GROSSO DI MOSÉ di Elena Loewenthal

IL COLPO GROSSO DI MOSÉ 5758 ANNI DOPO, GIURISTA EGIZIANO PRESENTA IL CONTO IL COLPO GROSSO DI MOSÉ Elena Loewenthal COME si sa, là carta canta. Quella sacra, in particolare, è capace di produrre un assolo assordante, interminabile. E non senza qualche risvolto paradossale. Domenico Quirico spiegava due giorni fa sulla Stampa di quali strumentalizzazioni sia vittima l'archeologia, se asservita alla politica - in Macedonia così come a Gerusalemme, Baghdad e Atene. «I figli d'Israele fecero secondo la parola di Mosé: chiesera in prestito agli Egiziani oggetti d'argento e oggetti d'oro e vestiti. Il Signore fece trovare grazia al popolo davanti agli occhi degli Egiziani ed essi glieli pn^rurono», narra il libro dell'Esodo (12, 35-36). Siamo alla vigilia della notturna partenza delle tribù israelitiche, che segna la liberazione da una schiavitù durata un lungo susseguirsi di generazioni. A millenni di distanza - o piuttosto su un'altra piega dello spazio-tempo - l'innegabile parola scritta presenta il conto. Nabil Hilmi è il decano della facoltà di legge dell'Università di Zagazig, una città nell'Egitto settentrionale. Qualche giorno fa ha rilasciato un'intervista all'autorevole settimanale in arabo Al-Ahram Ai-Arabi, in cui anticipa gli estremi di una azione legale contro «tutti jli ebrei del mondo» per le tonnellate di oro e preziosi sgraffignati con 'occasione dell'Esodo e mai restituiti al legittimo proprietario, come attesta per l'appunto il versetto incriminante. Mentre Hilmi è riuscito a mobilitare un gruppo di egiziani residenti in Svizzera, coordinati dal vicepresidente della comunità Gamil Yaken (un team di avvocati è già al lavoro per formulare i capi d'accusa), l'intervista è stata tradotta in inglese a cura del «Middle East Media Research Institute» (noto come Memri), dal cui sito sta rimbalzando a destra e a manca. «La più grande frode della storia», cosi Hilmi definisce l'episodio, sui cui si sofferma anche la tradizione ebraica («presero in cambio dei servigi che erano stati costretti a rendere», commenta l'antico Libro dei Giubilei). Il giurista azzarda financo una stima dei beni rubati: partiti, dice la Bibbia, in numero di seicentomila, gli israeliti non potevano avere meno di 300.000 chilogrammi d'oro. E dal momento che è un furto datato 5.758 anni, al saldo di un 596 di interesse, cioè un raddoppio di valore ogni vent'anni, si ottiene in quattro e quattr'otto (metaforicamente parlando) una cifra astronomica. Sulla quale Hilmi è generosamente disposto a trattare, in nome di una «soluzione di compromesso». Che renda giustizia anche a quella donna presentatasi al Faraone - riferisce il decano da fonte sicura lamentando il fatto che il vicino ebreo, prima di partire per ignota destinazione, le aveva chiesto in prestito delle pentole perché aveva ospiti, e lei chissà quando le avrebbe riviste, le sue stoviglie. Forse però vi avrebbe rinunciato di buon grado, in cambio di questo posticino in prima fila della Storia, seppure illuminato dai riflettori di un comico livore. elena.loewenthal@lastampa.lt

Persone citate: Domenico Quirico, Hilmi, Nabil Hilmi

Luoghi citati: Atene, Baghdad, Egitto, Gerusalemme, Israele, Macedonia, Svizzera