Il killer sì pente a metà: quei due lo meritavano di Giovanna Trinchella

Il killer sì pente a metà: quei due lo meritavano LE PRIME DICHIARAZIONI DELL'ASSASSINO DI ROZZANO Il killer sì pente a metà: quei due lo meritavano «Divento pazzo invece per la bimba, se fosse capitato a me non perdonerei» Giovanna Trinchella MILANO L'assassino di Rozzano chiede perdono, ma comprende che per la piccola Sebastiana è difficile: «Se avessero ammaz\ zato in quella maniera uno dei miei figli, sinceramente io non sarei capace di perdonare». Però anche adesso che è in carcere a San Vittore, in isolamento con l'accusa di strage, quando pensa ad Alessio Malmassari e Raffaele De Finis, i suoi «rivali», non mostra alcun pentimento. «Io non sono un killer - ha mormorato piangendo davanti a inquirenti e investigatori - se lo meritavano, il vecchio e la bambina no. Impazzisco all'idea di aver ucciso la bimba». Vito Cosco, 27 anni e una sfilza di precedenti, si giustifica e cerca di spiegare cosa lo abbia spinto a sparare con una calibro 9 almeno otto colpi: «Ero accecato dalla rabbia e dalla paura di rappresaglie contro i miei familiari». Nelle selle pagine di verbale, scritte a mano da un ufficiale del nucleo operativo poco dopo la cattura, si legge tutta la paura e l'umiliazione che hanno ar- mato la sua mano e lasciato sull'asfalto quattro morti. Quel debito di hashish, 400 grammi circa, che non riusciva o non voleva pagare e che aveva spinto i due giovani pregiudicati - racconta - a minacciarlo in casa «davanti a mio figlio e a mia moglie incinta». Anche venerdì Cosco era stato picchiato, due volte. Quel pomeriggio, prima della lite in piazza e degli schiaffi davanti a tutti, Malmassari lo aveva costretto a scendere dall'auto e gli aveva gridato: «Ti faccio vedere io come si usa un fucile a pompa». Un'ora e mezza dopo c'è stata la mattanza. Poi la fuga in viale Montello, fortino dei calabresi di Petilia Policastro fino a che dopo aver vissuto in una cantina nascosto anche a chi gli aveva dato un primo aiuto, ha deciso di consegnarsi. Parla anche di sfortuna Cosco. Lui, che aveva l'appartamento pieno di immagini di Padre Pio, spiega ai carabinieri di essere superstizioso, di aver avuto una mamma esorcizzata e che tutto quel disastro è stato causato dal «malocchio in cui credo». L'arma del delitto ancora non è stata recuperata: la pistola potrebbe essere finita in un cassonetto vicino a piazza Baiamonti da dove lunedì ha chiamato, disperato, il 112. Gli otto bossoli trovati sul luogo della strage saranno analizzati dai carabinieri del Ris di Parma. Oggi, nel carcere di san Vittore, alle 9,30 è previsto l'interrogatorio di convalida del fermo davanti al gip Cesare Tacconi. Cosco è reo confesso e per questo il pm Antonio Genna potrebbe chiedere il giudizio immediato che, saltando l'udienza preliminare, renderebbe molto più breve il traguardo del processo e della sentenza. A cui Cosco, però, crede di non arrivare. L'assassino teme la vendetta dei detenuti che non perdonano gli omicidi dei bambini. «In carcere, quanto mi rimarrebbe, tre mesi?», si è chiesto. Eva Di Ponzo, il suo avvocato, che ieri lo ha incontrato è convinta che Cosco non abbia l'animo di una persona violenta. «Mi ha spiegato - racconta il difensore - che quella sera non voleya uccidere, ma soltanto spaventare i due rivali. Mi ha detto: "Speravo di essere ucciso quella sera dopo gli spari, poi ho pensato di uccidermi, ma non ho trovato la forza per farlo"». Cosco è stato visitato in carcere da una psicologa. Il giomo dell'arresto non ha mangiato, non ha dormito, gli agenti del carcere lo hanno sentito lamentarsi, piangere, sbattere la testa contro il muro tutta la notte. «Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Ho ucciso una bambina». Sarà interrogato oggi nel carcere di San Vittore Da decidere il processo con rito abbreviato L'arma non è stata ancora trovata «Ora temo la vendetta che arriverà in carcere» ^ casa in cui Vito Cosco si è nascosto prima di costituirsi

Luoghi citati: Milano, Parma, Petilia Policastro, Rozzano