L'ALTRA OSSESSIONE
L'ALTRA OSSESSIONE I SPANNI DEL CAPOLAVORO Di VISCONTI L'ALTRA OSSESSIONE Edoardo Bruno SESSANTA anni fa, tra maggio e luglio del 1943, uscirono nelle sale del Nord Italia le prime copie del film di Luchino Visconti Ossessione. Le reazioni dei giornali furono negative, tranne alcune eccezioni. La spaccatura nei giudizi, come scriveva nel resoconto sulla critica la rivista Cinema, delineava due correnti: «quella vecchia ed ammuffita che lascerà il passo per un naturale avvicendamento» e quella minoritaria «giovane e fresca», cinefila e aperta alle nuove esperienze. Ossessione era il primo caso di una operazione intellettuale e artistica che vedeva impegnata in prima persona una rivista, con i suoi collaboratori di punta, una sorta di manifesto per una rinascita del cinema italiano. Il film nasceva da una serie di sollecitazioni critiche, un rifiuto di quel cinema-commedia che imperava e unai riproposta del realismo di Sperduti nel buio di Martoglio, nel solco di un cinema antropormorfico, che riportava l'uomo e il paesaggio nella visione di una verità italiana. Cosi Visconti nei suoi scritti e nei suoi articoli, soprattutto in uno, Tradizione e invenzione, pubblicato nel 1941, in cui già preannunciava il desiderio di fare un film dal Malavoglia di Verga: «A me lettore lombardo, abituato per tradizionale consuetudine al limpido rigore della fantasia manzoniana, il mondo primitivo e gigantesco dei pescatori di Aci Trezza (... ) era apparso davvero come l'isola di Ulisse». Suoni, rumori, voci e canti lo confermavano ancor più in una scelta, al tempo stesso, visiva e sonora, poetica e politica. Dopo queste premesse, arrivare al film tratto da un romanzo di James Cain significava intraprendere davvero un lungo giro, come confessò lo stesso Visconti, dopo varie bocciature di altri progetti da parte della censura. Ma poteva anche significare entrare inconsciamente nello spirito dell'intellettuale impegnato di allora, vivere sulla propria pelle la «rivoluzione» che l'antologia Americana di Vittorini con i suoi testi, e soprattutto con le sue immagini fotografiche, aveva violentemente provocato, rompendo con una tradizione letteraria confermata. Storie forti, leggende di uomini soli, frasi spezzate, poche parole, incontri sospesi nel vuoto. Personaggi che vengono da lontano, sradicati nell'eterno vagabondare, incontri casuali, amicizie e rotture improvvise. L'incontro tra Gino e lo Spagnolo, quest'ultimo contrassegnato ancora oggi da una forte ambiguità espressiva, erano il segno di questa controtendenza, di questa esigenza espressiva più legata a un immaginario visivo che a una ricerca di realtà. Politicamente ogni scelta del film, a posteriori, si giustifica, si sente l'aria di fronda, l'apporto nella sceneggiatura di uomini politici trasuda di intenzioni, ma quello sguardo sul paesaggio italiano, quell'Ancona scoperta all'improvviso scavalcando il campo di ripresa col salto sul muretto dei due attori protagonisti, allargano la visione fuori da ogni psicologismo, verso uno slancio di fantasia.
Persone citate: Edoardo Bruno, James Cain, Luchino Visconti, Martoglio, Spagnolo, Sperduti, Verga, Visconti, Vittorini
Luoghi citati: Nord Italia
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