RUANDA, ADDIO ALL'ODIO di Domenico Quirico

RUANDA, ADDIO ALL'ODIO TUTSIE HUTU SOGNANO LA RICONCILIAZIONE: E POSSIBILE? RUANDA, ADDIO ALL'ODIO Domenico Quirico '^T ON ci sono più hutu e tutsi, siamo tutti ruandesi». E' lo ''J-^l slogan del grande favorito delle elezioni, l'uomo forte, l'ideologo e lo stratega del potere dei tutsi, Paul Kagame. Sarebbe bello poter mettere la polverina bianca sulle tragedie della storia per asciugarne le macchie. Così con le elezioni di ieri, le prime dal genocidio del '94, si aprirebbe un capitolo nuovo, l'orrore diventerebbe passato. Questo grande abbraccio tra fratelli nemici, invece, sembra destinato a scolorire a poco a poco sui manifesti che tappezzano i villaggi e le città di questo paese dove la tragedia si mimetizza nel verde smaltato di una natura sontuosa e indifferente. Con vandalico impegno in Ruanda si continuano a macinare buoni precetti e massacri tra fratelli. Nel '94, a un comando arrivato per radio, gli hutu impugnarono il machete e con la tranquillità con cui si esce di casa per andare in ufficio cominciarono a uccidere i vicini di casa, i compagni di lavoro, gli amici; una mostruosa notte di San Bartolomeo nel nome dell'odio etnico. Quel milione di morti, purtroppo, non sono, nove anni dopo, impalpabili ricordi. Sono fantasmi ancora vivacissimi: nelle chiese dove furono trucidati a centinaia, nelle fosse comuni che la gente indica ancor oggi con paura, nelle foreste dove le vittime furono trascinate per l'esecuzione. Molti sforzi sono stati fatti, certo, da uomini di buona volontà per lenire e cancellare. Ma l'odio è una cambiale in perenne scadenza. Perché il prezzo della vendetta dei tutsi fu altrettanto brutale: gli hutu, fuggiaschi nelle foreste del vicino Congo, furono braccati e uccisi a decine di migliaia come animali. Molti dei superstiti sono tornati, risparmiati nel nome della riconciliazione e del perdono, ma marchiati con il segno della colpa. In uno scenario simile come potevano i due partiti in lizza non portare i segni del tribalismo? I tutsi, detentori del potere, stanno ben inquadrati dietro Paul Kagame, gli hutu si stringono attorno a Fuastin Twagiramungu, uno di loro ed ex primo ministro. La campagna elettorale porta i segni di questo peccato originale: il partito dell'ex premier è stato sciolto per aver propagandato il «divisionismo etnico». Twagiramungu, un animoso che ha restitito a pressioni e difficoltà, in pratica non ha potuto tenere comizi. Gli hutu, che costituiscono l'ottanta per cento della popolazione, sono esclusi da tutti i ruoli chiave della pubblica amministrazione in base a un silenzioso e implacabie apartheid. Il leader dei tutsi Kagame ha una biografia impastata con il lievito terribile di questa tragedia. Figlio di profughi di uno dei tanti genocidi e fuggiti in Uganda, è cresciuto come Annibale, ossesionato dal sogno della rivincita. Ha costruito con accortezza, aiutato dall'Uganda e dagli Stati Uniti, la garibaldina campagna militare con cui ha riportato al potere la sua tribù. Enigmatico, silenzioso, sempre celato nell'ombra del potere sogna un impero tutsi che si alimenti con le immense ricchezze del Congo Orientale; ha guidato il massacro degli hutu e contenporanemente ne ha promosso il perdono. Ci vuole coraggio per essere ottimisti a Kigali.

Persone citate: Kagame, Paul Kagame, Twagiramungu

Luoghi citati: Congo, Fuastin Twagiramungu, Kigali, Ruanda, Stati Uniti